Robert Jordan - Il signore del caos

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Quelle donne forse erano confuse, ma si erano recate nel posto giusto. Parte del legame fra nobili e gente comune, inculcato in Faile fin dalla nascita, dipendeva dal fatto che i primi procurassero sicurezza e salvezza. E la sicurezza consisteva anche nel rammentare alla gente che i tempi cattivi non duravano per sempre. Se oggi era brutto, domani sarebbe stato migliore, e se non domani, forse il giorno seguente. Faile avrebbe preferito essere certa lei per prima, ma le era stato insegnato a dare forza anche quando lei non ne aveva, placare le paure degli altri, non infettarli con le proprie.

«Perrin mi ha raccontato della sua gente molto prima che giungessi qui» disse. «Mi ha raccontato di quando la grandine ha rovinato i raccolti, o dell’inverno che ha ucciso metà delle pecore. Vi siete rimboccati le maniche e siete andati avanti. Quando i Trolloc hanno invaso i Fiumi Gemelli avete combattuto, e una volta finito con loro avete incominciato a ricostruire senza perdere tempo.» A questo non avrebbe creduto se non lo avesse visto con i propri occhi: non se lo sarebbe mai aspettato dai meridionali. Quella gente se la sarebbe cavata molto bene in Saldea, dove le incursioni Trolloc erano all’ordine del giorno, almeno a nord. «Non posso promettere che il tempo si rimetterà a posto domani. Posso dirvi che Perrin e io faremo quanto va fatto, qualunque cosa sia possibile, e non devo essere io a ricordarvi che voi accetterete qualsiasi cosa vi porterà il nuovo giorno, qualunque essa sia, pronti ad affrontare il futuro. La gente nata nei Fiumi Gemelli è fatta così. Voi siete così.»

Erano davvero donne intelligenti. Se non avevano ammesso con se stesse il motivo della loro visita a Faile, adesso dovevano farlo. Se fossero state meno intelligenti, si sarebbero offese. Ma anche le parole che potevano aver detto a se stesse in precedenza avevano un altro effetto, se pronunciate da qualcun altro. Era ovvio che fossero imbarazzate. Era un bel pasticcio e avevano tutte le guance rosse: desideravano ardentemente di trovarsi altrove.

«Ma certo» rispose Daise. Poi, dopo essersi piantata le mani sui fianchi, fissò le altre Sapienti, sfidandole a contraddirla. «È quello che avevo detto, no? La ragazza è sensata. Ho detto proprio così quando è arrivata qui. Ha la testa sul collo.»

Edelle tirò su con il naso. «Qualcuno ha forse sostenuto il contrario, Daise? Io non l’ho sentito. Sì, se la cava molto bene.» Per Faile, aggiunse: «Te la cavi davvero molto bene.»

Milla le fece la riverenza. «Grazie, lady Faile. So di aver detto la stessa cosa almeno a cinquanta persone, ma sentirlo da te in qualche modo...» Daise sbuffò e la interruppe: si stava dilungando troppo. La ragazza arrossì.

«Davvero un bel lavoro, mia signora.» Elwinn si protese in avanti per toccare la gonna con lo spacco da cavallerizza che era la preferita di Faile. «C’è una sarta di Tarabon a Deven Ride che potrebbe fare anche di meglio per te, se non ti spiace che te lo dica. Le ho parlato e adesso cuce solo abiti decenti, se non sono per donne sposate.» Il sorriso materno le riapparve in viso, indulgente e ferreo allo stesso tempo. «O in fase di corteggiamento. Crea indumenti meravigliosi. Senza dubbio le piacerebbe lavorare con i tuoi colori e la tua figura.»

Daise cominciò a sorridere compiacente prima che l’altra donna finisse. «Therille Marza, proprio qui a Emond’s Field, sta già preparando una dozzina di vestiti per lady Faile, incluso un bellissimo abito da cerimonia.» Elwinn si tirò su, Edelle si umettò le labbra e anche Milla sembrò pensierosa.

Per quanto riguardava Faile, l’udienza era finita. La sarta domanese aveva bisogno di una mano ferma e di controllo costante se si voleva evitare che vestisse Faile per la corte di Ebou Dar. L’abito da cerimonia era stato un’idea di Daise, una sorpresa, e anche se era nello stile della Saldea e non domanese, Faile non aveva idea di quando lo avrebbe indossato. Sarebbe trascorso molto tempo prima che nei Fiumi Gemelli vi fossero balli e sfilate. Lasciate a loro stesse, le Sapienti avrebbero iniziato a competere per vedere quale villaggio le cucisse il vestito più bello.

Offrì loro del tè, osservando disinvolta che avrebbero potuto discutere su come rincuorare la gente sulle condizioni del tempo. Fu un po’ troppo, dopo gli ultimi minuti, e le donne quasi inciamparono per la fretta di andare via, dichiarando di avere lavori urgenti che non permettevano loro di trattenersi ulteriormente.

Faile le guardò allontanarsi, pensierosa. Milla uscì per ultima come sempre, una bambina che seguiva le sorelle maggiori. Forse sarebbe stato possibile scambiare qualche parola con la Cerchia delle Donne a Taren Ferry. Ogni villaggio aveva bisogno di un sindaco e una Sapiente forti, per difendere gli interessi degli abitanti. Parole calme e serene. Quando Perrin aveva scoperto che si era recata a Taren Ferry a parlare con gli uomini prima delle elezioni del sindaco — se un uomo era stato forte e sensato nell’aiutare lei e Perrin, perché quelli che avrebbero votato non dovevano sapere che adesso loro due avrebbero ricambiato quel supporto? — quando lo aveva scoperto... Perrin era un uomo gentile, difficile da far arrabbiare, ma giusto per sicurezza si era barricata in camera da letto fino a quando non era stato di nuovo calmo. Cosa che non era successa fino a quando Faile non aveva promesso di non ‘interferire’ nuovamente in nessuna elezione, apertamente o alle sue spalle. L’ultimo punto era stato ingiusto da parte sua. Per fortuna non gli era venuto in mente di parlare delle elezioni della Cerchia delle Donne. Be’, ciò che non sapeva sarebbe tornato a vantaggio suo e di Taren Ferry.

Pensare a Perrin le fece ricordare la promessa che si era fatta. Il ventaglio aumentò velocità. Oggi non era stato il giorno peggiore quanto alle richieste sciocche, e nemmeno con le Sapienti — non c’erano state domande su quando lord Perrin avrebbe potuto aspettarsi un erede, che la Luce fosse benedetta! — ma forse il caldo incessante l’aveva irritata più del solito. Perrin avrebbe assolto ai suoi doveri, oppure...

Il tuono rombò sopra la tenuta e un fulmine illuminò la finestra. La speranza crebbe in Faile. Se avesse piovuto...

Corse silenziosa alla ricerca di Perrin. Voleva condividere la pioggia con lui e aveva ancora intenzione di dirgli qualche parola. Più di qualche parola, se necessario.

Lui era dove si era aspettata di trovarlo, al terzo piano, sulla veranda coperta dal lato anteriore della casa, un uomo riccio con addosso una semplice giubba marrone, spalle ampie e braccia forti. Era affacciato e le rivolgeva le spalle, appoggiato a una colonna. Guardava il terreno da un lato della tenuta, non il cielo. Faile si fermò sulla soglia.

Il tuono risuonò di nuovo e il fulmine riempì il cielo. Un fulmine di calore in un cielo privo di nuvole. Non un messaggero di pioggia. Niente pioggia, per spezzare il calore. Niente neve. Il sudore le imperlava il viso, ma Faile rabbrividì.

«Sono finite le udienze?» chiese Perrin e lei sobbalzò. Non aveva sollevato il capo. A volte era difficile ricordare quanto fosse sensibile il suo udito. O forse l’aveva fiutata. Sperava che si trattasse del profumo e non del sudore.

«Credevo di trovarti con Gwil o Hal.» Quello era uno dei problemi maggiori. Faile cercava di addestrare gli inservienti, mentre per lui erano solo compagni con cui scherzare e bere un boccale di birra. Se non altro non aveva il vizio di guardare le donne, come facevano molti uomini. Perrin non si era mai accorto che Calle Coplin aveva preso servizio alla tenuta perché sperava di fare ben altro che sistemare il letto di lord Perrin. Non si era nemmeno accorto di quando Faile l’aveva cacciata a bastonate.

Dopo essersi avvicinata a lui, vide cosa stava osservando. Due uomini a torso nudo, che si addestravano con le spade di legno da esercitazione. Tarn al’Thor era robusto e aveva i capelli grigi. Aram era magro e giovane. Imparava rapidamente. Molto. Tarn era stato un soldato e un mastro spadaccino, ma Aram lo teneva sotto pressione.

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