Non riuscii a pensare ad altro da chiedere e, per qualche tempo, tacemmo. Scoprii che ci sono lunghi periodi di silenzio, in luoghi come quello, dove quasi tutti sono ammalati. Sapevamo che dovevamo occupare il tempo un turno di guardia dopo l’altro, e che, se non avessimo detto quel che volevamo dire quel pomeriggio ci sarebbe stata un’altra opportunità per farlo quella sera ed un’altra ancora il mattino successivo. In effetti, chiunque avesse parlato come fanno generalmente le persone sane, per esempio dopo i pasti, là sarebbe riuscito intollerabile.
Tuttavia, quanto era stato detto mi aveva indotto a pensare al nord, facendomi scoprire che non sapevo quasi nulla in proposito. Quando ero stato ragazzo, occupato a lavare i pavimenti e ad espletare incarichi nella Cittadella, la guerra sembrava quasi una cosa infinitamente remota. Sapevo che la maggior parte dei matrossi che governavano le batterie principali vi avevano preso parte, ma lo sapevo nello stesso modo in cui ero consapevole che la luce che cadeva sulla mia mano proveniva dal sole. Io sarei diventato un torturatore, e, in qualità di torturatore, non avrei avuto motivo di entrare a far parte dell’esercito né alcun timore di essere arruolato a forza. Non mi ero mai aspettato che la guerra potesse arrivare alle soglie di Nessus (in effetti quelle stesse soglie erano per me poco più di una leggenda), e non mi ero mai aspettato di dover lasciare la città, o anche solo di dover lasciare quel quartiere della città in cui si trovava la Cittadella.
Il nord, Ascia, mi apparivano allora inconcepibilmente lontani, un luogo distante quanto la più remota galassia, dato che entrambi erano destinati a rimanere per sempre al di fuori della mia portata. Mentalmente, io li confondevo con la cinta di vegetazione tropicale morente che giaceva fra la nostra terra e quella degli Asciani, anche se non avrei avuto difficoltà a fare distinzione fra le due, se il Maestro Palaemon me lo avesse domandato in classe.
Ma di Ascia in sé non avevo la minima idea. Non sapevo se aveva grandi città o se non ne aveva affatto, non sapevo se era montagnosa come la nostra Repubblica o piatta come le nostre pampas. Avevo l’impressione, anche se non potevo essere certo che fosse esatta, che si trattasse di un’unica massa di terra, e non di una catena di isole come quelle che noi avevamo a sud; e, soprattutto, avevo la nettissima sensazione di un’innumerevole popolazione… quella degli Asciani… che era inesauribile come uno sciame che era divenuto quasi una creatura a se stante, come accade ad una colonia di formiche. Pensare a quei milioni e milioni d’individui privi di un linguaggio, oppure costretti a ripetere pappagallescamente frasi proverbiali che dovevano aver perduto da tempo la maggior parte del loro significato, era quasi più di quanto la mente potesse sopportare.
— Deve certo trattarsi di un trucco — osservai, parlando quasi fra me, — oppure di un errore o di una menzogna. Non può esistere una nazione del genere.
E la voce dell’Asciano, non più alta di quanto lo fosse stata la mia, e forse anche più sommessa, replicò:
— Come potrà lo stato essere più vigoroso? Sarà al massimo del vigore quando sarà senza conflitti. E come potrà essere senza conflitti? Quando sarà privo di discordie. Come si potranno evitare le discordie? Eliminando le quattro cause di discordia: menzogne, parole sciocche, discorsi vanagloriosi e discorsi che servono solo a provocare liti. Come si potranno eliminare queste quattro cause? Parlando soltanto secondo il Corretto Pensiero. Allora, lo stato sarà privo di discordie. Essendo privo di discordie, sarà anche privo di conflitti. Essendo privo di conflitti, sarà vigoroso, forte e sicuro.
Avevo avuto la mia risposta, e doppia.
VI
MILES, FOILA, MELITO E HALLVARD
Quella sera, caddi preda del timore che avevo cercato di allontanare dalla mia mente già da qualche tempo. Anche se non avevo più visto traccia dei mostri che Hethor aveva portato con sé da oltre le stelle, da quando il piccolo Severian ed io eravamo fuggiti dal villaggio dei maghi, non avevo dimenticato che egli mi stava cercando. Mentre viaggiavo nelle zone selvagge sovrastanti il Lago Diuturna, non avevo avuto molto timore che mi potesse raggiungere, ma ora non ero più in viaggio, e potevo avvertire la debolezza dei miei arti, perché, nonostante il cibo che mangiavo, ero più debole di quando mi aggiravo affamato fra le montagne.
Inoltre, temevo Agia quasi più di Hethor e delle sue notule, delle salamandre e dei vermi, perché conoscevo il suo coraggio, la sua astuzia e la sua malizia. Una qualsiasi delle Pellegrine che si spostavano fra i giacigli avrebbero potuto essere lei, con un pugnale avvelenato nascosto sotto la gonna. Quella notte dormii male, ma, sebbene sognassi molto, i miei sogni furono indistinti, e non cercherò di riferirli qui. Mi svegliai sentendomi men che riposato. La febbre, di cui ero stato quasi inconsapevole al momento del mio arrivo nel lazzaretto, e che era parsa calare il giorno precedente, era tornata, e ne avvertivo il calore in ogni arto… mi sembrava di risplendere addirittura a causa di quel calore e che gli stessi ghiacciai del sud si sarebbero squagliati se mi fossi addentrato fra essi. Presi l’Artiglio e lo strinsi a me, arrivando perfino a tenerlo in bocca. La febbre scese di nuovo, ma mi lasciò debole ed intontito.
Quella mattina, il soldato mi venne a trovare. Indossava la bianca tunica datagli dalle Pellegrine al posto dell’armatura, ma sembrava essersi perfettamente ripreso, e mi confidò che sperava di poter partire il giorno successivo. Gli risposi che mi sarebbe piaciuto presentargli le persone che avevo conosciuto in quella parte del lazzaretto e gli chiesi se adesso rammentava il suo nome.
— Ricordo molto poco — replicò, scuotendo il capo. — Spero che, quando tornerò fra le unità dell’esercito, riuscirò a trovare là qualcuno che mi conosce.
Lo presentai comunque agli altri, chiamandolo Miles, dato che non mi riuscì di pensare a nulla di meglio. Non conoscevo neppure il nome dell’Asciano, e scoprii che nessuno lo sapeva, neppure Foila. Quando gli chiedemmo come si chiamava, rispose soltanto:
— Io sono Leale al Gruppo del Diciassette.
Per qualche tempo, Foila, Melito, il soldato ed io chiacchierammo fra noi. Melito sembrava avere molta simpatia per il soldato, anche se forse ciò era dovuto soltanto al fatto che il nome da me attribuitogli somigliava molto al suo. Poi il soldato mi aiutò ad issarmi a sedere, e, abbassata la voce, mi sussurrò:
— Adesso ti devo parlare in privato. Come ti ho detto, me ne andrò di qui domattina. A giudicare dalle tue condizioni, credo che tu invece non te ne andrai di qui per parecchi giorni… forse anche per un paio di settimane. Può darsi che non ti riveda mai più.
— Speriamo che non sia così.
— Lo spero anch’io. Ma, se riesco a trovare la mia legione, può darsi che sia già morto quando tu ti sarai ristabilito. E, se non riesco a trovarla, probabilmente mi unirò ad un’altra, per evitare di essere arrestato come disertore. — Fece una pausa.
— Ed io potrei morire qui, per la febbre — aggiunsi, con un sorriso. — Non lo volevi dire. Ho un aspetto tanto brutto, come quello del povero Melito?
— No, non così brutto — replicò, scuotendo il capo. — Penso che tu ce la farai…
— Questo è ciò che disse il tordo mentre la lince inseguiva la lepre intorno all’albero di lauro.
— Hai ragione. — Adesso fu il soldato a sorridere. — Stavo per dirlo io.
— È un’espressione comune in quella parte della Repubblica in cui sei cresciuto?
— Non lo so. — Il sorriso svanì. — Non riesco a ricordare dove sia la mia casa, e questo è in parte il motivo per cui ti devo parlare adesso. Ricordo di aver camminato con te di notte lungo la strada… quella è la sola cosa che ricordo, prima di arrivare qui. Dove mi hai trovato?
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