Bob Shaw - Sfida al cielo

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Un pianeta su cui si è sviluppata una società avventurosa ma arretrata, spinta da una grande sete di conoscenza ma dotata di una tecnologia elementare e proprio per questo ancora più eroica. Un ambiente duro e ostile da cui si può evadere solo fuggendo verso l’ignoto, nello spazio: sono le premesse da cui parte Bob Shaw per costruire un romanzo di avventure i cui protagonisti sono astronauti che volano su navi di legno ed esploratori dell’ignoto disposti a muoversi fra i mondi con poco più di una caravella. In condizioni simili non c’è da stupirsi che i pericoli del viaggio si moltiplichino per mille e le incognite dell’arrivo siano ancora più tremende. Ma cosa ha da perdere chi non ha nulla da perdere? Non è esagerato dire che in questa saga di un futuro “diverso” Shaw sia riuscito a darci tutti gli elementi di un originale racconto epico.

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“È stato Leddravohr”, pensò. “Questo è il raccolto che mieto per aver permesso a quel mostro di restare vivo. Ha abbandonato mio fratello ai ptertha!”.

Il sole dell’antigiorno era ancora basso, ma nell’aria senza vento il fianco roccioso della collina stava già cominciando a emanare calore. Toller era diviso fra passione e prudenza, il desiderio di correre verso il corpo di suo fratello e la consapevolezza di dover rimanere a distanza di sicurezza. Nonostante le lacrime che gli velavano gli occhi vide qualcosa di bianco spiccare sul petto infossato di Lain trattenuto dalla corda alla cintura della tunica grigia e da una mano sottile.

“Carta? Potrebbe essere”, il cuore di Toller affrettò il battito a quel pensiero. “Un’accusa contro Leddravohr?”

Prese il binocolo che portava con sé da quando era ragazzo e lo puntò sul rettangolo bianco. Le lacrime e il forte riflesso della luce rendevano difficili da leggere le parole scarabocchiate, ma alla fine riuscì a decifrare le ultime parole di suo fratello:

PTERTHA AMICI DEI BRAK. UCCID NOI PERCHÉ NOI UCCID I BRAK. BRAK ALIMENTANO PTERTH. A LORO VOLTA P. PROTEGGE B. CHIARO— ROSA — VIOLACEO P.

EVOLVE TOSSINE. DOBB VIVERE IN ARMONIA CON I BRAK. GUARDARE CIELO.

Toller abbassò il binocolo. Da qualche parte sotto il tumulto rimbombante della sua angoscia covava l’intuizione che il messaggio di Lain aveva un significato che andava molto più in là dei problemi contingenti, ma al momento lui era incapace di trovare la relazione. Era invece più che altro in preda a un disappunto confuso. Perché Lain non aveva usato le sue ultime energie mentali e fisiche per accusare il suo assassino e assicurarsene la punizione? Dopo un attimo di riflessione la risposta venne da sola, e lui riuscì quasi a sorridere con affetto e ammirazione. Lain, persino in punto di morte, era stato un vero pacifista, ben lontano da pensieri di vendetta. Aveva ritirato la sua luce personale dal mondo in una maniera che si confaceva al suo modo di vivere, e Leddravohr ancora teneva duro…

Toller si girò e attraversò il pendio dove il sergente stava aspettando con i due blucorni. Aveva riacquistato il controllo di sé e non c’erano più lacrime a offuscargli la vista, ma adesso i suoi pensieri erano dominati da una nuova domanda che gli rodeva il cervello con la forza e l’insistenza di un’onda che ghermisce la spiaggia.

“Come posso vivere senza mio fratello?” Il calore riflesso delle lastre di pietra premeva contro i suoi occhi, entrava nella sua bocca. “Sarà un giorno lungo e caldo, e come potrò viverlo senza mio fratello?”

— Mi addoloro con voi, capitano — disse Engluh. — Vostro fratello era un buon uomo.

— Sì. — Toller fissò il sergente, cercando di sopprimere un vago disgusto. Quello era l’uomo che era stato formalmente incaricato della sicurezza di Lain, e che era rimasto vivo mentre Lain era morto. Il sergente avrebbe potuto fare ben poco contro i ptertha, su quel tipo di terreno, e stando al suo racconto era stato congedato da Leddravohr molto prima; ma per il carattere di Toller la sua presenza tra i vivi era un affronto a Lain.

— Volete rientrare ora, capitano? — Engluh non dava alcun segno di disagio sotto lo sguardo scrutatore di Toller. Era un veterano dall’aspetto duro, indubbiamente esperto nell’arte di salvarsi la pelle, ma Toller non poteva giudicarlo indegno di fiducia.

— Non ancora — disse. — Voglio trovare il blucorno.

— Molto bene, capitano. — Un bagliore in fondo agli occhi marrone del sergente mostrò che aveva capito che Toller non accettava del tutto il resoconto succinto del principe Leddravohr circa gli avvenimenti del giorno prima. — Vi mostrerò la strada che abbiamo preso.

Toller montò in sella e seguì Engluh sulla collina. Circa a metà strada dalla cima arrivarono in una zona di rocce taglienti, bordate sul margine più basso da un accumulo di schegge. I resti del blucorno giacevano nel mucchio di detriti, già spolpati dai multipiedi e da altri animali. Persino la sella e i finimenti erano stati strappati e masticati minutamente. Toller sentì un brivido freddo lungo la spina dorsale quando si rese conto che il corpo di Lain avrebbe dovuto subire lo stesso destino se non avesse avuto il veleno ptertha nei tessuti. Il suo blucorno aveva cominciato a scuotere la testa e a dar segni di nervosismo, ma lui lo guidò più vicino allo scheletro e aggrottò la fronte quando vide la tibia fratturata. “Mio fratello era vivo quando questo è successo, e ora è morto”. Mentre il dolore si riaccendeva dentro di lui con forza rinnovata chiuse gli occhi e provò a pensare all’impensabile.

Secondo quello che gli era stato detto, il sergente Engluh e gli altri tre soldati si erano diretti verso l’entrata occidentale della Caserma Astronavi dopo essere stati congedati da Leddravohr. Lì avevano aspettato Lain, ed erano rimasti stupiti di vedere Leddravohr tornare da solo.

Il principe era di umore strano, adirato e gioviale allo stesso tempo, e vedendo Engluh pareva che avesse detto: “Preparati ad aspettare a lungo, sergente; il tuo padrone ha disabilitato la sua cavalcatura e ora sta giocando a nascondino con i ptertha”. Pensando che fosse ciò che ci si aspettava da lui, Engluh si era offerto di tornare indietro con un blucorno di scorta, ma Leddravohr aveva detto: “Rimani dove sei! Se lui ha scelto di giocare con la sua vita, questo non è un passatempo per un buon soldato”.

Toller aveva fatto ripetere molte volte al sergente il suo resoconto e la sola interpretazione che riusciva a dargli era che a Lain era stato offerto un ritorno al sicuro, ma che aveva volontariamente deciso di flirtare con la morte. Leddravohr non aveva bisogno di mentire su nessuna delle sue azioni, eppure Toller era incapace di accettare quella versione. Lain Maraquine, noto per i suoi svenimenti alla sola vista del sangue, sarebbe stato l’ultimo uomo al mondo a buttarsi contro i ptertha. Se avesse voluto togliersi la vita avrebbe trovato un modo diverso, ma in ogni caso non aveva nessuna ragione per suicidarsi. Aveva troppo per cui vivere. No, c’era un mistero in quello che era suc cesso sull’arido fianco della collina, il giorno precedente, e Toller conosceva un solo uomo in grado di chiarirlo. Leddravohr poteva non aver mentito, ma sapeva più di quello che…

— Capitano! — Engluh parlò in un sussurro spaventato. — Guardate laggiù.

Toller seguì la linea del dito puntato e vide l’inconfondibile forma scura di un pallone che si alzava nel cielo sopra Ro-Atabri. Pochi secondi più tardi altri tre lo seguirono, in stretta formazione di salita, come se la partenza della flotta per Sopramondo stesse cominciando giorni prima del previsto.

“Qualcosa è andato storto”, pensò Toller prima di essere invaso da un violento senso di rabbia. Già la morte di Lain da sola sarebbe stata più che difficile da superare, poi le si erano aggiunti dubbi e sospetti, e ora le astronavi si stavano alzando dalla Caserma contravvenendo a tutto il rigido piano stabilito per il volo di migrazione. C’era un limite a quanto la sua mente poteva comprendere nello stesso tempo, ma l’universo sembrava non farci assolutamente caso.

— Torniamo indietro — disse, incitando il suo blucorno. Cavalcarono giù dalla collina, aggirarono una sporgenza irta di rovi e raggiunsero il pendio dove giaceva il corpo di Lain. Da lì videro che altri palloni prendevano il volo dalla fila di capannoni, ma lo sguardo di Toller si posò più in là, sulla distesa a macchie della città. Colonne di fumo scuro si stavano alzando dalle zone del centro.

— Sembra una guerra, capitano — disse Engluh meravigliato, alzandosi sulle staffe.

— Forse è proprio così. — Toller diede un’altra occhiata verso la forma inerte e anonima che era stata suo fratello, “Vivrai in me, Lain”, promise. Poi spronò il blucorno in direzione della capitale.

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