— Credo che tuo zio Gundulf doveva amare molto Nennoc — osservò Foila.
— Affermò anche questo, mentre giaceva legato — annuì Hallvard. — Ma tutti gli uomini del sud amano le loro donne. È per loro che affrontiamo il mare invernale, le tempeste e le nebbie gelide. Si dice che quando un uomo spinge la sua barca sui ciottoli, lo strisciare della barca sul fondale scandisce le parole mia moglie, i miei figli, i miei figli, mia moglie.
Chiesi a Melito se desiderava cominciare subito la sua storia, ma egli scosse il capo e rispose che avevamo la mente piena della storia di Hallvard, quindi avrebbe aspettato il giorno successivo. Tutti fecero allora domande ad Hallvard sulla sua vita del sud, confrontando ciò che avevano appreso con il modo in cui viveva la gente delle loro contrade. Solo l’Asciano rimase silenzioso. Mi rammentai allora delle isole galleggianti del Lago Diuturna e ne parlai ad Hallvard ed agli altri, anche se non descrissi la lotta nel castello di Baldanders. Chiacchierammo in quel modo fino a che giunse l’ora del pasto serale.
Quando finimmo di mangiare, cominciava a fare buio. Verso quell’ora, c’era sempre una quiete maggiore, non solo perché ci venivano a mancare le forze, ma anche perché sapevamo che i feriti destinati a morire si sarebbero spenti con ogni probabilità dopo il calare del sole, e particolarmente nel cuore della notte. Era il tempo in cui le passate battaglie tornavano a riscuotere i loro crediti.
Anche sotto altri aspetti, la notte ci rendeva maggiormente consapevoli della guerra. Qualche volta… e durante quella notte lo ricordo in modo particolare… le scariche delle grandi armi ad energia fiammeggiavano attraverso il cielo come lampi di calore. Si sentivano le sentinelle fare la ronda, in modo che il termine turno di guardia , da noi così spesso usato senza altro significato che quello di indicare una decima parte della notte, acquistava una consistente realtà, un’attualità fatta di scalpiccio di piedi e di ordini inintelleggibili.
Arrivò il momento in cui nessuno parlò, e il silenzio si prolungò sempre di più, interrotto solo dai mormoni delle persona sane, le Pellegrine ed i loro schiavi, che venivano ad informarsi sulle condizioni di questo o di quel paziente. Una delle sacerdotesse vestite di scarlatto venne a sedersi vicino al mio giaciglio, e la mia mente, prossima al sonno, era talmente intorpidita che ci volle qualche tempo prima che mi rendessi conto che la donna doveva aver portato con sé uno sgabello.
— Sei tu Severian, l’amico di Miles? — chiese.
— Sì.
— Si è rammentato il suo nome. Pensavo che ti sarebbe piaciuto apprenderlo. Gli chiesi quale nome fosse.
— Come, Miles, te l’ho appena detto.
— Ricorderà anche altre cose, credo, man mano che il tempo passa.
La donna annuì; sembrava aver superato la mezza età, ed aveva un volto austero e gentile.
— Sono certa che ricorderà. La sua casa e la sua famiglia.
— Se ne ha una.
— Già, alcuni non ce l’hanno. Alcuni non hanno neppure la capacità di farsi una casa.
— Ti stai riferendo a me.
— No, niente affatto. Comunque, quell’incapacità è qualcosa cui non si può porre rimedio. Ma è molto meglio, specie per gli uomini, avere una casa. Come quel tizio di cui parlava il tuo amico, la maggior parte degli uomini crede di creare una casa per la propria famiglia, ma in realtà essi creano sia la casa che la la famiglia per se stessi.
— Allora stavi ascoltando Hallward.
— Parecchi di noi lo stavano ascoltando. Una sorella è venuta a chiamarmi nel momento in cui il nonno del paziente faceva il suo testamento. Ho sentito tutto il resto. Sai qual era il problema dello zio cattivo, di Gundulf?
— Suppongo che fosse innamorato.
— No, questo andava benissimo per lui. Ogni persona, vedi, è come una pianta: c’è una splendida parte verde, spesso dotata di fiori o di frutti, che cresce verso l’alto in direzione del sole, verso l’Increato. C’è anche una parte oscura, che cresce lontano da essa, sprofondando là dove la luce non arriva.
— Non ho mai studiato le scritture degli iniziati — replicai, — ma anch’io sono consapevole dell’esistenza del bene e del male in ognuno di noi.
— Stavo forse parlando del bene o del male? Sono le radici che danno alla pianta la forza di salire verso il sole, anche se non lo sanno. Supponiamo che qualche falce, muovendosi sibilante lungo il terreno, debba tagliare lo stelo alle radici. Lo stelo cadrà e morirà, ma le radici potrebbero generare un altro stelo.
— Tu stai dicendo che il male è buono.
— No. Sto dicendo che le cose che noi amiamo negli altri ed ammiriamo in noi stessi nascono da cose che non vediamo ed a cui raramente pensiamo. Gundulf, come gli altri uomini, aveva in sé l’istinto di esercitare l’autorità. Una crescita adeguata di tale istinto è il fondamento della famiglia… ed anche le donne possiedono un simile istinto. In Gundulf, quell’istinto era stato frustrato per un lungo tempo, come lo è in molti soldati che vedi qui. Gli ufficiali hanno i loro incarichi di comando, ma i soldati che non hanno alcun comando da esercitare soffrono e non sanno perché soffrono. Alcuni, naturalmente, creano legami con altri compagni fra i ranghi. Talvolta parecchi si dividono una sola donna o un uomo che è come una donna. Alcuni si prendono animali come compagni, ed altri accolgono bambini lasciati senza casa dalla guerra.
— Posso capire perché tu abbia obiezioni da muovere a questo — dissi, ricordandomi del figlio di Casdoe.
— Noi non obiettiamo… sicuramente non a questo e neppure a cose che sono molto meno naturali. Io sto solo parlando dell’istinto di esercitare autorità. Nello zio cattivo, tale istinto lo ha spinto ad amare una donna, e specificatamente una donna che aveva già un bambino, cosicché ci sarebbe stata per lui una famiglia ancora più grande non appena si fosse formato una famiglia. In quel modo, vedi, avrebbe riguadagnato parte del tempo che aveva perduto.
La Pellegrina fece una pausa, ed io annuii.
— Ma era già stato perso troppo tempo. L’istinto si è manifestato anche in un altro modo, e Gundulf si è visto come il padrone di diritto delle terre che amministrava per conto di un fratello e come il padrone della vita dell’altro fratello. Era una visione ingannevole, non ti pare?
— Suppongo di sì.
— Altri possono avere visioni altrettanto ingannevoli, per quanto meno pericolose. — La donna mi sorrise. — Tu ritieni di possedere una qualche speciale autorità?
— Io sono un artigiano della corporazione dei Cercatori della Verità e della Penitenza, ma tale posizione non implica alcuna autorità. Noi della corporazione obbediamo soltanto alla volontà dei giudici.
— Pensavo che la corporazione dei torturatori fosse stata abolita molto tempo fa. È divenuta allora una sorta di confraternita per i littori?
— Essa esiste ancora.
— Senza dubbio. Ma, alcuni secoli fa, era una vera corporazione, come quella dei lavoratori dell’argento. Almeno, così ho letto in certi testi storici conservati dal nostro ordine.
Nell’ascoltarla, provai un momento di selvaggia esaltazione. Non perché supponessi che la donna potesse avere in qualche modo ragione. Io sono, forse, pazzo sotto certi aspetti, ma so quali sono questi aspetti, e l’ingannare me stesso non rientra nella categoria. Nondimeno, mi sembrava una cosa meravigliosa… anche solo per un momento… che potesse esistere un mondo in cui fosse possibile una simile convinzione. Mi resi conto allora, forse per la prima volta, che nella Repubblica c’erano milioni di persone che non sapevano nulla delle più elevate forme di giustizia e delle punizioni relative, che non sapevano nulla dei cerchi concentrici d’intrigo che circondavano l’Autarca. E quello era vino per me, o piuttosto brandy, e mi lasciò ubriaco di gioia.
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