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Philip Dick: La svastica sul sole

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In questo romanzo di fantascienza, considerato uno dei più autentici classici della science fiction americana, Philip K. Dick ci descrive il quadro di come potrebbe essere un mondo in cui il nazismo avesse vinto la guerra mondiale. Parlare di nazismo e delle sue colpe potrebbe sembrare un tema troppo importante e doloroso per farne oggetto di un romanzo di fantascienza, ma Dick, nella Svastica sul sole, ci dimostra come invece la fantascienza possa diventare un modo assai efficace per ritrarre sotto un aspetto nuovo la lucida, razionale follia del nazismo e il tumulto di pensieri confusi e malati che porta con sé e trasmette alle persone ad esso asservite: nel mondo descritto da Dick, l’Asse ha vinto la guerra, l’Italia ha preso le briciole, e l’Africa è stata distrutta in un “esperimento”, Giappone e Germania si sono spartiti il mondo, e il credo della superiorità razziale “Ariana” si è talmente compenetrato nelle altre nazioni da togliere loro ogni volontà. Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1963.

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L’uomo fece una smorfia. «Orribile, vero? È la superstrada dell’Imbarcadero. Un sacco di gente pensa che rovini il panorama.»

«È la prima volta che la vedo,» disse il signor Tagomi.

«Lei è fortunato,» disse l’uomo, e se ne andò.

Un sogno folle , pensò il signor Tagomi. Devo svegliarmi. Dove sono i taxi a pedali, oggi? Cominciò a camminare più veloce. L’intero panorama aveva un aspetto sbiadito, offuscato, quasi funereo. Puzza di bruciato. Palazzi grigi, anonimi, il marciapiede, le persone che camminavano con un ritmo strano. E ancora nessun taxi a pedali.

«Taxi!» gridò mentre accelerava il passo.

Nessuna speranza. Soltanto macchine e autobus. Macchine che sembravano enormi, brutali frantumatrici meccaniche, tutte dalla forma sconosciuta. Evitò di guardarle, tenendo gli occhi fissi davanti a sé. È una deformazione della mia percezione ottica, di natura particolarmente sinistra. Un disturbo che distorce il mio senso spaziale. L’orizzonte deformato. Come un micidiale astigmatismo che colpisce senza preavviso.

Devo trovare un attimo di tregua. Più avanti uno squallido chiosco-ristorante. All’interno solo bianchi, intenti a mangiare. Il signor Tagomi spalancò i battenti di legno. Profumo di caffè. Un grottesco juke-box latrava in un angolo; scosso da un fremito, si fece strada verso il banco. Tutti gli sgabelli erano occupati da bianchi. Il signor Tagomi lanciò un’esclamazione. Parecchi bianchi alzarono gli occhi. Ma nessuno lasciò il suo posto. Nessuno gli cedette lo sgabello. Ripresero tranquillamente a mangiare.

«Insisto!» disse ad alta voce il signor Tagomi al bianco più vicino, strillandogli proprio nell’orecchio.

L’uomo posò la tazza di caffè e disse: «Attento a te, Tojo.»

Il signor Tagomi guardò gli altri bianchi; tutti lo osservavano con espressione ostile. E nessuno si mosse.

L’esistenza del Bardo Thödol, pensò il signor Tagomi. Venti caldi che mi trasportano chissà dove. Questa è la visione… di che cosa? Può lo spirito sopportare tutto ciò? Sì, Il Libro dei Morti ci prepara: dopo la morte sembra di intravedere gli altri, ma tutto ci appare ostile. Ci si trova isolati. Senza aiuto, da qualunque parte ci si rivolga. Il terribile viaggio… e sempre i regni della sofferenza, della rinascita, pronti a ricevere lo spirito che fugge, demoralizzato. Le illusioni.

Uscì di corsa dal chiosco. Le porte sbatterono dietro di lui; si ritrovò sul marciapiede.

Dove sono? Fuori dal mio mondo, dal mio spazio e dal mio tempo.

Il triangolo d’argento mi ha disorientato. Ho rotto gli ormeggi e adesso vado alla deriva, senza nulla a cui aggrapparmi. Questo è il premio per il mio comportamento. Mi servirà di lezione per sempre. Si cerca di contravvenire alle proprie percezioni… perché? Per vagare sperduto, senza un riferimento o una guida?

Questa condizione ipnagogica. La capacità di concentrazione diminuisce e prevale uno stato crepuscolare; il mondo visto semplicemente sotto i suoi aspetti simbolici, archetipici, del tutto confuso con il materiale inconscio. Tipico del sonnambulismo provocato dall’ipnosi. Devo smetterla con questo spaventoso scivolare in mezzo alle ombre; rimettere a fuoco la concentrazione e quindi ristabilire il centro dell’ego.

Si frugò nelle tasche in cerca del triangolo d’argento. Sparito. L’ho lasciato su quella panchina nel parco, insieme alla borsa. Una catastrofe.

Si lanciò lungo il marciapiede, tutto piegato in avanti, verso il parco.

Dei barboni sonnacchiosi lo guardarono stupiti mentre risaliva di corsa il vialetto. Eccola, la panchina. E appoggiata ad essa c’era ancora la sua borsa. Nessuna traccia del triangolo d’argento. Frugò tutt’intorno. Sì. Caduto in mezzo all’erba; era lì, seminascosto. Dove lo aveva gettato in un impeto di rabbia.

Si rimise a sedere, ansimando.

Focalizzare di nuovo l’attenzione sul triangolo d’argento , si disse quando ebbe ripreso fiato. Esaminarlo con convinzione e contare. Arrivato a dieci, emettere un suono brusco, che scuote. Erwache [Svegliati!], per esempio.

Un sogno idiota a occhi aperti, di tipo evasivo , pensò. Emulazione degli aspetti più deteriori dell’adolescenza, più che della limpida, originaria innocenza dell’infanzia autentica. Proprio quello che mi merito, comunque.

È tutta colpa mia. Nessuna intenzione cattiva da parte del signor Childan, o degli artigiani; bisogna biasimare solo la mia ingordigia. Non si può costringere la comprensione a venire per forza.

Contò lentamente, a voce alta, poi balzò in piedi. «Maledetta stupidità,» disse, brusco.

Le nebbie si diradavano?

Sbirciò intorno a sé. Con ogni probabilità non si intensificavano. Adesso si può apprezzare l’incisiva scelta di parole di San Paolo… vedere come in uno specchio, in maniera confusa non è una metafora, ma l’arguto riferimento a una distorsione ottica. La nostra visione è astigmatica, fondamentalmente: il nostro spazio e il nostro tempo sono creazioni della nostra psiche, e quando momentaneamente vengono meno… è come un disturbo acuto dell’orecchio medio.

Ogni tanto sbandiamo, ci allontaniamo dal centro, perché abbiamo perduto il senso dell’equilibrio.

Si rimise a sedere, infilò il ghirigoro d’argento in una tasca della giacca, e rimase lì con la borsa in grembo. Quello che devo fare adesso, si disse, è andare a vedere se quella maligna costruzione… come l’ha chiamata, quell’uomo? La superstrada dell’Imbarcadero. Se è ancora palpabile.

Ma aveva paura di farlo.

Eppure , pensò, non posso starmene qui seduto. Ho dei pesi da sollevare, come dice una vecchia espressione popolare americana. Dei compiti da svolgere.

Dilemma.

Due bambini cinesi arrivarono sgambettando rumorosamente lungo il vialetto. Uno stormo di piccioni svolazzò via; i bambini si fermarono.

Il signor Tagomi li chiamò. «Ehi, voi, bambini.» Si frugò in tasca. «Venite qui.»

I due bambini si avvicinarono, circospetti.

«Ecco dieci centesimi.» Lanciò loro una monetina; i bambini si avventarono su di essa. «Andate fino a Kearny Street e guardate se ci sono dei taxi a pedali. Poi tornate qui e riferitemelo.»

«Ci darà un’altra monetina?» disse uno dei due. «Quando torniamo?»

«Sì,» rispose il signor Tagomi. «Ma ditemi la verità.»

I bambini corsero via lungo il vialetto.

Se non ci sono più i taxi a pedali, pensò il signor Tagomi, sarà meglio che trovi un posto appartato per suicidarmi. Strinse la borsa. Ho ancora l’arma con me; non ci sarà nessun problema.

I bambini tornarono indietro a tutta velocità. «Sei!» gridò uno di loro. «Ne ho contati sei.»

«Io ne ho contati cinque,» disse l’altro, ansimando.

II signor Tagomi disse: «Siete sicuri che fossero a pedali? Avete visto bene i guidatori che pedalavano?»

«Sì, signore,» risposero insieme i bambini.

Diede una moneta da dieci centesimi a ciascuno dei due. I bambini lo ringraziarono e corsero via.

Di nuovo in ufficio e al lavoro, pensò il signor Tagomi. Si alzò in piedi, stringendo la borsa. Il dovere mi chiama. Un’altra giornata come tante.

Si avviò nuovamente lungo il vialetto, verso il marciapiede.

«Taxi!» chiamò.

Dal traffico emerse un taxi a pedali; il guidatore si accostò al marciapiede, lucido in volto per il sudore, con il petto ansimante. «Sì, signore.»

«Mi porti al Nippon Times Building,» gli ordinò il signor Tagomi. Salì sul sedile e si mise comodo.

Pedalando furiosamente, il guidatore si infilò in mezzo al traffico degli altri taxi e delle automobili.

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