La grande emozione di quella prima notte a bordo giunse poco prima di mezzanotte, quando avvistarono per la prima volta un altro battello che smuoveva le calme acque dell’Ohio procedendo davanti a loro. Quando Marsh lo vide, prese York per un gomito e lo condusse su alla cabina di pilotaggio, che scoprirono affollata. Daly era ancora al timone e beveva caffè, altri due piloti e tre passeggeri stavano seduti sul divano alle sue spalle. I piloti non erano al servizio di Marsh, ma era costume del fiume che i timonieri viaggiassero gratis se lo desideravano, e di solito prediligevano la cabina di pilotaggio per scambiare qualche chiacchiera con l’uomo al timone e tenersi aggiornati sulle novità che riservava il fiume. Marsh li ignorò. «Mister Daly,» disse al suo pilota, «c’è un battello davanti a noi.»
«Lo vedo, Capitano Marsh,» replicò Daly con un sorriso laconico.
«Mi chiedo quale legno sia. Ne avete un’idea, Daly?»
Quale che fosse, il battello non era gran cosa; un tarchiato vapore con la ruota poppiera ed una timoniera quadrata come un macinino.
«Certo che no,» rispose il pilota.
Abner Marsh si rivolse a Joshua York. «Joshua,» disse, «voi siete il vero comandante, ed io non voglio darvi troppi suggerimenti. Ma la verità è che sono terribilmente curioso di sapere qual è quel battello davanti a noi. Perché non dite a Daly di raggiungerlo, così che possa rilassarmi un pochino, eh?»
York sorrise. «Certamente,» disse. «Mister Daly, avete sentito il Capitano Marsh. Pensate che il Fevre Dream sia in grado di raggiungere quel battello davanti a noi?»
«Il Fevre Dream può raggiungere qualsiasi battello,» disse il pilota. Domandò al macchinista, giù sul ponte di manovra, che aumentasse il vapore e tirò nuovamente la sirena. Il lamento selvaggio, cupo come l’urlo spettrale di uno spirito presago di morte, echeggiò sul fiume, quasi volesse avvertire il battello lì davanti che il Fevre Dream stava arrivando dietro di lui.
Il clamore della sirena bastò ad evacuare il salone dei passeggeri che si riversarono in massa sul ponte. Persino i passeggeri da un dollaro si levarono dai loro giacigli di sacchi di farina. Un paio salirono sul ponte di comando e tentarono di entrare nella cabina di pilotaggio, ma Marsh li rispedì di sotto, insieme agli altri tre che vi aveva trovato. Com’era prevedibile, tutti gli spettatori si precipitarono verso la parte anteriore del battello, per sciamare successivamente verso babordo, quando fu palese che quello sarebbe stato il lato col quale avrebbero affiancato e superato il battello. «Maledetti passeggeri,» mugugnò Marsh rivolgendosi a York. «Riescono sempre a sbilanciare un battello. Uno di questi giorni correranno tutti sullo stesso lato e faranno capovolgere qualche povero battello, ci giurerei.»
Malgrado le lamentele, Marsh era all’apice della felicità. Whitey, dabbasso, gettava più legno nelle bocche dei forni ed essi ruggivano, e le grandi ruote si muovevano più veloci, sempre più veloci. Tutto avvenne in un lampo. Il Fevre Dream parve divorare le miglia che lo separavano dall’altro battello, e mentre lo sorpassava una clamorosa acclamazione esplose dai ponti sottostanti: dolce musica per le orecchie di Marsh.
Nel passare accanto alla murata del piccolo battello, York lesse il suo nome sulla timoniera. «Sembra si tratti del Mary Kaye,» disse.
«Ah! Tant’acqua per bollirci un uovo!» esclamò Marsh.
«È un battello famoso?» chiese York.
«No, figuriamoci,» disse Marsh. «Mai sentito nominare. L’avreste mai detto?» Al che proruppe in una risata fragorosa e diede a York poderose pacche sulla spalla. Di lì a poco tutti nella cabina di pilotaggio scoppiarono a ridere.
Prima dell’alba, il Fevre Dream aveva raggiungo e superato mezza dozzina di battelli, compreso un vapore con le ruote laterali grande quasi quanto lui, ma non fu mai così emozionante come lo era stato la prima volta, quando avevano sorpassato il Mary Kaye. «Volevate sapere come avremmo cominciato,» disse Marsh a York mentre si allontanavano dalla cabina di pilotaggio. «Ebbene, Joshua, è cominciato.»
«Sì,» disse York, lanciando un’occhiata dietro di loro, dove il Mary Kaye stava diventando un punto lontano. «È cominciato davvero.»
A bordo del Fevre Dream
FIUME OHIO
Luglio 1857
Mal di testa o no, Abner Marsh era un marinaio troppo attaccato al suo mestiere per passare l’intera giornata a dormire, specie una giornata importante come quella. Si drizzò a sedere nel letto verso le undici, dopo aver dormito sì e no poche ore, si sciacquò la faccia con un po’ d’acqua tiepida che prese dalla bacinella poggiata sul comodino, e si vestì. C’era del lavoro da sbrigare, e York non si sarebbe visto in giro se non dopo il tramonto. Il Capitano si piazzò il berretto in testa, aggrottò le ciglia nel guardare la propria immagine riflessa nello specchio e si scarmigliò un poco la barba, poi raccolse il bastone da passeggio e si avviò a passi pesanti verso il ponte di controcoperta. Visitò dapprima i bagni, poi tornò sui suoi passi per dirigersi in cucina. «Ho saltato la colazione, Toby,» disse al cuoco, che stava già cucinando per il pranzo. «Di’ ai tuoi ragazzi che mi preparino sei uova e qualche fetta di prosciutto, e fammeli portare su alla mia cabina, va bene? E anche del caffè. A litri.»
Nel salone Marsh bevve un paio di bicchierini che lo aiutarono a sentirsi un po’ meglio. Borbottò qualche convenevole ai passeggeri ed ai camerieri, poi si affrettò sul ponte superiore in attesa della colazione. Dopo che ebbe mangiato, Abner Marsh si sentì di nuovo lui. Salì subito sul ponte di comando, ed entrò nella cabina di pilotaggio. Il turno era cambiato, ed ora c’era l’altro pilota al timone, e soltanto uno dei due colleghi, ospiti senza biglietto, a tenergli compagnia. «Buongiorno, Mister Kitch,» disse Marsh al timoniere. «Come si sta comportando, il nostro Fevre Dream?»
«Non ho nulla di cui lamentarmi,» rispose il pilota. Gettò quindi un’occhiata a Marsh. «Questo vostro battello ha il diavolo in corpo, Capitano. Se intendete portarlo giù a New Orleans, allora vi consiglio di affidarlo a piloti che la sanno lunga. Qui ci vuole una mano esperta al timone, eh sì.»
Marsh annuì. Del resto, non era una sorpresa; sovente i battelli più veloci erano più difficili da guidare. Ma la cosa non lo preoccupava affatto. Nessun pilota che non sapesse il fatto suo avrebbe mai messo le mani sul timone del Fevre Dream.
«Che tempo stiamo facendo?» s’informò Marsh.
«Abbastanza buono,» rispose il pilota con una scrollata di spalle. «Beh, potrebbe fare di meglio, ma Mister Daly ha detto che non avevate premura, e così stiamo facendo una tranquilla passeggiata.»
«Faremo scalo a Paducah,» ordinò Marsh. «Ho due passeggeri da far sbarcare e delle merci da scaricare.» Trascorse ancora qualche minuto a conversare con il pilota, dopodiché tornò giù, sul ponte di controcoperta.
Il salone di prima classe era stato apparecchiato per il pranzo. Il fulgido sole di mezzogiorno si riversava dagli osteriggi in una cascata iridescente, e sotto il barbaglio policromo una lunga fila di tavoli si susseguivano per tutta la lunghezza della cabina. I camerieri stavano disponendo sui tavoli l’argenteria e le porcellane; i bicchieri di cristallo scintillavano, sfolgoranti nella luce. Dalla cucina Marsh carpì un effluvio dei profumi più meravigliosi e succulenti. Si fermò e si procurò un menu, vi diede un’occhiata e decise che aveva ancora fame. Inoltre, York non s’era ancora fatto vivo, ed era più che corretto che almeno uno dei capitani si unisse ai passeggeri ed agli altri membri superiori dell’equipaggio per consumare il pranzo.
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