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Jack Vance: Rhialto il meraviglioso

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Jack Vance Rhialto il meraviglioso
  • Название:
    Rhialto il meraviglioso
  • Автор:
  • Издательство:
    Fanucci
  • Жанр:
  • Год:
    1986
  • Город:
    Roma
  • Язык:
    Итальянский
  • Рейтинг книги:
    3 / 5
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L’episodio sarebbe passato del tutto inosservato, se Hache-Moncour non avesse avuto la brillante idea di scattare un’immagine pittografica della scenetta, e questa fu fatta circolare sia fra i Maghi che fra altri personaggi della nobiltà di Ascolais, alla cui opinione Hurtiancz teneva moltissimo. Il pittogramma inquadrava il Mago con la sola punta del naso rossastro che gli emergeva dal cappello, mentre al suo fianco Rhialto lo fissava con un sorrisetto alquanto ironico.

Rhialto fu il solo a non ricevere una copia del pittogramma, e nessuno gliene parlò, in specie Hurtiancz. Ma egli se ne ritenne oltraggiato, e in seguito alla cosa tutti notarono che faticava a tenere la voce sotto controllo quando qualcuno menzionava Rhialto.

Hache-Moncour fu deliziato dal successo del suo scherzetto. Ogni colpo dato alla reputazione di Rhialto poteva servire a incrementare la sua. Inoltre si accorse d’aver provato un malizioso piacere nel mettere in cattiva luce il collega.

Da quel giorno Hache-Moncour diede il via a un’intera serie di piccoli intrighi, elucubrare i quali divenne per lui una sorta di appassionante ossessione. Ormai aveva chiarito a sé stesso di avere un traguardo: minare la stima di cui godeva l’orgoglioso Rhialto fino a ridurlo nell’umiliazione più completa.

Nel perseguire questo scopo il Mago lavorò con tutta la sottigliezza delle sue arti, cosicché nei primi tempi Rhialto non si rese conto di nulla. L’effetto di quei sotterfugi era spesso minimo, ma ciascuno recava con sé la sua dose di veleno.

Dopo aver appreso che Rhialto stava rimettendo a nuovo le camere degli ospiti a Palazzo Falu, Hache-Moncour rubò una preziosa gemma ad Ao degli Opali, quindi manovrò in modo che essa fungesse da pendente per la catenella del cesso, nel più elegante gabinetto da bagno di Palazzo Falu.

Dieci giorni più tardi Ao ebbe occasione di servirsi di quel gabinetto, e il suo sbalordimento nel trovare lì lo stupendo opale a goccia fu inferiore solo all’ira che lo prese nel vederlo usato come pendente in un cesso. Come già Hurtiancz, si sentì pugnalato alle spalle da un’offesa ingiustificata e rovente. Malgrado ciò, l’Articolo Quattro del Codice Azzurro parlava chiaro in merito ai dissidi, ed egli fu costretto a tenere ogni risentimento sotto controllo: tacque, e abbandonò Palazzo Falu senza fornire spiegazioni, cosa che costernò Rhialto.

In un’altra circostanza, mentre Rhialto era alle prese con esperimenti su certi bulbi di plasma illuminante, Hache-Moncour ne prelevò uno e di nascosto lo piazzò fra i rami di un Albero del Profumo, nel giardino di Zilifant. La pianta era unica al mondo, originaria di Canopo e, dopo aver penato molto per ottenerla, adesso Zilifant la curava con amorevole sollecitudine. Durante la notte il freddo fece esplodere il plasma, che disintegrò tutto il fogliame e impregnò di un puzzo disgustoso l’intera facciata del palazzo.

Zilifant fece la sua comparsa alla riunione del giorno dopo nero in faccia, accusò Rhialto con voce rotta dall’angoscia, e chiese un completo risarcimento dei danni. Rhialto contestò l’accusa con fredda logica, citò sei diversi motivi per cui nessuno dei suoi bulbi di plasma poteva aver causato il misfatto e, pur esprimendogli il suo cordoglio, rifiutò di fornire al collega qualsiasi risarcimento. La sera stessa Hache-Moncour si servì della tecnica del pettegolezzo per far circolare voce che Rhialto, tempo addietro, s’era strappato la tunica su una spina dell’Albero del Profumo, e aveva borbottato qualcosa sul fatto di dargli fuoco. Lo stesso pettegolezzo, che egli curò di far giungere a Zilifant, riferiva un commento spregioso di Rhialto circa il suo odore personale e la necessità che quindi aveva di coltivare piante capaci di deodorargli almeno la dimora.

Poco tempo dopo ci fu un altro episodio. Il Mago Gilgad possedeva un simiote da guardia, semi-intelligente, a cui s’era alquanto affezionato. Sfruttando le ombre del tramonto, Hache-Moncour, con addosso una tuta nera, mantello e copricapo, identici a quelli che aveva Rhialto, catturò l’animale e con una catena al collo lo portò via. A poca distanza da Palazzo Falu bastonò furiosamente il simiote, lo appese per la coda a un agrifoglio in fondo al frutteto, gli ficcò un riccio in bocca e lo lasciò lì stordito e sanguinante.

All’alba del mattino successivo, Gilgad indagò fra i contadini della zona e seguì una traccia che lo condusse nel frutteto di Palazzo Falu. Liberò il simiote, lo interrogò, interpretò i lamenti che esso guaiva disperato, quindi mise Rhialto a confronto con l’evidenza della sua colpa.

Seccato per la levataccia, Rhialto negò decisamente d’essere a conoscenza dell’accaduto. Ma Gilgad, indignatissimo, rifiutò di lasciarsi convincere. Con voce rauca gridò:

«Boobi ti ha riconosciuto chiaramente! E non solo ti ha descritto, ma dice che, dopo averlo percosso con selvaggia brutalità, hai pronunciato queste parole: “Io sono Rhialto, odio le bestie, e se t’illudi che la punizione sia finita qui, aspetta solo che mi sia dato una rinfrescata!” Non ho mai visto una simile dimostrazione di spietata efferatezza verso una creatura innocente!»

Rhialto ebbe un gesto di noia. «Devi decidere a chi prestar fede: se a me oppure a quella bestia ripugnante». Sbuffò in direzione del simbiote, lasciò Gilgad in giardino e rientrò nella sua dimora a lunghi passi. Gilgad agitò un pugno verso la porta chiusa, poi caricò Boobi su una barella improvvisata e lo riportò a casa per curarlo. Da allora in poi Rhialto seppe di poter annoverare anche Gilgad fra le persone che ce l’avevano con lui.

In un’altra occasione Rhialto, pur agendo in tutta innocenza, fu vittima di un insieme di circostanze, e di nuovo divenne oggetto delle recriminazioni altrui. Hache-Moncour non ebbe alcuna parte nell’inizio della faccenda ma, appena ne vide l’opportunità, si affrettò a moltiplicarne gli effetti deleteri.

L’episodio cominciò in un’atmosfera di piacevole anticipazione. Il nobiluomo più eminente della regione era Duker Tambasco, una persona impeccabile nella sua dignità e appartenente a un antico casato. Ogni anno, all’equinozio d’estate, per celebrare il valoroso sforzo che il Sole compiva nel sopravvivere, Duker Tambasco dava l’ormai tradizionale Ballo dell’Equinozio nella sua magione, Castel Quanorq. La lista degli invitati era selezionata con cura e in quell’occasione essa incluse fra gli altri anche Rhialto, Ildefonse, e il Necrope Byzant.

Ildefonse e Byzant s’incontrarono a Palazzo Boumegarth, elettrizzarono il proprio umore con qualche boccale del miglior chiaretto di Ildefonse, si congratularono l’un l’altro per la loro eleganza, e illustrarono con ameni dettagli quali tecniche ritenevano più efficaci per sedurre le eleganti e appetitose femmine con cui avrebbero ballato.

Poco prima Ildefonse aveva mutato le sue sembianze in quelle di un giovane aitante abbronzato da molte avventure in terre lontane, temperando l’immagine con baffetti e riccioli biondi assai seducenti per far presa anche su fanciulle meno sportive. L’abbigliamento che aveva scelto s’intonava a quella duplicità: velluto verde e seta dorata, con un cappello dalla lunga piuma bianca a sormontare il tutto.

Byzant, pianificando sé stesso con uguale cura, aveva scelto l’aspetto d’un delicato e timido esteta, sensibile alle sfumature e teso a cogliere i romantici palpiti ed i fuggitivi sospiri delle dame. Aveva occhi verde smeraldo, riccioli nerissimi, e l’incarnato pallido di un giovane poeta poco incline ad abbandonare la penna ed il lavoro. Sapeva per esperienza che quell’immagine fisica aveva un effetto devastante anche sulla fantasia delle femmine più smaliziate.

«Stasera voglio per me la più voluttuosa», dichiarò a Ildefonse. «Prima la guarderò come se fosse la Luna ed io un poeta, e quindi la trascinerò in una spirale emotiva che finirà in un grido d’estasi fra le lenzuola».

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