Gene Wolfe - La cittadella dell'Autarca

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La cittadella dell'Autarca: краткое содержание, описание и аннотация

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Nei romanzi precedenti del ciclo avevamo visto Severian viaggiare verso Thrax, la città del suo esilio, armato solo della mitica spada Terminus Est, ultimo dono del suo Maestro Torturatore. Nel corso del viaggio aveva incontrato numerosi personaggi strani e affascinanti, come la dolce e misteriosa Dorcas, i due gemelli Agia e Agilus, la bellissima Jolenta, il dottor Talos, ma soprattutto era entrato in possesso dell’Artiglio del Conciliatore, una gemma dai poteri miracolosi appartenuta a una figura leggendaria del passato. Arrivato a Thrax, Severian si era infine accorto che la Città delle Stanze senza Finestre non era la sua meta definitiva: strani portenti infatti gli indicano che un destino futuro molto elevato lo attende. E in questo quarto e definitivo volume della serie, finalmente Severian saprà cosa gli è stato predestinato dalla sorte. Il suo viaggio lungo e periglioso lo riporterà proprio a Nessus, la città da cui era stato bandito, con una missione che determinerà il fato dell’intera Urth e la nascita del Nuovo Sole e di una nuova era.

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— Non avresti dovuto leggerla. — Il volto gli si era indurito, — e non avresti dovuto gettarla via.

— Credevo che tu fossi morto, ricordi? Comunque, in quel momento stavano accadendo molte cose, soprattutto nella mia testa. Forse avevo già un po’ di febbre… non lo so. Adesso c’è l’altra parte: tu non mi crederai, ma può essere importante che tu mi ascolti ugualmente. Mi ascolterai fino in fondo?

Il soldato annui.

— Bene. Hai sentito parlare degli specchi di Padre Inire? Sai come funzionano?

— Ho sentito parlare dello Specchio di Padre Inire, ma non saprei precisare dove. Si suppone che si possa entrare in esso come in una porta ed uscire su una stella, ma non credo che sia vero.

— Gli specchi sono reali, li ho visti. Fino ad ora avevo sempre pensato ad essi più o meno come fai tu… come se fossero una nave, ma molto più veloce; adesso non ne sono più così sicuro. Comunque, un mio amico è entrato fra quegli specchi ed è svanito. Io lo stavo guardando: non è un trucco e neppure una superstizione. Egli è andato dove ti portano quegli specchi, qualsiasi luogo sia. È andato perché era innamorato di una certa donna, e perché non era un uomo intero. Mi comprendi?

— Aveva avuto un incidente?

— Un incidente aveva avuto lui, ma non importa. Mi ha detto che sarebbe tornato. Ha detto: «Tornerò a prenderla quando sarò stato riparato, quando sarò di nuovo sano ed intero». Io non sapevo con esattezza cosa pensare quando ha pronunciato quelle parole, ma ora credo che sia tornato. Sono stato io a farti rivivere, ed io desideravo che egli tornasse… forse questo ha avuto qualcosa a che fare con quanto è accaduto.

Ci fu una pausa: il soldato abbassò lo sguardo sul terreno calpestato su cui erano posati i giacigli, poi tornò a guardarmi.

— È possibile che quando un uomo perde un amico e ne trova un altro, abbia l’impressione di avere di nuovo con sé il vecchio amico.

— Jonas… questo era il suo nome… aveva un modo particolare di parlare. Ogni volta che doveva dire qualcosa di spiacevole, lo addolciva, facendone uno scherzo, attribuendo quel che doveva dire a qualche situazione comica. La prima notte che siamo stati qui, ti ho chiesto quale fosse il tuo nome, e tu hai risposto: «L’ho perso da qualche parte lungo la strada. Questo è quel che disse il giaguaro che si era offerto di far da guida alla capra.» Te lo ricordi?

— Dico un mucchio di sciocchezze — replicò, scuotendo il capo.

— Mi ha colpito come una cosa strana, perché era il tipo di frase che Jonas avrebbe pronunciato, solo che lui non l’avrebbe detto a meno che avesse voluto dare ad intendere, con quelle parole, più di quanto sembravi voler intendere tu. Penso che lui avrebbe detto: «Quella era la storia del canestro che era stato riempito d’acqua.» O qualcosa di simile.

Attesi che rispondesse, ma non lo fece.

— Naturalmente, il giaguaro mangiò la capra lungo la strada, inghiottendone e spezzandone le ossa.

— Hai mai pensato che questa potrebbe essere la caratteristica di una qualche città? Può darsi che il tuo amico venisse dallo stesso luogo da cui vengo io.

— Si trattava di un tempo, credo, non di un luogo — replicai. — Molto tempo fa, qualcuno ha dovuto disarmare la paura. … la paura che uomini di carne e sangue provavano guardando facce di vetro ed acciaio. Jonas, so che tu mi stai ascoltando. Io non ti biasimo. Quell’uomo era morto e tu sei ancora vivo, lo capisco. Ma, Jonas, Jolenta non c’è più… l’ho vista morire, ho tentato di richiamarla in vita con l’Artiglio, ma ho fallito. Forse lei era troppo artificiale, non lo so. Dovrai trovare qualcun’altra.

Il soldato si alzò. Il suo volto non era più irato, ma svuotato, come quello di un sonnambulo: si volse e se ne andò senza aggiungere altro.

Per forse un intero turno di guardia rimasi steso sul mio giaciglio, pensando a molte cose. Hallvard, Melito e Foila parlavano fra loro, ma non ascoltai quello che stavano dicendo. Quando una delle Pellegrine ci portò il pasto di mezzogiorno, Melito attirò la mia attenzione picchiando sul piatto con la forchetta ed annunciò:

— Severian, abbiamo un favore da chiederti.

Ero ansioso di ricacciarmi alle spalle le mie speculazioni, e risposi che li avrei aiutati come potevo.

Foila, che aveva uno di quei radiosi sorrisi che la Natura concede talvolta alle donne, mi sorrise.

— Si tratta di questo. Questi due hanno litigato per causa mia tutta la mattina. Se stessero bene, potrebbero risolvere la cosa lottando, ma ci vorrà molto tempo prima che lo possano fare, ed io non credo di poter resistere per tanto. Oggi pensavo a mio padre ed a mia madre, ed a come essi usassero sedere davanti al fuoco durante le lunghe notti invernali. Se Hallvard ed io ci sposeremo, oppure io e Melito, un giorno o l’altro lo faremo anche noi; quindi ho deciso di sposare colui che saprà raccontare la storia più bella. Non mi guardare come se fossi matta: è l’unica cosa ragionevole che abbia fatto in tutta la mia vita. Tutti e due mi vogliono, entrambi sono molto attraenti, nessuno dei due ha dei beni, e, se non risolviamo questa contesa, si uccideranno a vicenda o sarò io ad ucciderli entrambi. Tu sei un uomo istruito… lo si capisce da come parli. Tu ascolterai e giudicherai. Comincerà Hallvard, e le storie dovranno essere originali e non tratte da libri.

Hallvard, che poteva camminare un poco, si alzò dal suo giaciglio e venne a sedersi ai piedi di quello di Melito.

VII

LA STORIA DI HALLVARD

I DUE CACCIATORI DI FOCHE

— Questa è una storia vera. Conosco molte storie, ed alcune sono artefatte, anche se forse quelle elaborate erano vere in un tempo che tutti hanno dimenticato. Conosco anche molte altre storie vere, perché tante strane cose accadono nelle isole del sud che voi gente del nord non vi sognate neppure. Ho scelto questa perché io stesso ero presente e ne ho vista e sentita la maggior parte, come tutti gli altri.

«Io provengo dalla più orientale delle isole meridionali, che è chiamata Glacies. Sulla nostra isola vivevano un uomo e una donna, i miei nonni, che avevano tre figli. I loro nomi erano Anskar, Hallvard e Gundulf. Hallvard era mio padre, e, quando io fui abbastanza grande da essere in grado di aiutarlo a maneggiare la barca, egli non andò più a caccia ed a pesca con i suoi fratelli: uscimmo invece noi due soli, in modo che tutto quello che prendevamo poteva essere portato a casa da mia madre, dalle mie sorelle e dal mio fratello minore.

«I miei zii non si sposarono mai, e così continuarono a dividere la stessa barca. Quello che prendevano lo mangiavano loro oppure lo davano ai miei nonni, che non erano più forti. D’estate, essi coltivavano la terra di mio nonno, che possedeva gli appezzamenti migliori della nostra isola, l’unica vallata che non provasse mai il morso gelido del vento. Laggiù si potevano coltivare cose che non maturavano in nessun altro luogo su Glacies, perché in quella valle la stagione di crescita durava due settimane di più.

«Quando ormai cominciava a spuntarmi la barba, mio nonno radunò tutti gli uomini della nostra famiglia… cioè mio padre, i miei due zii e me. Giunti alla sua casa, trovammo che mia nonna era già morta, ed il prete della grande isola era già venuto a prepararne il corpo. I suoi figli piansero, ed anch’io.

«Quella notte, sedemmo al grande tavolo di mio nonno, con lui ad un’estremità ed il prete all’altra, e mio nonno disse: “Ora è tempo che io disponga delle mie proprietà. Bega non c’è più, la sua famiglia non ha più alcun diritto su di lei, ed io la seguirò fra breve. Hallvard è sposato ed ha la porzione che gli ha portato in dote sua moglie. Con essa, provvede alla sua famiglia, e, sebbene non abbiano sovrabbondanza di cibo, non soffrono la fame. Tu, Anskar, e tu, Gundulf, vi sposerete mai?”

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