No, concluse Alvin, la foresta stava semplicemente facendo ciò che aveva sempre fatto: si dava da fare per nutrire i suoi figli.
Il mattino in cui lasciarono le rive dell’Hio, diretti a nord, pioveva e tirava un vento fresco. Ma che cos’era la pioggia per l’uomo rosso? Il messaggero che aspettavano dai francesi di Detroit era arrivato. Era giunto il momento di unire le forze, e attirare l’esercito di Vecchio Hickory verso nord.
Per Frederic, conte de Maurepas, quella era una giornata trionfale. Anziché vivere nell’inferno di Detroit, lontano mille miglia dai divertimenti di Parigi, provava adesso l’esaltante sensazione di trovarsi, per una volta, al centro di qualcosa più grande di lui. La guerra era alle porte, il forte era in subbuglio, i Rossi pagani accorrevano a frotte dagli angoli più lontani della foresta, e ben presto, sotto il comando di de Maurepas, i francesi avrebbero sbaragliato l’esercito di straccioni che Vecchio Castagno aveva condotto a nord del Maw-Mee. O Vecchio Noce? Insomma, come diavolo lo chiamavano.
Naturalmente una parte di lui era abbastanza turbata da tutto questo. Frederic non era mai stato un uomo d’azione, e adesso di azione ne aveva fin sopra i capelli. Ogni tanto lo disturbava l’idea che Napoleone avesse intenzione di lasciar combattere i Rossi al riparo degli alberi. Persino contro quei barbari degli americani un europeo avrebbe dovuto avere abbastanza senso dell’onore da non lasciare che i Rossi prendessero indebito vantaggio dalla loro capacità di nascondersi nella foresta. Ma non importava. Napoleone era sicuro che tutto sarebbe andato per il meglio. E in realtà, che cosa avrebbe potuto andare storto? Tutto si svolgeva come Napoleone aveva previsto. Persino quel cane traditore, quel fogliante smidollato del governatore La Fayette, sembrava entusiasta della battaglia che li attendeva. Aveva perfino inviato un nuovo contingente di rinforzi; Frederic aveva visto la nave gettare l’ancora in rada non più di dieci minuti prima.
«Signore» disse Come-diavolo-si-chiamava, il servitore che faceva la sua comparsa a una cert’ora del pomeriggio. Guarda un po’, stava annunciando l’arrivo di qualcuno.
«Chi è?» Chi mai poteva essere a quell’ora impossibile?
«Un messaggero da parte del governatore.»
«Fallo entrare» disse Frederic. Si sentiva troppo cordiale per prendersi la briga di tenerlo un po’ in anticamera a raffreddarsi le suole delle scarpe. In fin dei conti era ormai sera, un’ora in cui non c’era alcun bisogno di far finta di lavorare… erano addirittura le quattro passate!
L’uomo che fece il suo ingresso indossava un’uniforme impeccabile. Addirittura un ufficiale superiore. Frederic probabilmente avrebbe dovuto sapere come si chiamava, ma del resto non era nessuno, non aveva neanche un cugino titolato. Così Frederic si limitò ad aspettare, senza salutarlo.
Il maggiore aveva in mano due buste. Ne posò una sul tavolo di Frederic.
«È per me anche l’altra?»
«Sissignore. Ma il governatore mi ha dato ordine di darvene prima una, aspettare che l’abbiate letta in mia presenza, e poi decidere se consegnarvi anche l’altra.»
«E questo sarebbe l’ordine del governatore? Aspettare che io abbia letto la prima lettera per darmi la seconda?»
«La seconda lettera non è indirizzata a voi, signore» disse il maggiore. «Perciò a rigore non sarebbe vostra. Ma ho ragione di credere che vi piacerebbe leggerla.»
«E se avessi avuto una giornata faticosa, e questa lettera decidessi di leggerla domani?»
«Nel caso che non leggiate la prima lettera entro cinque minuti, ne ho una terza da leggere ad alta voce ai vostri uomini. Questa terza lettera vi esonera dal comando e affida Fort Detroit a me, sotto l’autorità del governatore.»
«Quale audacia! Come osate rivolgervi a me in questo modo!»
«Mi limito a ripetere le parole del governatore, signore. Vi prego dunque di leggere la sua lettera. Non vi potrà fare alcun male, mentre non leggendola andreste incontro a conseguenze irrimediabili.»
Incredibile. Ma chi si credeva di essere, quel La Fayette? Be’, in effetti era un marchese. Ma d’altra parte La Fayette in realtà era più lontano dai favori del re di…
«Cinque minuti, signore.»
Fremente di rabbia, Frederic prese la lettera. Era pesante; quando l’aprì, ne uscì un amuleto di metallo appeso a una catena che cadde tintinnando sulla scrivania.
«E questo che cos’è?»
«Prima la lettera, signore.»
Frederic la scorse rapidamente. «Un amuleto! Un sant’uomo! Che cosa debbo pensarne? Possibile che La Fayette sia diventato superstizioso?» Ma nonostante la sua spacconeria, Frederic seppe immediatamente che avrebbe indossato quell’amuleto. Una protezione contro il demonio! Aveva sentito parlare di simili amuleti, oggetti assolutamente senza prezzo, perché ciascuno di essi era stato toccato dall’indice della Santa Vergine. Possibile che l’amuleto che aveva sotto gli occhi fosse veramente uno di quelli? Frederic aprì il fermaglio della catenella passandosela intorno al collo.
«Sotto» suggerì il maggiore.
Frederic lo guardò per un istante, sconcertato, poi capì che cosa avesse voluto dire e s’infilò l’amuleto sotto la camicia. Adesso non si vedeva più.
«Ecco» disse. «Ora l’ho addosso.»
«Ottimo, signore» commentò il maggiore. E così dicendo, gli porse la seconda lettera.
Questa era già aperta, ma in precedenza era stata sigillata, e Frederic rimase stupefatto nel vedere che quello impresso nella cera era il grande sigillo di Sua Maestà. La lettera era indirizzata al marchese de La Fayette. Recava l’ordine di mettere immediatamente agli arresti Napoleone Bonaparte, e di inviarlo in catene in Francia, dove sarebbe stato processato per tradimento, sedizione, ribellione e prevaricazione.
«Pensate forse che le vostre suppliche possano commuovermi?» chiese de Maurepas.
«Avrei sperato che la logica della mia argomentazione potesse convincervi» disse Napoleone. «Domani scenderemo in battaglia. Ta-Kumsaw si aspetta di prendere ordini da me; solo io sono in grado di capire pienamente ciò che ci si attende dall’esercito francese nel corso dello scontro.»
«Solo voi? Che cos’è questa vostra improvvisa vanità, questa vostra convinzione di essere l’unico in grado di comprendere e di comandare?»
«Nessuno ha messo in dubbio le vostre capacità di comprensione, signor conte. Ma appunto per questo a voi spetta occuparvi delle questioni generali, mentre io…»
«Risparmiate il fiato» disse de Maurepas. «Non mi imbrogliate più. Le vostre stregonerie, la vostra influenza satanica, mi s’infrangono contro come bolle d’aria calda, senza farmi la minima impressione. Io sono più forte di quanto pensiate. Dispongo di risorse nascoste.»
«Questo è decisamente un bene, perché in pubblico non mostrate che idiozia» sbottò Napoleone. «La sconfitta alla quale andrete incontro senza di me vi consegnerà ai posteri come il massimo esempio di stupidità nella storia militare francese. Ogni volta che qualcuno subirà una sconfitta ignominiosa e tutt’altro che inevitabile, rideranno di lui dicendo che ha commesso ‘un Maurepas’.»
«Basta così» ordinò de Maurepas. «Tradimento, sedizione, prevaricazione, e , come se non bastasse, adesso anche insubordinazione. Sarete senza dubbio un buon cliente del signor Guillotin, mio piccolo galletto presuntuoso. Andate, provate a usare i vostri speroni contro Sua Maestà, vediamo se riuscirete ad affondarli con le braccia e le gambe strette dai ferri, e la testa in procinto di cadere.»
Il tradimento non divenne evidente fino al mattino, ma allora fu rapido e completo. Cominciò quando l’ufficiale francese addetto ai rifornimenti si rifiutò di consegnare la polvere da sparo ai guerrieri di Ta-Kumsaw. «Ho ricevuto degli ordini» disse.
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