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Philip Dick: La svastica sul sole

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In questo romanzo di fantascienza, considerato uno dei più autentici classici della science fiction americana, Philip K. Dick ci descrive il quadro di come potrebbe essere un mondo in cui il nazismo avesse vinto la guerra mondiale. Parlare di nazismo e delle sue colpe potrebbe sembrare un tema troppo importante e doloroso per farne oggetto di un romanzo di fantascienza, ma Dick, nella Svastica sul sole, ci dimostra come invece la fantascienza possa diventare un modo assai efficace per ritrarre sotto un aspetto nuovo la lucida, razionale follia del nazismo e il tumulto di pensieri confusi e malati che porta con sé e trasmette alle persone ad esso asservite: nel mondo descritto da Dick, l’Asse ha vinto la guerra, l’Italia ha preso le briciole, e l’Africa è stata distrutta in un “esperimento”, Giappone e Germania si sono spartiti il mondo, e il credo della superiorità razziale “Ariana” si è talmente compenetrato nelle altre nazioni da togliere loro ogni volontà. Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1963.

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«No, non lo è,» ribatté Juliana.

Adesso tutti nella stanza tacevano; fissavano Juliana, in piedi accanto a Caroline e Hawthorne Abendsen.

«Mi dispiace,» disse Abendsen. «Ma non posso risponderle così su due piedi. Questo dovrà accettarlo.»

«Allora perché ha scritto il libro?» gli domandò Juliana.

Indicando con il bicchiere, Abendsen disse: «A che serve quella spilla sul suo vestito? A scacciare i pericolosi spiriti-anima del mondo immutabile? Oppure serve soltanto a tenere insieme il tutto?»

«Perché cambia argomento?» disse Juliana. «Eludendo la mia domanda e facendo un’osservazione inutile come questa? È infantile.»

«Ognuno ha dei… segreti tecnici,» disse Hawthorne Abendsen. «Lei ha i suoi, io i miei. Lei deve leggere il mio libro e accettarlo per quello che è il suo valore nominale, così come io accetto ciò che vedo…» Accennò nuovamente verso di lei con il bicchiere. «Senza chiederle se quello che c’è sotto è autentico, o se è fatto di cavi, stecche e imbottitura di gommapiuma. Non è forse questa, la fiducia nella natura delle persone e in ciò che si vede in generale?» Adesso sembrava irritato, innervosito, notò Juliana, non più l’educato padrone di casa di prima. E Caroline, si accorse con la coda dell’occhio, aveva un’espressione tesa, esasperata; stringeva forte le labbra, e non sorrideva più.

«Nel suo libro,» disse Juliana, «lei ha indicato che c’è una via d’uscita. Non è questo che intendeva dire?»

«Una via d’uscita,» riecheggiò lui ironicamente.

«Lei ha fatto molto per me,» disse Juliana. «Adesso capisco che non c’è niente di cui aver paura, niente da desiderare, da odiare o da evitare, qui, o da sfuggire. O da cercare.»

Lui la guardò in viso, muovendo gli occhiali, studiandola. «C’è molto, in questo mondo, secondo me, per cui il gioco valga la candela.»

«Io mi rendo conto di ciò che sta avvenendo nella sua mente,» disse Juliana. Era la vecchia, ben nota espressione che aveva visto tante volte sul volto degli uomini, ma il fatto di rivederla ora non la sconvolse più di tanto. Da molto tempo, ormai, non provava più le stesse sensazioni di una volta. «Il dossier della Gestapo affermava che lei è attratto dalle donne come me.»

Abendsen, mutando espressione in modo quasi impercettibile, disse: «È dal 1947 che la Gestapo non esiste più.»

«SD, allora, o come diavolo si chiama.»

«Vorrebbe spiegarsi meglio?» intervenne Caroline in tono spiccio.

«Certo,» disse Juliana. «Ho viaggiato fino a Denver con uno di loro. E prima o poi arriveranno anche qui. Lei dovrebbe andare in un posto dove non possano rintracciarla, invece di lasciare la porta di casa aperta in questo modo e di fare entrare chiunque, come è successo con me. Il prossimo che arriverà qui… non ci sarà una come me, che lo fermerà.»

«Lei dice “il prossimo”,» osservò Abendsen, dopo una pausa. «Che ne è stato di quello che è venuto fino a Denver con lei? Perché non si è fatto vedere?»

«Gli ho tagliato la gola,» disse Juliana.

«Questo è notevole,» disse Hawthorne. «Sentire una ragazza che ti dice una cosa del genere, una ragazza che non hai mai visto prima in vita tua.»

«Non mi crede?»

Lui annuì. «Ma certo.» Le sorrise in modo timido, gentile, quasi sconsolato. Sembrava che non gli fosse nemmeno passata per la testa l’idea di non crederle. «Grazie,» disse.

«La prego, si nasconda da loro,» disse lei.

«Be’,» spiegò lui, «noi ci abbiamo provato, come lei sa. Come avrà letto sulla sovraccoperta del libro… dove si parla delle armi e del filo di ferro elettrificato. E lo abbiamo fatto scrivere proprio perché sembrasse che prendevamo ancora tutte le precauzioni.» La sua voce aveva un tono stanco, asciutto.

«Potresti almeno portare un’arma con te,» disse sua moglie. «Io lo so che un giorno inviterai qualcuno, e mentre parli con lui quello ti sparerà addosso; qualche sicario nazista che vuole fartela pagare; e tu continuerai a prenderla con filosofia come stai facendo adesso, già lo vedo.»

«Se davvero vogliono,» disse Hawthorne, «possono sempre arrivare fino a me. Fil di ferro elettrificato o no, castello o no.»

Sei così fatalistico , pensò Juliana. Rassegnato alla tua stessa distruzione. Conosci anche questo, così come conoscevi il mondo che hai descritto nel tuo libro?

«È stato l’oracolo a scrivere il suo libro, non è vero?» disse Juliana.

«Vuole sapere la verità?» disse Hawthorne.

«Voglio saperla e ho il diritto di saperla,» rispose lei, «per quello che ho fatto. Non è così? Lei lo sa che è così.»

«L’oracolo,» disse Abendsen, «era profondamente addormentato durante l’intera stesura del libro. Dormiva in un angolo dell’ufficio.» I suoi occhi non mostravano nessuna allegria; il suo viso, invece, sembrava più lungo, più triste che mai.

«Diglielo,» disse Caroline. «Lei ha ragione; ha il diritto di saperlo, per quello che ha fatto per te.» Poi, rivolta a Juliana, «Glielo dirò io, allora, signora Frink. Hawth ha fatto le scelte una a una. A migliaia. Utilizzando le linee. Periodo storico. Argomento. Personaggi. Intreccio. Gli ci sono voluti anni. Hawth ha anche domandato all’oracolo quale successo avrebbe avuto il libro. Gli ha risposto che sarebbe stato un grande successo, il primo vero successo della sua carriera. Perciò lei aveva ragione. Lei deve usarlo piuttosto spesso, per averlo capito.»

«Mi chiedo perché mai l’oracolo abbia voluto scrivere un romanzo,» disse Juliana. «Ha mai pensato di chiederglielo? E perché un romanzo in cui i tedeschi e i giapponesi hanno perso la guerra? Perché proprio quella storia e non un’altra? Che cosa c’è che non può dirci direttamente, come ha sempre fatto? Questo deve essere diverso, non crede?»

Né Hawthorne né Caroline risposero.

«L’oracolo e io,» disse alla fine Hawthorne, «abbiamo raggiunto un accordo da molto tempo per quanto riguarda i diritti d’autore. Se gli chiedo perché ha scritto La cavalletta , dovrò versargli la mia parte dei diritti. La stessa domanda presuppone che io mi sia limitato semplicemente a batterlo a macchina, e questo non è vero né decoroso.»

«Glielo chiederò io,» disse Caroline. «Se non vuoi farlo tu.»

«Non tocca a te chiederlo,» disse Hawthorne. «Lascia che sia lei a farlo.» Poi, rivolto a Juliana, «Lei ha una… mente innaturale. Se ne rende conto?»

«Dov’è la sua copia dell’oracolo?» domandò Juliana. «La mia è rimasta in macchina, giù al motel. Andrò a prenderla, se non vuole lasciarmi usare la sua.»

Hawthorne si voltò e si allontanò, subito seguito da lei e da Caroline, attraverso la stanza affollata, verso una porta chiusa. Giunto alla porta, entrò senza di loro. Quando uscì di nuovo, tutti videro i due grossi volumi con la copertina nera.

«Io non uso gli steli di millefoglie,» disse a Juliana. «Non riesco a tenerli in mano, mi cadono sempre.»

Juliana si sedette a un tavolino in un angolo della sala. «Ho bisogno di una matita e di carta per scrivere.»

Uno degli ospiti portò carta e matita. I presenti si spostarono fino a formare un circolo attorno a lei e ad Abendsen, osservando e ascoltando.

«Lei può pronunciare la domanda a voce alta,» disse Hawthorne. «Qui non abbiamo segreti.»

Juliana cominciò: «Oracolo, perché hai scritto La cavalletta non si alzerà più ? Che cosa dovrebbe insegnarci?»

«Lei ha un modo piuttosto sconcertante e superstizioso di porre le domande,» disse Hawthorne. Ma si era accucciato per assistere al lancio delle monete. «Vada pure avanti,» aggiunse; le porse le tre monete cinesi di ottone con i fori nel mezzo. «In genere mi servo di queste.»

Juliana cominciò a lanciare le monete; si sentiva calma e molto sicura di se stessa. Hawthorne annotò le linee per lei. Quando le ebbe lanciate sei volte, Hawthorne abbassò lo sguardo e disse: «Sun in cima. Tui in fondo. Vuoto nel mezzo.»

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