Jack Vance - Rhialto il meraviglioso

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Rhialto il meraviglioso: краткое содержание, описание и аннотация

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«Chiarissimo, Signore», annuì Frole. «Circa le festicciole non inviterò gli amici né i parenti, ma… per quanto riguarda le amiche? E inoltre, quando devo attendere il vostro ritorno?»

Rhialto strinse le palpebre. «Non voglio fissare una data precisa. Riguardo all’altra domanda, sia esplicito che il divieto d’ingresso a Falu è esteso anche al sesso femminile. Al mio ritorno controllerò che gli ordini siano stati eseguiti meticolosamente. Prepara i tre bauli rinforzati in argento, due colmi di biancheria e uno per i vestiti che sceglierò dopo pranzo».

Con un Incantesimo di Viaggio, Rhialto si trasferì sulla Costa Sousanese, nell’Almeria Meridionale, dove la temperatura era mite e proliferava una vegetazione dai colori esotici. In alcune foreste c’erano alberi che crescevano fino a un’altezza impressionante. La popolazione locale era composta da gente di bassa statura, bruni e con occhi dal taglio allungato, che si autodefinivano «Sxyzyskzyiks» — ovvero il Popolo Civile — e prendevano molto seriamente il senso letterale di quel nominativo. La loro cultura aveva sviluppato una sconcertante quantità di comportamenti obbligati, la padronanza dei quali definiva lo stato sociale. Di conseguenza, gli ambiziosi spendevano molto tempo ed energie esercitandosi nella manu-gestizione, studiando le decorazioni-auricolari, le tecniche per arrotolare il turbante e la cintura, le disposizioni dei lacci da scarpa, l’elaborazione del saluto a seconda dell’ora e del luogo, le minacce da proferirsi nei confronti dei fantasmi, i complicati insulti gestuali, l’appropriato modo d’imprecare nel caso che ci si pungesse con una spina o si cadesse da un albero e in altre innumerevoli circostanze diverse.

Rhialto prese alloggio in un riposante ostello, dove si fece assegnare due ariose stanze nell’ala sorretta da palafitte prospiciente il mare. La mobilia era in legno di canfora dipinto in nero, e il pavimento ricoperto da stuoie verdi lasciava trapelare appena lo sciabordio della risacca sottostante. I pasti gli venivano serviti da una dozzina di rigidi camerieri nel giardino con vista sul mare, che al tramonto era illuminato dalle tremule fiammelle dei fiorcandeli.

I giorni trascorrevano lenti in quel pigro panorama marino dai colori smorzati. Alla sera, quando nel firmamento palpitavano le poche stelle rimaste visibili, la musica dei flauti e dei ricurvi liuti si spandeva come una brezza lungo le spiagge tiepide. I nervi di Rhialto s’erano alquanto distesi, e l’esasperazione che l’aveva fatto fuggire dalla Valle dello Scaum ora gli appariva lontana. Vestito di un bianco kirt a gonna nello stile locale, con sandali e un turbante dai nastri penduli, Rhialto passeggiò lungo la costa, curiosò nei bazaar dei villaggi in cerca di conchiglie dalla forma singolare e sedette a bere succo di frutta all’ombra dei palmospini osservando delle agili ed eleganti fanciulle del posto.

Un pomeriggio, per ingannare il tempo, costruì un grosso castello di sabbia sulla spiaggia. Con un incantesimo lo rese inattaccabile dalle onde, e poi, per divertire e meravigliare i bambini che lo osservavano, lo fornì di una popolazione di minuscoli abitanti vestiti come gli Zahariotes del XIV° Eone. Ogni giorno un esercito di cavalieri e spadaccini ne usciva sfilando a passo di marcia sulla spiaggia, e poi dava spettacolo con finti combattimenti fra grida acute e sventolare di stendardi. I bambini offrivano a quel microcosmo di piccolissimi personaggi frutta e granchi, e con immenso divertimento assistevano ai loro pasti e alle manovre militari.

Un pomeriggio, una banda di giovinastri con una decina di cani scese sulla spiaggia e, nel vedere il castello, costoro incitarono i cani ad attaccarne la popolazione. Rhialto, che stava facendo il bagno, mormorò un Sortilegio di Animazione: da un cortile del castelletto sì levò in volo uno squadrone di lancieri montati su colibrì, e la ronzante truppa d’assalto impegnò i cani scagliando lance dalla punta infuocata che li fecero fuggire terrorizzati fino all’altro capo della spiaggia. Poi i cavalieri fecero una sortita investendo i giovinastri con grandini di frecce fiammeggianti, ignorarono eroicamente le loro sassate, e li costrinsero a ritirarsi fra la vegetazione.

Un’ora dopo, allorché il gruppetto tornò alla spiaggia accompagnato dalle guardie e da alcuni notabili del paese, costoro trovarono soltanto un’informe montagnola di sabbia poco distante, dalla quale Rhialto, seduto su una sdraia sonnecchiava tranquillamente all’ombra di un palmospino.

L’episodio sollevò un vespaio di commenti e di chiacchiere, e per qualche giorno Rhialto fu oggetto di dubbi e occhiate scrutatici. Ma sulla Costa Sousanese ogni sensazione vivace sfumava ben presto nel torpore, e anche quella vicenda non tardò a finire nel dimenticatoio.

Nel frattempo, nella Valle dello Scaum, Hache-Moncour stava facendo tesoro dell’assenza di Rhialto. Su suo suggerimento Ildefonse convocò un «Conclave Commemorativo» per onorare le imprese di Phandaal il Grande, l’intrepido genio del XVIII° Eone che aveva sistematizzato il controllo dei Sandestins. Quando i Maghi dell’Associazione si furono riuniti a Palazzo Boumegarth, Hache-Moncour dirottò abilmente la discussione su Rhialto e su quelli che si potevano supporre come i suoi misfatti più sciocchi e ingiustificati.

«Io personalmente», dichiarò Hache-Moncour con energia, «considero Rhialto uno fra i miei più cari amici, e mi rifiuto di parlare di lui in sua assenza. Lo farò soltanto se si tratta di proteggere la sua reputazione, o per giustificarne il comportamento, visto che molti di voi hanno buoni motivi per infliggergli severe penalità».

«Questo è molto generoso da parte tua», disse Ildefonse. «Devo dunque presumere che Rhialto e la sua condotta meritino d’essere oggetto di una discussione formale?»

«E perché non dovrebbe essere così?», grugnì Gilgad. «La mia opinione è che abbia compiuto atti riprovevoli».

«Andiamo, andiamo», esclamò Hache-Moncour. «Non calunniarlo a vanvera. Devi addurre prove concrete, altrimenti io, parlando a sua difesa, invocherò un voto di approvazione per Rhialto il Meraviglioso».

Gilgad si alzò di scatto. «Cosa? Tu mi accusi di calunniarlo? Tu stai dimenticando che io, Gilgad, sono il Mago che ha creato ben dieci incantesimi contro Keino il Diavolo-Marino!».

«La mia era solo un’obiezione formale», chiarì Hache-Moncour. «Nel difendere Rhialto, sono obbligato a usare i termini che sceglierebbe lui. Se ad esempio protesto con parole insultanti, o metto sfacciatamente in piazza le tue segrete disgrazie, devi far conto che queste siano le parole di Rhialto, e non già quelle del tuo collega Hache-Moncour, che mira solo a fungere da moderatore. Ebbene, Signori, visto che Gilgad è troppo timido per pretendere una condanna, o troppo codardo per esibire prove dei danni subiti, chi altro vuole alzarsi per farlo?»

«Bah!», gridò Gilgad, inferocito. «Vedo che, nel fungere da bocca di Rhialto, imiti bene il sarcasmo offensivo del tuo amico. Chiedo che sia messo a verbale questo: io accuso Rhialto di sregolatezza morale, di aver crudelmente percosso il mio simiote da guardia, ed esigo che sia chiamato a renderne conto».

Ildefonse suggerì: «Nell’interesse della brevità, a me pare che queste due accuse possano ridursi a una soltanto, ovverosia quella di aver picchiato il tuo animale esibendo sregolatezza. Sei d’accordo?»

Con un borbottio, Gilgad acconsentì che fosse messa a verbale quell’unica accusa.

Ildefonse osservò i venti colleghi seduti in sala. «Ci sono altri che appoggiano la mozione?».

Hache-Moncour rivolse loro un gesto sprezzante. «Che manica di pusillanimi buoni solo a chiacchierare! Se sarà necessario, come sostituto di Rhialto, sono disposto ad appoggiare la mozione io stesso. Questo allo scopo di dimostrare che le parole di Gilgad sono una ripicca infantile e immotivata!».

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