Gesalla stava in piedi vicino alla finestra che incorniciava il panorama della città, le cui caratteristiche dominanti erano le colonne immobili di fumo grigio e bianco che intersecavano le linee orizzontali grigio e blu della Baia di Arle e del golfo di Tronom. Lei era vestita come lui non l’aveva mai vista prima, con una giacca corta alla vita e calzoni pesanti di saia grigio scuro, completati da una gonna più leggera. Quasi una riproduzione della sua uniforme da astronauta. Un’improvvisa timidezza lo trattenne dal parlare o dal bussare alla porta. Come si dava una notizia come quella che lui portava?
Gesalla si voltò e lo fissò con occhi attenti, tristi. — Grazie per essere venuto, Toller.
— Si tratta di Lain — disse lui, entrando nella stanza. — Temo di avere cattive notizie.
— Sapevo che doveva essere morto quando non l’ho visto né sentito, al calare della notte. — La sua voce era indifferente, quasi brusca. — Mancava solo la conferma.
Toller era impreparato alla sua mancanza di reazione. — Gesalla, non so come dirtelo… in un momento come questo… ma hai visto gli incendi in città. Non abbiamo altra scelta che…
— Sono pronta a partire — disse lei tirando su un fagotto strettamente arrotolato posato su una sedia. — Qui ci sono tutte le cose di cui avrò bisogno. Non è troppo, vero?
Lui fissò per un momento il suo bel viso imperturbabile, lottando per reprimere un irrazionale risentimento. — Hai una vaga idea di dove stiamo andando?
— Dove altro se non su Sopramondo? Le astronavi stanno partendo. Secondo quello che riesco a decifrare dai messaggi dell’eliografo del Gran Palazzo, a Ro-Atabri sta scoppiando la guerra civile, e il Re è già scappato. Credi che io sia stupida, Toller?
— Stupida? No, tu sei molto intelligente, molto logica.
— Ti aspettavi una crisi isterica? Di dovermi trascinare via mentre urlavo che avevo paura di andare in cielo, dove solo l’eroico Toller Maraquine è stato? Dovevo piangere e supplicare che mi si lasciasse il tempo per spargere fiori sul corpo di mio marito?
— No, non mi aspettavo che piangessi — Toller era sbigottito da quello che lei stava dicendo, ma non riuscì a trattenersi. — Non mi aspettavo che tu fingessi dolore.
Gesalla lo colpì al viso, e la sua mano si mosse così in fretta che lui non ebbe alcuna possibilità di evitare lo schiaffo. — Non dirmi mai più niente del genere. Non fare mai questo tipo di congetture su di me! Ora, partiamo o dobbiamo restare qui in piedi a parlare tutto il giorno?
— Prima ce ne andiamo meglio è — disse lui gelido, resistendo all’impulso di stamparle cinque dita sulla guancia. — Prenderò il tuo fagotto.
Gesalla lo afferrò prima di lui e se lo mise sulle spalle. — L’ho preparato per portarlo io, tu hai abbastanza da fare. — Lo precedette in corridoio, muovendosi con leggerezza e apparente fretta, ed era già sulle scale prima che lui l’avesse raggiunta.
— Sany e gli altri servi? — chiese lui. — Non mi va di lasciarli.
Lei scosse la testa.— Sia Lain che io abbiamo provato a convincerli a fare domanda per l’autorizzazione, ma non ci siamo riusciti. Non puoi costringere la gente a partire, Toller.
— Suppongo che tu abbia ragione. — Camminò con lei verso l’ingresso dando un ultimo sguardo nostalgico alla casa, e uscì nel cortile dove il suo blucorno stava aspettando. — Dov’è il tuo carro?
— Non lo so. Lo ha preso Lain ieri.
— Questo significa che dobbiamo cavalcare insieme?
Gesalla sospirò. — Non ho nessuna intenzione di trottarti vicino.
— Molto bene. — Sentendosi stranamente imbarazzato, Toller saltò in sella e le tese una mano. Fu sorpreso di quanto poco sforzo richiedesse aiutarla a sistemarsi dietro di lui, ancora di più quando lei gli fece scivolare le braccia intorno alla vita e si premette contro la sua schiena. Un certo contatto corporeo era necessario, ma sembrava quasi che lei, come se lei… Scacciò il pensiero ancora a metà, spaventato dalla sua oscena prontezza nel pensare a Gesalla in chiave sessuale, e impose al blucorno un trotto veloce.
Uscendo dal cortile e voltando a nord-ovest vide molte altre navi nel cielo sopra la Caserma, che rimpicciolivano sino a diventare puntini mentre venivano assorbite dal blu profondo dell’atmosfera. Nel loro spostamento era evidente una leggera deriva verso est, il che significava che il caos della partenza rischiava di aggravarsi presto, con l’arrivo dei ptertha. Sulla sinistra le torri di fumo che salivano dalla città venivano schiacciate e piegate in due quando incontravano le correnti d’aria delle quote più alte. Gli alberi che bruciavano provocavano ogni tanto scoppiettìi polverosi.
Toller galoppò giù dalla collina tanto velocemente quanto era compatibile con la sicurezza. Le strade erano vuote come prima, ma dal davanti venivano sempre più chiari gli echi dei tumulti. Emerse dall’ultimo gruppo di costruzioni abbandonate e trovò che la scena attorno alla Caserma era completamente cambiata.
Il buco nella staccionata era stato allargato e vari gruppi di persone, forse un centinaio, si erano riuniti lì, dato che la fanteria aveva loro impedito di entrare alla base. Sassi e pezzi di travi di legno volavano addosso ai soldati che, sebbene armati di spade e giavellotti, si lasciavano bersagliare senza reagire. Diversi ufficiali stavano vicino ai soldati sui loro blucorni, e Toller seppe dal fodero delle loro spade e dai lampi verdi sulle spalline che facevano parte di un reggimento Sorka, uomini fedeli a Leddravohr che non avevano alcun particolare legame con Ro-Atabri. Era una situazione che poteva sfociare in una carneficina da un momento all’altro, e se questo fosse avvenuto i soldati ribelli probabilmente, avrebbero reagito scatenando una guerra in miniatura.
— Reggiti e tieni giù la testa — disse a Gesalla mentre sguainava la spada. — Dobbiamo entrare combattendo.
Rimise il blucorno al galoppo, coprendo la distanza dalla base in pochi secondi, veloce come il vento. Toller aveva sperato di cogliere i rivoltosi completamente impreparati e di sfrecciare tra loro prima che avessero il tempo di reagire, ma il picchiare degli zoccoli sulla dura argilla attirò l’attenzione degli uomini chini a raccogliere sassi.
— C’è una giacca blu — gridò qualcuno. — Prendete la sporca giacca blu!
La vista del massiccio animale che caricava e della spada da duello di Toller fu sufficiente a far togliere tutti dalla sua strada, ma non c’era modo di sfuggire all’anomala scarica di proiettili. Toller fu colpito violentemente all’avambraccio e alla coscia, e un pezzo di ardesia a volo radente lo costrinse ad aprire la mano che reggeva la briglia. Riuscì comunque a tenere il blucorno anche sulle tavole di legno travolte della staccionata, e aveva quasi raggiunto le linee dei soldati quando udì il suono di un forte colpo sordo e ne avvertì il contraccolpo trasmesso dal corpo di Gesalla. Lei sussultò e allentò la sua stretta per un istante, poi recuperò le forze. Le file di soldati si aprirono per fargli strada e lui fermò il blucorno tirando le briglie.
— Ti fa male? — chiese a Gesalla, impossibilitato dalla sua stretta a voltarsi sulla sella o a smontare.
— Non è niente — rispose lei con una voce che lui riuscì appena a sentire. — Devi andare avanti.
Un tenente con la barba si avvicinò a loro, fece il saluto e prese le briglie del blucorno. — Siete l’astrocapitano Toller Maraquine?
— Sì.
— Dovete presentarvi immediatamente a rapporto al principe Leddravohr al Capannone 12.
— È quello che sto tentando di fare, tenente — disse Toller. — Sarebbe più facile se vi faceste da parte.
— Signore, il principe Leddravohr non ha fatto alcuna menzione di una donna.
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