Straziato dal dolore, Alvin rotolò fuori dal fuoco cadendo a sua volta, e anch’egli giacque premendo il viso sulla fresca terra battuta del pavimento. Ora che il fuoco non lo circondava più, il suo corpo riuscì ad avvantaggiarsi sulla morte della pelle, curandosi come Alvin gli aveva insegnato a fare, senza che egli avesse bisogno di spiegargli che cosa fare, senza istruzioni di sorta. Diventa te stesso, così Alvin gli aveva ordinato, e la sigla racchiusa in ogni frammento vivente obbedì al disegno in essa contenuto, finché il suo corpo non fu nuovamente integro e perfetto, senza la minima traccia di bruciature o di callosità.
Ciò che Alvin non poté cancellare fu il ricordo della sofferenza, o la debolezza per tutta l’energia che il suo corpo aveva profuso. Ma non se ne curò. Debole com’era, in cuor suo era felice, perché il vomere che giaceva accanto a lui sul pavimento di terra battuta era fatto d’oro vivente, non perché egli l’avesse creato così, ma perché gli aveva insegnato a crearsi da solo.
I Cacciatori perlustrarono la città in lungo e in largo ma non trovarono nulla… Eppure il Cacciatore dai capelli neri non aveva visto scappare nessuno, nemmeno frugando i dintorni della città fino alla massima distanza che un uomo o un cavallo avrebbero potuto percorrere da quando il ragazzo era stato sottratto alla loro custodia. Il piccolo mulatto doveva per forza essere nascosto da qualche parte… Un evento impossibile, eppure non c’era altra spiegazione.
Molto probabilmente si nascondeva negli stessi luoghi in cui aveva vissuto per tutti quegli anni. La locanda, il vecchio deposito, la fucina: tutti luoghi in cui si scorgeva gente sveglia a un’ora del tutto inconsueta. I Cacciatori giunsero fino a breve distanza dalla locanda, quindi legarono i cavalli sul ciglio della strada. Caricati fucili e pistole, proseguirono a piedi. Giunti di fronte alla locanda, la frugarono di nuovo con la loro seconda vista, esaminando tutte le fiamme vitali che conteneva; nessuna di esse corrispondeva al contrassegno.
«La casetta della maestra» disse il Cacciatore dai capelli bianchi. «È lì che l’abbiamo trovato la prima volta.»
Il Cacciatore dai capelli neri rivolse lo sguardo in direzione del pendio. Naturalmente non poteva vedere il vecchio deposito, nascosto dagli alberi, ma ciò che cercava l’avrebbe visto comunque, alberi o non alberi. «Lassù ci sono due persone» disse.
«Allora una potrebbe essere il mulatto» azzardò il Cacciatore dai capelli bianchi.
«Il contrassegno dice di no.» Poi il Cacciatore dai capelli neri sorrise beffardamente. «Una maestra senza marito che vive da sola e riceve un ospite a quest’ora di notte? Lo so io di che compagnia si tratta, e sta’ sicuro che non è un ragazzino.»
«Andiamo a vedere comunque» lo incitò il Cacciatore dai capelli bianchi. «Se hai ragione, dopo che le avremo sfondato la porta non si sognerà nemmeno di reclamare. Non vorrà certo che qualcuno vada a raccontare in giro che cosa stava facendo.»
A quell’idea si fecero una bella risata, dirigendosi al chiar di luna verso la casa della signorina Larner. La loro intenzione, si capisce, era di aprire la porta con un calcio e sbellicarsi dal ridere quando la maestra si sarebbe incollerita e avrebbe cominciato a minacciarli.
La cosa buffa fu che, quando giunsero nei pressi della casetta, quel piano svanì dai loro pensieri come se non fosse mai esistito. Se l’erano completamente dimenticato. I due Cacciatori si limitarono a osservare le fiamme vitali all’interno del vecchio deposito e a confrontarle con il contrassegno.
«Che diavolo stiamo facendo quassù?» chiese il Cacciatore dai capelli bianchi. «Il ragazzo dev’essere per forza alla locanda. Qui non è di sicuro!»
«Lo sai che penso?» disse il Cacciatore dai capelli neri. «Forse l’hanno ammazzato.»
«Sarebbe pura follia. Perché salvarlo, allora?»
«Hai un’altra idea?»
«È alla locanda. Scommetto che quelli là hanno un talismano che non ci permette di vederlo. Ma quando apriremo la porta giusta, lo vedremo in faccia; e allora non ci saranno più talismani che tengano.»
Per un attimo il Cacciatore dai capelli neri pensò… Be’, se possono esistere talismani del genere, perché non guardare anche in casa della maestra? Perché non aprire questa porta?
Ma un istante dopo quel pensiero gli sfuggì di mente e lui lo dimenticò. Nemmeno si rese conto di avere pensato qualcosa. Si limitò a mettersi in cammino di buon passo seguendo il Cacciatore dai capelli bianchi. Il carboncino dev’essere per forza alla locanda, non ci sono altre spiegazioni.
Peggy vide le fiamme vitali dei Cacciatori avvicinarsi al vecchio deposito, ma non ebbe paura. Aveva trascorso tutto quel tempo a esplorare la fiamma vitale di Arthur Stuart, e non vi aveva trovato alcun sentiero in cui egli venisse catturato da quei due. Peggy sapeva che nel futuro di Arthur non mancavano i pericoli, ma quella notte sicuramente nessuno gli avrebbe fatto del male. Perciò non prestò loro particolare attenzione. Seppe quando decisero di andarsene; seppe quando il Cacciatore dai capelli neri pensò di aprire ugualmente quella porta; seppe quando i talismani lo fermarono, ricacciandolo via. Ma nel frattempo continuava a osservare Arthur Stuart, scandagliando i possibili futuri che lo attendevano.
Poi, a un tratto, non poté più mentire a se stessa. Doveva dirlo ad Alvin, doveva raccontargli quel che era successo, nel bene e nel male. Ma come? Come spiegargli che la signorina Larner in realtà era una fiaccola che nella fiamma vitale di Arthur Stuart aveva appena visto sbocciare un milione di possibili futuri? Tenersi tutto dentro, però, era impossibile. Anni prima avrebbe potuto dirlo a Modesty, quando ancora viveva con lei e tra loro non vi era alcun segreto.
Sarebbe stata pura follia scendere alla fucina, ben sapendo che a muoverla era il desiderio di rivelare ad Alvin cose che non avrebbe potuto dirgli senza tradire la propria vera identità. Eppure restare confinata tra quelle quattro pareti, sola con una conoscenza che non poteva spartire con nessuno, l’avrebbe sicuramente fatta impazzire.
Perciò Peggy si alzò, aprì la porta e mosse un passo oltre la soglia. Intorno al vecchio deposito non si scorgeva anima viva. Allora chiuse la porta a chiave; poi scrutò nuovamente nella fiamma vitale di Arthur e vide che nell’immediato il ragazzo non correva alcun pericolo. Sarebbe stato al sicuro. E Peggy avrebbe visto Alvin.
Solo in quel momento guardò nella fiamma vitale di Alvin; solo in quel momento vide la terribile sofferenza che egli aveva patito pochi istanti prima. Perché non se n’era accorta? Perché non l’aveva visto? Alvin aveva appena attraversato la soglia più importante della sua vita; aveva compiuto per la prima volta un vero atto di Creazione, aveva dato alla luce qualcosa di nuovo; e lei non l’aveva visto. Quando Alvin aveva affrontato il Distruttore e lei si trovava nella lontana Dekane, aveva assistito alla sua lotta… E ora, che egli si trovava a non più di tre pertiche di distanza, perché non aveva guardato? Perché non aveva condiviso la sua sofferenza mentre egli si contorceva tra le fiamme della forgia?
Forse era colpa del vecchio deposito. Una volta, quasi diciannove anni prima, il giorno in cui Alvin era venuto al mondo, il deposito sulla sorgente aveva intorpidito il suo dono, cullando il suo sonno finché non era stato quasi troppo tardi. Ma no, era impossibile… L’acqua non attraversava più il pavimento del deposito, e il fuoco della fucina sarebbe stato comunque più potente.
Forse era stato il Distruttore, venuto a fermarla. Eppure, rivolgendo intorno a sé il proprio sguardo da fiaccola, Peggy non riuscì a scorgere tra i colori del mondo che la circondava una sola ombra insolita, per lo meno non nelle vicinanze. Niente che avesse potuto accecarla.
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