Alvin lo tirò fuori dall’acqua portandolo in braccio fino alla riva. «Avvolgetelo nella mia camicia e poi andiamocene di qui.»
Così fecero. Nessuno di loro si accorse che, quando Arthur aveva imitato la signorina Larner, non aveva imitato la sua voce.
Nemmeno Peggy se ne accorse, almeno non immediatamente. Era troppo occupata a scrutare nella fiamma vitale di Arthur Stuart. Com’era cambiata da quando Alvin l’aveva trasformato! Il mutamento era stato così sottile che Peggy non avrebbe saputo dire che cosa esattamente fosse accaduto… Eppure nell’istante in cui Arthur Stuart era emerso dall’acqua, in lui non restava più un solo sentiero appartenente al suo passato, non uno che conducesse verso il Sud e verso la schiavitù. E tutti i nuovi sentieri, i nuovi futuri che derivavano da quella trasformazione conducevano a possibilità assolutamente straordinarie.
Per tutto il tempo che fu necessario a Horace, Po e Alvin per riattraversare l’Hio insieme ad Arthur Stuart e riportare il ragazzo attraverso i boschi sino alla fucina, Peggy non fece altro che esplorare la fiamma vitale di Arthur Stuart, studiando possibilità del tutto inedite per il mondo. In quella terra muoveva i primi passi un nuovo Creatore; Arthur era la prima anima che egli avesse toccato, e adesso tutto era diverso. In più, la maggior parte dei futuri di Arthur erano inestricabilmente legati a quello di Alvin. Peggy scorse possibilità di viaggi incredibili: su uno di quei sentieri compariva un viaggio in Europa in cui Arthur Stuart si sarebbe trovato al fianco di Alvin mentre il nuovo imperatore del Sacro Romano Impero, Napoleone, s’inchinava davanti a lui; su un altro sentiero c’era un viaggio fino a uno strano paese molto più a sud in cui i Rossi trascorrevano tutta la loro esistenza su piattaforme di alghe galleggianti; su un altro sentiero ancora lo attendeva una cavalcata trionfale verso le terre dell’Ovest, dove i Rossi acclamavano in Alvin il grande unificatore di tutte le razze e riponevano in lui una fiducia così assoluta da spalancargli le porte del loro ultimo rifugio. E al suo fianco c’era sempre Arthur Stuart, il piccolo mulatto, ora divenuto il suo braccio destro, e dotato a sua volta di alcuni dei poteri del Creatore.
La maggior parte di quei sentieri incominciava con l’arrivo del piccolo gruppo al deposito sulla sorgente; perciò Peggy non fu sorpresa nel sentirli bussare alla sua porta.
«Signorina Larner» la chiamò Alvin a bassa voce.
Peggy ne rimase quasi delusa; la realtà non era interessante come i futuri che le si erano appena rivelati nella fiamma vitale di Arthur Stuart, no, non lo era proprio. Peggy comunque aprì la porta. Ed eccoli lì, in piedi davanti alla soglia, Arthur ancora infagottato nella camicia di Alvin.
«L’abbiamo ripreso» annunciò Horace.
«Lo vedo» disse Peggy. Certo, ne era felice, ma la sua voce non lo rivelava affatto. Il suo tono di voce era quello di una persona indaffarata, scocciata, disturbata. E in effetti era proprio così. Sbrighiamoci, avrebbe voluto dire. Ho già udito questa conversazione con le orecchie di Arthur, perciò sbrighiamoci, facciamola finita il più presto possibile, perché voglio tornare a esplorare ciò che questo ragazzo potrà diventare. Ma naturalmente non poteva dire nulla di simile… almeno se non voleva rinunciare a essere la signorina Larner.
«Non lo troveranno» disse Alvin «a meno che non se lo vedano di fronte. Qualcosa… Il contrassegno non gli serve più a nulla.»
«Non serve loro » lo corresse Peggy.
«Giusto» disse Alvin. «Il motivo per cui veniamo… siamo venuti… possiamo lasciarlo qui con voi? Questa casa, signorina, la casa in cui abitate, l’ho circondata di talismani così potenti che l’idea di entrare non gli passerà nemmeno per la mente, a patto che teniate la porta chiusa a chiave.»
«Non avete altri vestiti per lui all’infuori di questo? È tutto bagnato… Volete che si prenda qualche malattia?»
«La notte è calda» annuì Horace «e non è il caso di andare a prendere altri vestiti a casa nostra. Lo potremo fare solo dopo che i Cacciatori saranno tornati qui, si saranno stancati di cercarlo e se ne saranno andati.»
«Molto bene» annuì Peggy.
«Meglio tornare alle nostre faccende» disse Po Doggly. «Io devo andare dal dottor Physicker.»
«E siccome ho detto alla vecchia Peg che sarei sceso in città, sarà meglio che lo faccia davvero» concluse Horace.
Alvin si rivolse direttamente a Peggy. «Io resterò alla fucina, signorina Larner. Se succede qualcosa, datemi una voce e sarò da voi nel giro di dieci secondi.»
«Grazie. Ora… vi prego di andarvene.»
Peggy chiuse la porta. Non avrebbe voluto essere così brusca. Però davanti a sé aveva una miriade di futuri completamente nuovi. A parte lei, nessuno era mai stato così importante nell’Opera di Alvin come lo sarebbe stato Arthur. Ma forse questo sarebbe accaduto a chiunque Alvin avesse toccato e trasformato… Forse, come Creatore, lui avrebbe trasformato tutti coloro che amava finché tutti quanti non si sarebbero trovati al suo fianco in quei gloriosi momenti, finché tutti quanti non avrebbero guardato il mondo attraverso le mura sfolgoranti della Città di Cristallo, vedendo ogni cosa come Dio stesso doveva vederla.
Qualcuno bussò alla porta. Peggy andò ad aprire.
«In primo luogo» disse Alvin «non aprite la porta se non sapete chi è.»
«Sapevo che eri tu» ribatté Peggy. Ma non era vero. Non ci aveva nemmeno pensato.
«In secondo luogo, aspettavo di sentirvi chiudere la porta a chiave, e voi non l’avete fatto.»
«Scusami» disse lei. «Me n’ero dimenticata.»
«Per portare fin qui questo ragazzo abbiamo sudato sangue, signorina Larner. Ora tutto dipende da voi. Finché i Cacciatori non se ne saranno andati.»
«Sì, lo so.» Le rincresceva veramente, e lasciò che la sua voce esprimesse quel dispiacere.
«Buona notte, allora.»
Alvin restò immobile davanti alla porta. Che cosa aspettava?
Ah, sì. Che lei chiudesse la porta.
Peggy la chiuse, poi girò la chiave, e infine tornò accanto ad Arthur Stuart, stringendolo forte tra le braccia finché lui non cominciò a divincolarsi. «Ora sei al sicuro» disse.
«Certo» disse Arthur Stuart. «Per portare fin qui questo ragazzo abbiamo sudato sangue, signorina Larner.»
Ascoltandolo parlare, Peggy ebbe la certezza che c’era qualcosa che non andava. Ma che cosa? Ah, sì, naturalmente. Alvin aveva pronunciato esattamente quelle parole. Ma che cos’era a non quadrare? Arthur Stuart imitava gli altri in continuazione.
Imitava gli altri… Però stavolta Arthur Stuart aveva ripetuto le parole di Alvin con la propria voce, non con quella di Alvin. Non era mai successo prima. Peggy aveva sempre pensato che ciò avvenisse a causa del suo dono; che imitare gli altri gli venisse così spontaneo che egli stesso non se ne rendeva conto.
«Come si scrive ‘cicala’?» gli chiese.
«C-I-C-A-L-A» rispose lui. Con la propria voce, non con quella della signorina Larner.
«Arthur Stuart» mormorò Peggy. «Che cosa c’è che non va?»
«Niente, signorina Larner» disse Arthur. «Sono tornato a casa.»
Non lo sapeva. Non se ne rendeva conto. Poiché non aveva mai capito veramente quanto le sue imitazioni fossero perfette, adesso non si rendeva conto che il suo dono era scomparso. Possedeva ancora la capacità di ricordare al primo ascolto tutto ciò che sentiva dire… Ma le voci erano scomparse; restava solo la sua, quella di un ragazzino di sette anni.
Peggy lo abbracciò di nuovo, per un istante, più brevemente. Adesso capiva. Finché Arthur Stuart fosse rimasto se stesso, i Cacciatori avrebbero potuto catturarlo e portarlo al Sud in catene. L’unico modo per salvarlo consisteva nel non farlo più essere completamente se stesso. Alvin non poteva sapere — ed era naturale — che nel salvare Arthur gli aveva portato via il suo dono, o almeno una parte di esso. La libertà di Arthur era stata pagata al prezzo del suo non essere più completamente se stesso. Alvin l’aveva capito?
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