Il vecchio tornò e prese a sparecchiare.
«Sei venuto a vedere il mio tessuto?» chiese Becca.
Ta-Kumsaw annuì. «In parte anche per questo.»
Becca sorrise e lo condusse al telaio. Sedutasi sullo sgabello, si tirò in grembo la stoffa appena tessuta. Col dito indicò un punto a circa tre braccia dal bordo del telaio. «Ecco» gli mostrò. «Questa è la tua gente che si raduna a Prophetstown.»
Alvin la vide passare la mano su un vero e proprio fascio di fili che sembravano uscire dall’ordito, trasmigrando attraverso la pezza per raccogliersi vicino al bordo.
«Rossi di ogni tribù» disse Becca. «I più forti del tuo popolo.»
Anche se le fibre tendevano al verdastro, erano effettivamente più grosse, forti e ben tirate della maggior parte delle altre. Becca si tirò in grembo un altro po’ di stoffa. Il fascio di fili si faceva più spesso ed evidente, e i fili stessi di un verde più brillante. Com’era possibile che cambiassero colore in quel modo? E com’era possibile che l’ordito, costretto dai meccanismi del telaio, si spostasse in quella maniera?
«E ora i Bianchi che si radunano contro di loro» disse Becca.
E difatti altri fili, inizialmente più vicini degli altri, cominciavano a stringersi, annodandosi gli uni agli altri. Agli occhi di Alvin quel tessuto parve un vero disastro, con tutti quei fili che si ispessivano e si aggrovigliavano — chi mai si sarebbe messo una camicia fatta di quella roba? — e i colori erano del tutto incomprensibili, tutti mescolati, senza il minimo tentativo di creare un disegno o comunque un ordine preciso.
Ta-Kumsaw stese il braccio e cominciò a tirare la stoffa verso di sé finché non giunse a un punto in cui tutti quei fili color verde brillante si allentavano, e per la maggior parte s’interrompevano. L’ordito diventava rado e fine, i fili che restavano erano forse uno su dieci, come il gomito di una vecchia camicia, liso al punto che piegando il braccio si vedono solo alcuni radi fili che vanno in una direzione, nessuno nell’altra.
Se i fili verdi significavano Prophetstown, allora non poteva esserci alcun dubbio sull’accaduto. «Il Tippy-Canoe» mormorò Alvin. Adesso capiva il senso di quel tessuto.
Becca si chinò sulla stoffa, bagnandola con le lacrime che le sgorgavano copiose dagli occhi.
Impassibile, Ta-Kumsaw continuò a tirare la stoffa verso di sé. Alvin vide il resto dei fili verdi che rappresentavano i pochi sopravvissuti al massacro del Tippy-Canoe emigrare fino al bordo del tessuto e qui fermarsi. Contemporaneamente, il tessuto si restringeva in corrispondenza dei fili mancanti. Intanto però se ne vedevano raccogliersi altri, stavolta non più verdi, ma per lo più neri.
«Neri d’odio» commentò Becca. «Stai raccogliendo la tua gente con l’odio.»
«Riesci a immaginare una guerra condotta con amore?» chiese Ta-Kumsaw.
«Potrebbe essere un motivo per non farla affatto» ribatté lei dolcemente.
«Non metterti a parlare come una Bianca» la rimproverò Ta-Kumsaw.
«Ma se è Bianca» disse Alvin, al quale le parole di Becca erano apparse del tutto sensate.
Entrambi guardarono Alvin, Ta-Kumsaw senza tradire alcuna emozione, Becca con… divertimento? Compassione? Poi tornarono a occuparsi del tessuto.
Ben presto giunsero al punto in cui il tessuto scavalcava la trave per inserirsi nella parte anteriore del telaio. Intanto i fili neri dell’esercito di Ta-Kumsaw si stringevano sempre più, si annodavano, si intrecciavano. Altrove, altri fili, azzurri, gialli, neri, andavano raccogliendosi facendo raggrinzire il tessuto. Certo, ora era più spesso, ma ad Alvin non dava l’impressione di essere più robusto. Più debole, caso mai. Meno utile. Meno sicuro.
«Se continua così, presto questa stoffa non potrà più servire a niente» disse Alvin.
Becca sorrise amaramente. «Mai parole furono più vere, ragazzo mio.»
«Se questo pezzo rappresenta circa un anno di storia» proseguì Alvin «lassù dovete averne almeno duecento anni.»
Becca inclinò la testa. «Di più» disse.
«Come fate a sapere che cosa succede, in modo da poterlo mettere nella stoffa?»
«Certe cose si possono benissimo fare senza conoscerne il perché» sentenziò Becca.
«Non potreste fare in modo che le cose andassero diversamente, cambiando la disposizione dei fili?» Ad Alvin era venuta in mente la possibilità di distribuire i fili in maniera più uniforme, allontanando quelli neri uno dall’altro.
«Non è così che funziona» gli spiegò Becca. «Non sono io a far accadere le cose in un modo o nell’altro. Sono le cose che accadono a cambiare me. Non devi crucciartene, Alvin.»
«Ma duecento anni fa i Bianchi non erano ancora arrivati in questa parte dell’America. Com’è possibile che la stoffa vada ancora più indietro?»
Becca sospirò. «Isaac, era proprio necessario che tu lo portassi qui a tempestarmi di domande?»
Ta-Kumsaw le rivolse un sorriso.
«Mi assicuri che non lo dirai a nessuno, ragazzo?» chiese Becca. «Saprai tenere il segreto su ciò che sono e su quello che faccio?»
«Ve lo prometto.»
«Io tesso, Alvin. Questo è tutto. Da tempo immemorabile, i membri della mia famiglia fanno i tessitori.»
«È così che vi chiamate, allora? Becca Weaver? Becca la Tessitrice? Anche il padre di mio cognato, Corazza-di-Dio, si chiamava Weaver, e…»
«Nessuno ci chiama tessitori» disse Becca. «Se potessero darci un nome, ci chiamerebbero… no.»
Non ci fu verso di farglielo dire.
«No, Alvin, non posso caricarti di un simile fardello. Perché allora vorresti venire. Vorresti venire a vedere…»
«A vedere che cosa?» chiese Alvin.
«Come Isaac. Non avrei mai dovuto dirlo nemmeno a lui.»
«Lui però il segreto l’ha mantenuto. Non ne ha mai fatto parola con nessuno.»
«Tranne che con se stesso. Ed è venuto a vedere.»
«A vedere che cosa?» chiese di nuovo Alvin.
«A vedere quanto sono lunghi i fili che entrano nel mio telaio.»
Solo allora Alvin fece caso alla parte posteriore del telaio, dove i fili dell’ordito erano tenuti a posto da una rastrelliera di sottili fili d’acciaio. I fili non erano colorati. Erano bianchi. Erano forse di cotone? Certamente non di lana. Di lino, forse. Con tutti i colori presenti nel tessuto finito, Alvin fino a quel momento non aveva fatto particolare attenzione al materiale di cui era fatto.
«E i colori da dove saltano fuori?» chiese Alvin.
Nessuno gli rispose.
«Alcuni fili si allentano.»
«Alcuni finiscono» aggiunse Ta-Kumsaw.
«Molti finiscono» terminò Becca. «E molti cominciano. È il ritmo della vita.»
«Che cosa vedi, Alvin?» chiese Ta-Kumsaw.
«Se quei fili neri sono la tua gente» disse Alvin «allora direi che si sta preparando una battaglia, e che molti di loro moriranno. Non come al Tippy-Canoe, però. Non sarà così orribile.»
«È quello che vedo anch’io» convenne Ta-Kumsaw.
«E quei colori tutti aggrovigliati, che cosa sono? Un esercito di Bianchi?»
«Corre voce che un uomo di nome Andrew Jackson, proveniente dal Tennizy occidentale, stia raccogliendo un esercito. Lo chiamano Vecchio Hickory.»
«Lo conosco» disse Ta-Kumsaw. «A volte ha qualche problema a stare in sella.»
«Jackson sta facendo con i Bianchi la stessa cosa che stai facendo tu con i Rossi, Isaac. Da qualche tempo gira in lungo e in largo le regioni occidentali, sobillando la gente e indottrinandola sul ‘pericolo rosso’. Su di te , Isaac. Per ogni Rosso che tu hai arruolato, lui ha arruolato due Bianchi. Ed è convinto che andrai a nord, per unirti all’esercito francese. Sa tutti i tuoi piani.»
«E invece non sa nulla» la contraddisse Ta-Kumsaw. «Alvin, dimmi, quanti fili di questo esercito bianco si interrompono?»
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