“Ho preso Bella,
l’ho messa in padella.
C’è restata di sasso,
è proprio uno spasso!”
Lei si voltò a guardarlo infastidita, e tirò la catena d’oro. Subito lui cadde in avanti contro le rocce, facendosi un taglio su una spalla. Ignorando il dolore, si toccò la ferita con un dito, poi leccò il sangue. — Il vino è forte ma le gambe sono corte — dichiarò solennemente.
Guardandolo, lei non poté fare a meno di sorridere. Gli aveva dato una forma ridicola, e lui si era immedesimato nella parte. Questo le fece piacere. — Come si chiama il vino? — chiese stando al gioco.
— Rosso bilioso, dai vigneti di Urubugala.
— Urubugala — disse lei, e rise. — Urubugala. È la lingua di Elukra, vero? Cosa vuol dire?
— Galletto — rispose Sleeve.
— Galletto mio — disse lei. — Mio Urubugala. — Era un buon nome per la creatura in cui egli si era trasformato. E il nome non spiaceva a Sleeve. Se serviva a tenerlo in vita, gli piaceva. Sleeve non era uno di quegli uomini deboli e orgogliosi che possono essere controllati dalla minaccia dell’umiliazione. C’erano occasioni in cui apprezzava perfino la libertà che gli dava la sua parte di buffone.
“Bella aveva una bambina
ch’era tanto piccolina.
Un bel mattino
divenne un pesciolino.”
Bella lo guardò torva, ma Sleeve si alzò la tunica, e avanzò verso di lei mostrando i suoi grotteschi genitali. — Se ti piace fare la mamma, sarò ben lieto di generartene un’altra.
— Non sempre sei divertente — disse Bella. — Non mi piaci quando non sei divertente.
Sleeve le andò vicino e sussurrò: — Dov’è la bambina?
Immediatamente sentì un dolore lancinante nella testa, come se i suoi occhi venissero spinti fuori da qualcosa che cresceva dietro di essi. Dopo pochi momenti terminò. Rifiutò di farsi vincere così facilmente.
— La bambina è morta! Vive nella mia mente!
— Stai zitto, Sleeve.
Sleeve si rizzò per tutta l’altezza che gli era rimasta. — Il mio nome, Madama Bella, è Urubugala. — Tornò a sussurrare. — Impari molto in fretta. Era tutto in quei libri che hai letto?
Asineth aveva solo quattordici anni, ed era sensibile all’adulazione. Sorrise e disse: — I libri non erano nulla. Non sanno nulla. Tutto quello che ho imparato è stato come ottenere la forza. Una volta che ho pagato il prezzo per essa, la forza è diventata la mia maestra. Adesso, mi basta pensare a una cosa e posso farla. E la cosa più deliziosa di tutte è che è stato Palicrovol stesso a darmi la forza. Mi ha dato la forza, ma solo una donna può averla.
— Anche un uomo può averla — disse Urubugala.
Vide la paura balenarle sul viso. Non era ancora sicura del suo potere. — Come può un uomo averla, se un uomo non può creare un figlio dal suo corpo?
Ancora una volta lui rispose in rima:
“Con le palle contro il muro
e tenendolo ben duro
ci cibiam del nostro seme,
e di forza abbiam la speme.”
— Sei disgustoso — disse lei. — Nessun uomo può avere un potere pari al mio. E nessuna altra donna, poiché nessuna donna ha in lei un odio sufficiente per fare ciò che ho fatto. — Lo disse con orgoglio, e ancora una volta Sleeve nascose la sua paura dietro lo scherzo.
— Io sono il tuo pagliaccio e tu sei il mio mostraccio. Dov’è mai la tua bambina? Oh, abbiamo avuto una discussione. — Bella gettò indietro la testa e sorrise. — Ho vinto io. — A Sleeve parve di poter vedere ancora il sangue sulla sua lingua.
Come la Principessa dei Fiori perse il corpo, il marito e la libertà, tutto in un’ora, il giorno del suo matrimonio.
Il corteo reale
Giunse alle foci del Burimg con la flotta di alte navi del padre. Palicrovol mandò mille cantori per accoglierla al porto. Talmente perfetto era il canto, che il più sordo marinaio della nave più lontana udì tutte le parole.
Risalì il fiume sull’unica galea che suo padre avesse mai costruito, ma i rematori erano liberi, non schiavi, e tutti indossavano vesti fiorite.
Ogni giorno del viaggio, cento donne sedevano sotto coperta intrecciando fiori freschi per farne abiti, in maniera che ogni giorno gli abiti erano nuovi. E quando ella giunse alla grande città di Inwit, mille canestri di fiori vennero rovesciati a monte, e tutto il Burring, da una riva all’altra, fu ricoperto di petali per l’arrivo della Principessa dei Fiori.
Palicrovol in persona l’accolse alla Porta Reale, con i preti di Dio biancovestiti che lo circondavano, e vergini biancovestite dal convento fecero scendere la Principessa dei Fiori dalla nave del padre. Palicrovol si inchinò di fronte a lei, e il corteo che le si fece incontro iniziò la Danza della Discesa.
La Danza terminò al palazzo, nella Sala delle Risposte, una stanza che non era stata aperta da un secolo, perché era troppo perfetta per essere usata. Avorio e alabastro, ambra e giada, marmo e ossidiana erano il pavimento, le pareti, il soffitto della Sala delle Risposte, e qui la Principessa dei Fiori scelse di portare il suo anello sul dito medio della sinistra, ma all’inizio del dito, per indicare fecondità e fedeltà; e (Oh meraviglia!) anche Palicrovol portava l’anello al medio della destra, all’inizio del dito, per indicare adorazione e indeflettibile lealtà. Le centinaia di ospiti che assistevano acclamarono.
E in quel momento, una donna imperiosa avanzò nella sala, conducendo un grottesco nano nero legato a una catena d’oro, e Enziquelvinisensee Evelvenin si voltò a guardare la donna, e il matrimonio venne interrotto.
Re e schiavo
— Bene — disse la donna straniera.
Il nano intonò una canzoncina.
“Pur se brutta tu non sei,
non sei bella come lei.”
Palicrovol parlò da dietro la Principessa dei Fiori. — Chi sei? Come sei entrata nel palazzo?
— Chi sono io, Urubugala? — chiese la donna.
— Questa signora è Bella, la più grande di tutti gli dèi — disse il nano. — Per primo ha incatenato il Cervo alle radici del mondo. Poi ha catturato le Dolci Sorelle, intrappolandole in corpi buffissimi. Poi ha piegato Dio e l’ha imprigionato. E alla fine è venuta dal povero Sleeve e l’ha disfatto, disfatto, disfatto.
— Sleeve — disse Palicrovol. — È venuta da Sleeve.
— Mi riconosci, Palicrovol? — chiese la donna.
— Asineth — sussurrò lui.
— Se mi chiami con questo nome, non mi conosci ancora. — Si rivolse alla Principessa dei Fiori. — Così tu sei ciò che lui ama di più al mondo. Vedo che sei molto bella.
Ancora una volta il nano cantò con la sua strana voce.
“Certo Bella è molto bella,
ma vorrebbe il corpo
di una ancor più bella.”
— Vedo che sei molto bella — ripeté la straniera. — Perciò mi sembra giusto che Bella abbia questo viso e questa forma.
Enziquelvinisensee vide la donna trasformarsi di fronte ai suoi occhi, in una faccia che conosceva e non conosceva. La conosceva perché era la sua faccia, e non la conosceva perché non la vedeva allo specchio, come l’aveva sempre vista, ma esattamente come la vedevano gli altri. — Questo è quello che gli altri hanno visto di me — sussurrò.
— Mi adori? — chiese Bella. — Non sono perfetta, Principessa dei Fiori?
Ma Enziquelvinisensee Evelvenin aveva fatto voto di dire solo la verità, e non aveva nessuna delle sue donne vicino che mentissero per lei, e così distrusse se stessa dicendo: — No, signora. Perché avete riempito i miei occhi di odio e di trionfo, e io non ho mai provato simili cose in tutta la mia vita.
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