Lei lo fissò senza parole, ripensando a tutto ciò che le era accaduto in quegli strani e interminabili giorni. Esclamò: — E tu stavi ancora con me, per proteggermi? — Lui annuì. — Morgon, io ti ho detto ciò che sono; e tu hai potuto vedere quale oscuro potere stavo risvegliando dentro di me… ne conoscevi l’origine. Tu sapevi che io sono una consanguinea degli stessi cambiaforma che hanno cercato di ucciderti, ed eri convinto che io aiutassi l’uomo che ti ha tradito… in nome di Hel perché mai avevi ancora tanta fiducia in me?
Le mani di lui, chiuse intorno alla corona d’oro del teschio, strinsero il metallo intarsiato fino a sbiancarsi. — Non lo so. Ho fatto questa scelta, allora e per sempre. E tu, per quanto tempo ancora intendi portare in giro questo teschio?
Lei scosse la testa senza parlare, e allungò una mano per prendere il teschio e ridarlo a Farr. La luce cadde sul piccolo disegno a dodici angoli che le risaltava bianco sul palmo; una mano di Morgon le afferrò bruscamente il polso.
— Questo che cos’è?
Lei resistette all’impulso di richiudere le dita su di esso. — Mi è venuto… è comparso la prima volta che ho preso in mano il fuoco. Per eludere le navi da guerra di Ymris usai una pietra trovata a Pian Bocca di Re, e feci un incantesimo di luce. Mentre ero legata ad esso, guardando dentro la pietra vidi un uomo che a sua volta la teneva in mano e la fissava, come se stesse cercando qualcosa nella sua memoria. Io quasi… io ero già sul punto di scoprire chi era. Ma proprio allora sentii la mente di una cambiaforma dentro la mia, anch’essa in cerca del suo nome, e poi il legame si spezzò. Adesso la pietra è perduta, ma… i suoi contorni mi hanno lasciato questa cicatrice sul palmo.
La mano di lui si riaprì, sostenendole il polso con una strana dolcezza. Alzò gli occhi a guardarlo; la paura che lesse sul suo volto le gelò il cuore. Lui le passò le braccia attorno e la strinse a sé con un tremito, come se temesse che svanisse dalla sua realtà in uno sbuffo di nebbia e che soltanto le sue cieche speranze potessero trattenerla ancora lì.
Un fruscio di metallo sulla pietra li fece voltare entrambi. Duac raccolse la spada stellata dal pavimento, e nel raddrizzarsi si volse a Morgon. — Cos’è quel segno sulla sua mano? — domandò, preoccupato.
Lui scosse il capo. — Non lo so. So soltanto che per un anno Ghisteslwchlohm ha frugato nella mia mente per un frammento di conoscenza, andando avanti e indietro attraverso i miei ricordi in cerca di un certo volto, e di un nome. Potrebbe trattarsi dello stesso che ha visto lei.
— Il nome di chi? — chiese Duac. Raederle, scossa dall’orrore, immerse il viso contro una spalla di Morgon.
— Non si è preso la briga di dirmelo.
— Se vogliono la pietra, possono ritrovarla da soli — disse Raederle stancamente. Lui non aveva risposto alla domanda di Duac, ma avrebbe risposto a lei, più tardi. — Nessuna ha… la cambiaforma non ha potuto sapere niente da me. Adesso è in fondo al mare, con la corona di Peven… — Rialzò la testa, volgendosi di scatto a Duac. — Io credo che nostro padre sapesse tutto del Supremo. E di… probabilmente anche di me.
— Non ne dubito. — Duac ebbe una smorfia pensosa. — Talvolta penso che sia nato sapendo già tutto. Salvo come ritrovare la strada di casa.
— E nei guai? — domandò Morgon. Duac lo fissò un attimo, sorpreso, poi scosse la testa.
— No… almeno, non credo. L’avrei sentito, se fosse così.
— Allora so io dove può essere andato. Lo ritroverò.
Rood attraversò il salone e si accostò a loro. Il suo volto era rigato di lacrime, ma esibiva la stessa altera e placida espressione che si portava dietro nei suoi anni di scuola e nelle risse da taverna. A bassa voce disse a Morgon: — Io ti aiuterò.
— Rood…
— Lui è mio padre. Tu sei il più grande Maestro del reame. E io sono un Maestro Apprendista. E possa io essere sepolto accanto a Farr di Hel se ti lascerò uscire da questa casa nello stesso modo in cui ci sei entrato: da solo!
— Non ne ha bisogno — disse Raederle.
Duac protestò con tono basso e deciso: — Rood, tu non puoi lasciarmi solo con questi Re. Non so neanche i nomi di metà di loro. Quelli che sono riusciti ad arrivare fin qui potranno esser tenuti sotto controllo per un poco, forse, ma per quanto? Aum si solleverà, e anche l’ovest di Hel. In tutta An ci sono soltanto cinque persone che non si lasceranno prendere dal panico, e tu ed io siamo in questo numero.
— Io ci sono davvero?
— Nessuno spettro — tagliò corto Morgon, — entrerà ancora in questa casa. — Soppesò il teschio fra le mani, sotto lo sguardo degli altri, e poi lo gettò a Farr. Il Re lo prese al volo senza alcun rumore, vagamente stupito, come se avesse dimenticato che cosa fosse. Morgon fronteggiò l’immobile gruppo dei fantasmi, con le mani sui fianchi. — Volete una guerra? Io posso darvene una. Una guerra fatta di disperazione, per la terra stessa. Se la perderete, state certi che vagherete come ombre lacrimevoli da un capo all’altro del reame senza mai più trovare un luogo dove riposare in pace. Quale specie di onore, sempre che i morti si preoccupino dell’onore, avete trovato facendo fuggire il toro di Cyn Croeg fino ad ammazzarlo?
— Quella è stata una vendetta — puntualizzò Farr.
— Sì, lo è stata. Ma io sigillerò questa casa su di voi pietra su pietra, se dovrò farlo. Agirò secondo come voi mi costringerete ad agire. E io non mi preoccupo molto dell’onore. — Fece una pausa, poi aggiunse lentamente: — Non ho neppure gli scrupoli che potrebbero avere i morti o i vivi di An, legati alla vostra stessa terra.
— Tu non hai nessun potere sui morti di An — intervenne Oen. Ma il suo tono era quello di una domanda. Negli occhi di Morgon apparve una luce dura come la roccia del Monte Erlenstar su cui era stato disteso.
— Io ho imparato da un maestro — disse. — Voi potete combattere le vostre battaglie prive di significato, cadute nel dimenticatoio. Oppure potete battervi contro coloro che hanno dato a Oen quel suo erede, che vogliono distruggere Anuin, ed Hel, e anche la terra a cui siete legati, se li lascerete fare. Ed è una cosa — aggiunse, — che riguarda tutti voi.
Evern il Falconiere chiese: — E che possibilità abbiamo?
— Io non so dirvelo. Forse nessuna. — Morgon strinse i pugni e mormorò: — Ma giuro sul mio nome che, se potrò, vi darò una possibilità.
Fra i vivi e i morti tornò a cadere il silenzio. Quasi con riluttanza si volse a Duac con una domanda negli occhi. Il giovane ne comprese l’essenza, grazie all’istinto che lo legava alla terra di An.
La sua voce suonò decisa: — Tu puoi fare ciò che vuoi in questa terra. Chiedimi tutto quello di cui avrai bisogno. Io non sono un Maestro, non ho compreso bene ciò che hai fatto e detto in questa dimora. Non posso neppure cominciare a capire. E non so come tu possa avere un qualche genere di potere sulle leggi della terra di An. Tu e mio padre, quando lo avrai ritrovato, potrete parlarne fra voi. Tutto ciò che so è che in me c’è un istinto che mi spinge a fidare ciecamente in te. Al di là della ragione, e al di là della speranza.
Sollevò la spada e la porse a Morgon. Le stelle rifletterono i raggi del sole al tramonto con inaspettata dolcezza. Morgon fissò Duac senza muoversi. Fece per parlare ma non ci riuscì. D’improvviso volse gli occhi sulla soglia vuota; osservandolo Raederle si chiese cosa stesse guardando oltre il cortile, oltre le mura di Anuin. Infine le dita di lui si chiusero sull’elsa stellata, e sollevò l’arma dalle mani di Duac.
— Grazie. — Sul suo volto gli altri videro sciogliersi il tormento dei ricordi, come un velo che stesse cadendo, e i lineamenti gli si distesero. Alzò l’altra mano, sfiorò il volto di Raederle e sorrise. Poi ebbe un sospiro incerto. — Io non ho niente da offrirti. Neppure la corona di Peven. Neppure la pace. Te la sentiresti di attendere il mio ritorno, come già hai atteso, ancora per un po’? Non sono in grado di dirti quanto. Dovrò passare da Hed, e poi dovrò andare a Lungold. Io cercherò di… cercherò di…
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