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Margaret Weis: Il destino dei gemelli

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Margaret Weis Il destino dei gemelli

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Eppure, per quanto fresca, pura e schietta fosse quella camera privata dello storico, essa sembrava soltanto rispecchiare la bellezza fredda, pura, con un sentore d’antico, della donna, che se ne stava con le mani ripiegate in grembo, in attesa.

Crysania di Tarinius aspettava paziente. Non giocherellava con le dita in preda al nervosismo, né sospirava, e neppure lanciava frequenti occhiate al congegno ad acqua che, in un angolo, segnava il tempo. Non leggeva, anche se Astinus era sicuro che Bertrem doveva averle offerto un libro. Non camminava su e giù per la stanza, né esaminava i pochi, rari ornamenti che si trovavano nelle nicchie in ombra all’interno degli scaffali. Sedeva eretta sulla scomoda seggiola di legno, gli occhi limpidi e luminosi fissi sulle frange tinte di rosso delle nuvole sopra le montagne, come se stesse osservando il tramonto del sole forse per la prima volta - o l’ultima - sopra Krynn.

Era talmente assorta nello spettacolo al di fuori della finestra che Astinus entrò senza attirare la sua attenzione. La guardò con intenso interesse. Non era insolito che lo storico ispezionasse ogni creatura di Krynn con lo stesso sguardo imperscrutabile e penetrante. Cosa insolita, invece, l’espressione di pietà e di profondo dolore che per un attimo attraversò il volto dello storico.

Astinus documentava la storia. L’aveva documentata sin dall’inizio del tempo, osservandola scorrere davanti ai suoi occhi e trasferendola poi nei suoi libri. Non poteva prevedere il futuro, quella era la provincia degli dei. Ma poteva percepire tutti i segni del cambiamento, quegli stessi segni che avevano tanto turbato Bertrem. Lì, in piedi, immobile, poteva sentire le gocce dell’acqua che cadevano nel misuratore del tempo. Ponendo la mano sotto di esse, poteva interrompere il flusso delle gocce, ma il tempo avrebbe continuato a scorrere.

Sospirando, Astinus rivolse la propria attenzione alla donna della quale aveva sentito parlare ma che non aveva mai incontrato. I suoi capelli erano neri, blu-neri, come l’acqua d’un mare tranquillo durante la notte. Li portava lisci, pettinati all’indietro, partendo da una scriminatura centrale, tenuti insieme dietro la testa da un semplice pettine di legno privo di ornamenti. Quello stile severo non s’intonava con i suoi lineamenti pallidi e delicati, ma accentuava ancor di più il suo pallore. I suoi occhi erano grigi e apparivano troppo grandi. Perfino le sue labbra erano esangui.

Alcuni anni prima, quand’era giovane, i servi avevano intrecciato e attorcigliato quei folti capelli neri secondo gli ultimissimi stili della moda, fermandoli con spilloni d’argento e d’oro, decorando quelle sfumature cupe con luccicanti gioielli. Avevano tinto le sue guance con succhi di bacche spremute e l’avevano vestita con abiti sontuosi, dai rosa più pallidi e dagli azzurri più impalpabili.

Un tempo era stata bellissima, un tempo i suoi corteggiatori avevano fatto la fila per lei.

L’abito che adesso indossava era bianco, come si confaceva a un chierico di Paladine, ed era semplice anche se confezionato con un raffinato tessuto. Fra privo di ornamenti, salvo per la cintura d’oro che le cingeva la vita. Il suo unico vero ornamento era quello di Paladine: il medaglione del Drago di Platino. I suoi capelli erano coperti da un bianco cappuccio che metteva in risalto la levigatezza e l’algido aspetto marmoreo della sua carnagione.

«Devo ringraziarti di aver rinunciato al tuo tempo prezioso per fungere da parte neutrale in questo incontro,» disse Crysania con freddezza. «So quanto ti riesce sgradito sottrarre del tempo ai tuoi studi.»

«Fintanto che non è tempo sprecato non m’importa,» rispose Astinus, prendendole la mano e fissandola intensamente. «Devo comunque ammettere che me ne risento.»

«Perché?» Crysania scrutò il volto senza età dell’uomo mostrandosi sinceramente perplessa. Poi, con una comprensione improvvisa, sorrise, un sorriso freddo che non portò altra luce al suo volto, più di quanta avrebbe fatto il chiarore lunare sulla neve. «Tu non credi che lui verrà, non è vero?»

Astinus sbuffò. Lasciando ricadere la mano della donna, come se avesse perduto ogni interesse anche nella sua sola esistenza. Si voltò e raggiunse la finestra, e guardò fuori, la città di Palanthas, i cui risplendenti edifici bianchi ardevano alla radiosità del sole, sprigionando una bellezza che lasciava senza fiato, con una sola eccezione. Uno degli edifici non veniva toccato dalla luce del sole, neppure dal pieno fulgore del mezzogiorno.

E su questo edificio si fissò lo sguardo di Astinus. Pur ergendosi al centro della città bella e sfavillante, le sue torri di pietra nera parevano agitarsi e contorcersi, i suoi minareti restaurati di recente, innalzati dai poteri della magia, si rivestivano d’una tinta rosso sangue al bagliore del sole calante, dando l’impressione di dita putride, scheletrite, striscianti su da qualche remoto cimitero.

«Due anni or sono lui è entrato nella Torre della Grande Stregoneria,» disse Astinus con voce calma e spassionata, quando Crysania lo raggiunse accanto alla finestra. «È entrato al buio nel cuore della notte, l’unica luna nel cielo era la luna che non emana luce. Ha attraversato il Boschetto di Shoikan, una macchia di querce maledette, alla quale nessun mortale osa avvicinarsi. Ha raggiunto i cancelli sui quali era ancora conficcato il corpo del mago malvagio che, nell’estremo rantolo della sua morte, aveva lanciato la maledizione sulla Torre saltando poi dalle finestre più alte e andando a impalarsi sulle sbarre acuminate: era rimasto là in basso quasi fosse un temibile guardiano. Ma quando lui è arrivato là, il guardiano si è inchinato a lui, i cancelli si sono aperti al suo tocco, e poi si sono rinchiusi alle sue spalle. E non si sono più aperti in questi ultimi due anni. Lui non se n’è andato e, se qualcuno è stato fatto entrare, nessuno l’ha mai visto. E tu... tu ti aspetti che lui... venga qui?»

«Il maestro del passato e del presente.» Crysania scrollò le spalle. «Lui è venuto come è stato predetto.» Astinus la fissò vagamente stupito. «Conosci la sua storia?»

«Certamente,» rispose con calma la chierica, levando per un istante lo sguardo su di lui, per poi rivolgere di nuovo i suoi limpidi occhi in direzione della Torre, che già si era ammantata delle incombenti ombre della notte. «Un buon generale studia sempre il nemico prima d’impegnarsi in battaglia. Conosco Raistlin Majere molto bene, molto bene davvero. E so che verrà stanotte.»

Crysania continuò a fissare la spaventevole Torre, il suo mento si sollevò, le sue labbra esangui divennero una linea dritta ed uniforme; teneva le mani serrate dietro la schiena.

D’un tratto il volto di Astinus divenne grave e pensieroso, i suoi occhi erano turbati, anche se la sua voce suonò fredda come sempre. «Sembri molto sicura di te stessa, Reverenda Figlia. Come fai a saperlo?»

«Paladine mi ha parlato,» rispose Crysania, senza mai distogliere lo sguardo dalla Torre. «In un sogno il Drago di Platino è apparso davanti a me e mi ha detto che il male, un tempo bandito dal mondo, era tornato nella persona di questo stregone dalle vesti nere, Raistlin Majere. Ci troviamo a dover fronteggiare un pericolo tremendo, ed è stato affidato a me il compito di prevenirlo.» A mano a mano che parlava, la faccia marmorea di Crysania parve divenire liscia come il cristallo, gli occhi grigi erano limpidi e luminosi. «Sarà la prova della mia fede che ho invocato nelle mie preghiere!»

Lanciò un’occhiata ad Astinus. «Vedi, ho saputo sin dall’infanzia che il mio destino era quello di compiere qualche grande impresa, qualche grande servizio per il mondo e il suo popolo. Questa è la mia possibilità.»

Il volto di Astinus diventava sempre più grave a mano a mano che ascoltava, e perfino più severo.

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