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Robert Jordan: Il cuore dell’inverno

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Robert Jordan Il cuore dell’inverno

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«Uno strano posto per cavalcare» disse Beldeine sospettosa. La graziosa Verde non era stata contenta quando Cadsuane aveva messo al comando Daigian e aveva colto ogni opportunità per puntualizzare la propria opinione sulle decisioni di Daigian.

«Non avevo intenzione di cavalcare così lontano» disse la donna avvicinandosi. «Vedo che siete tutte Aes Sedai. Con uno... stalliere? Sapete il perché di tutto questo trambusto?»

All’improvviso Eben sentì il sangue defluirgli dal volto. Quello che percepiva era impossibile! La donna dagli occhi verdi si accigliò dalla sorpresa, e lui fece l’unica cosa che poteva.

«Sta trattenendo saidin!» urlò, e si gettò contro di lei mentre avvertiva Daigian che attingeva intensamente il Potere.

Cyndane rallentò alla vista della donna in piedi fra gli alberi cento passi davanti a lei, una donna bionda e alta che la osservava avvicinarsi. La percezione di battaglie combattute col Potere in altri luoghi la rendeva cauta e allo stesso tempo le dava speranza. La donna era vestita di lana e semplicemente, ma le gemme di cui era adornata come se fosse una gran signora apparivano fuori luogo. Con saidar dentro di lei, Cyndane poteva vedere le lievi rughe agli angoli degli occhi della donna. Non una di quelle che chiamavano sé stesse Aes Sedai, allora. Ma chi? E perché se ne stava lì come a ostacolare la strada a Cyndane? Non era davvero importante. Incanalare ora l’avrebbe rivelata, ma aveva tempo. La chiave brillava ancora come un faro di Potere. Lews Therin viveva ancora. Per quanto fossero feroci gli occhi dell’altra donna, sarebbe bastato un coltello per lei, se pensava davvero di esserle d’ostacolo. E, nel caso in cui si rivelasse essere ciò che chiamavano una selvatica, Cyndane le preparò un regalino, una tela invertita che non avrebbe visto finché non fosse stato troppo tardi. All’improvviso la luce di saidar apparve attorno alla donna, ma la palla di fuoco sfrecciò subitanea dalla mano di Cyndane, tanto piccola che lei sperava non venisse individuata, ma sufficiente ad attraversare bruciando questa donna che...

Non appena raggiunse la donna, quasi tanto vicina da strinarle gli indumenti, la tela di Fuoco si dipanò. La donna non fece nulla: la rete si disfece semplicemente! Cyndane non aveva mai udito di un ter’angreal in grado di spezzare una tela, ma doveva trattarsi di una cosa del genere. Poi la donna contrattaccò, e lei ebbe la seconda sorpresa. Era più forte di quanto era stata Cyndane prima che gli Aelfinn e le Eelfinn la catturassero!

Impossibile; nessuna donna poteva essere più forte. Doveva avere un angreal. La sorpresa durò solo il tempo che impiegò a fare a pezzi i flussi dell’altra donna. Non sapeva come invertirli. Forse questo sarebbe stato un vantaggio sufficiente. Lei avrebbe guardato Lews Therin morire! La donna più alta trasalì quando i suoi flussi recisi rimbalzarono di nuovo dentro di lei, ma perfino mentre spostava i piedi per il colpo, incanalò di nuovo. Ringhiando, Cyndane contrattaccò e la terra si sollevò sotto i suoi piedi. L’avrebbe guardato morire! L’avrebbe guardato!

L’alta cima della collina non era molto vicina alla chiave d’accesso, ma anche così la chiave sfavillava tanto luminosa nella testa di Moghedien che lei bramava anche solo un sorso di quell’immenso flusso di saidar. Trattenerne così tanto, anche solo la millesima parte, sarebbe stata un’estasi. Lei lo bramava, ma questa posizione protetta dagli alberi era il punto più vicino dove aveva intenzione di andare. Solo la minaccia delle mani di Moridin che carezzavano il suo cour’souvra l’avevano spinta a Viaggiare fin qui, e aveva ritardato il suo arrivo, pregando che tutto finisse prima che fosse costretta a venire. Aveva sempre operato in segretezza, ma era dovuta sfuggire a un attacco non appena giunta e, in punti a grande distanza nella foresta che si estendeva di fronte a lei, fulmini e fuochi intessuti con saidar e altri che dovevano essere fatti con saidin guizzavano e divampavano sotto il sole di metà pomeriggio. Pennacchi di fumo nero salivano da macchie d’alberi in fiamme e fragorose esplosioni si diffondevano nell’aria. Chi combatteva, chi viveva, chi moriva, tutti le erano indifferenti. Tranne che sarebbe stata lieta se Cyndane o Graendal fossero morte. O entrambe. Moghedien non sarebbe morta, mentre si dibatteva nel mezzo di una battaglia. E come se questo non fosse la cosa peggiore, c’era quello che si trovava oltre la chiave luccicante: un’immensa cupola schiacciata di tenebre nella foresta, come se la notte si fosse mutata in pietra. Trasalì quando un’increspatura passò lungo la superficie scura e la cupola si sollevò sensibilmente. Era follia avvicinarvisi, qualunque cosa fosse. Moridin non avrebbe saputo quello che lei aveva fatto, o non aveva fatto qui. Ritirandosi verso il fondo della sommità della collina, lontano dalla chiave sfavillante e dalla strana cupola, si sedette per fare in passato quanto aveva fatto così spesso. Osservare dalle ombre e sopravvivere. Dentro la propria testa, Rand stava urlando. Era sicuro di star urlando, che Lews Therin lo stesse facendo, ma non riusciva a udire nessuna delle due voci nel fragore. Il sudicio oceano della corruzione lo sommergeva, ululando per la sua stessa velocità. Mareggiate di lerciume si infrangevano sopra di lui. Folate furibonde di lordura lo laceravano. L’unica ragione per cui tratteneva ancora il Potere era la corruzione. Saidin poteva agitarsi, divampare, essere sul punto di ucciderlo, e lui non se ne curava. Quella putrida piena sommergeva ogni altra cosa, e lui si aggrappava con le unghie per impedire di essere spazzato via. La corruzione si stava muovendo. Questo era tutto ciò che contava, ora. Doveva resistere!

«Cosa puoi dirmi, Min?» Cadsuane rimaneva in piedi malgrado la stanchezza. Mantenere quello scudo per quasi un’intera giornata avrebbe spossato chiunque. Era da un po’ di tempo che non c’era un attacco sulla cima della collina e in effetti sembrava che gli unici a incanalare attivamente che lei poteva percepire fossero Nynaeve e il ragazzo. Elza stava percorrendo un cerchio infinito attorno alla cresta dell’altura, ancora collegata a Merise e Jahar, ma al momento non c’era nulla che potesse fare, tranne scrutare le colline attorno a loro. Jahar era seduto su una roccia con Callandor che brillava fiocamente nell’incavo del suo braccio. Merise sedeva in terra accanto a lui con la testa sul suo ginocchio, e lui le stava accarezzando i capelli.

«Allora, Min?» domandò Cadsuane.

La ragazza alzò lo sguardo con rabbia dalla depressione nel terreno roccioso dove Tomas e Moad avevano schiaffato lei e Harine. Almeno gli uomini avevano avuto sufficiente buonsenso da accettare che non potevano combattere alcuna parte di questa battaglia. Harine aveva una cupa espressione imbronciata, e più di una volta era stato necessario che uno degli uomini trattenesse Min dal correre verso il giovane al’Thor. Avevano dovuto portarle via i suoi coltelli, dopo che aveva tentato di usare quelle lame su di loro.

«So che è vivo,» borbottò la ragazza «e penso che stia soffrendo. È solo che se riesco a percepire quanto basta per pensare che sta soffrendo, allora è agonizzante. Lasciami andare da lui.»

«Saresti solo d’impaccio, ora.»

Ignorando il mugolio frustrato della ragazza, Cadsuane camminò per il terreno sconnesso fino a dove Rand e Nynaeve sedevano, ma per un momento non guardò verso di loro. Perfino a miglia di distanza, la cupola nera sembrava immensa, elevandosi per trecentocinquanta metri al suo culmine. E si stava ingrossando. La superficie pareva acciaio nero, anche se non scintillava nel sole del pomeriggio. Semmai, la luce sembrava affievolirsi attorno a essa. Rand era seduto come all’inizio, una statua incapace di muoversi e di vedere col sudore che gli colava lungo il volto. Se era agonizzante, come diceva Min, non ne dava segno. E se lo era, Cadsuane non sapeva cosa poteva fare e cosa osava fare. Disturbarlo ora in qualsiasi modo avrebbe potuto portare a conseguenze disastrose. Lanciando un’occhiata alla crescente cupola completamente nera, Cadsuane grugnì. Anche averlo lasciato cominciare avrebbe potuto portare a conseguenze disastrose. Con un gemito, Nynaeve scivolò dal suo sedile di pietra fino in terra. Il suo vestito era inzuppato di sudore e ciocche di capelli erano appiccicate al suo volto lucido. Le palpebre le tremolavano debolmente e i suoi seni si sollevarono quando inghiottì disperatamente l’aria. «Basta» piagnucolò.

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