Il principe Leddravohr prese uno specchio e corrugò la fronte davanti alla sua immagine. Anche quando risiedeva al Gran Palazzo preferiva evitare l’aiuto di camerieri personali, per la sua toilette, e passava un bel po’ di tempo, la mattina, ad affilare il rasoio di brakka e ad ammorbidirsi la barba ispida con l’acqua calda. Anche stavolta, infastidito, vide che si era procurato le solite abrasioni sulla gola. Non c’erano tagli veri e propri, ma minuscole goccioline di sangue stavano trasudando dalla pelle, e più le asciugava più in fretta ricomparivano.
“Ecco il risultato di vivere come una signorina viziata”, si disse premendosi un pezzo di stoffa umida sulla gola e decidendo di vestirsi dopo aver fermato quell’odioso sanguinamento. Lo specchio, due lastre di vetro a rifrazione differenziata attaccate insieme, era quasi del tutto riflettente, ma quando si mise davanti alla finestra poté discernere il suo brillante rettangolo nel sandwich di vetro, che apparentemente occupava lo stesso spazio del suo corpo.
“E simbolico”, pensò. “Sto diventando inconsistente, un fantasma, in vista dell’ascesa a Sopramondo. La mia vita reale, la sola vita che abbia qualche significato, sarà chiusa e finita quando…” I suoi pensieri vennero bruscamente interrotti da uno scalpiccio di passi affrettati nella stanza contigua. Si voltò e vide sulla porta del bagno la figura squadrata del maggiore Yachimalt, il responsabile delle comunicazioni tra il Palazzo e la Caserma Astronavi. Yachimalt sembrava sottosopra, ma, quando si accorse che Leddravohr era nudo, fece il gesto di uscire.
— Perdonatemi, principe — disse. — Non mi ero accorto…
— Cosa succede, uomo? — Disse Leddravohr duro. — Se hai un messaggio per me, sputalo fuori.
— È una comunicazione del colonnello Hippern, principe. Dice che una folla in tumulto si sta radunando all’entrata principale della Caserma.
.— Ha un intero reggimento a sua disposizione, no? Perché dovrei occuparmi di persona di un mucchio di plebaglia?
— Il messaggio dice che li sta incitando il Lord Prelato, principe — rispose il maggiore. — Il colonnello Hippern chiede la vostra autorizzazione a metterlo agli arresti.
— Balountar! Quel miserabile sacco di ossa! — Leddravohr gettò lo specchio da una parte e andò all’armadio che conteneva i suoi vestiti. — Dite al colonnello Hippern di tener duro, ma di non fare niente contro Balountar finché non arrivo io. Me la vedrò direttamente con il Lord Spaventapasseri in persona.
Yachimalt salutò e scomparve. Leddravohr si trovò a ridere davvero mentre si vestiva in fretta e si infilava nella sua corazza bianca. A soli cinque giorni dalla partenza del primo squadrone per Sopramondo, i preparativi erano virtualmente finiti, e l’ultima cosa che lui desiderava era un periodo sia pur breve di inattività forzata. Quando non aveva niente da fare i suoi pensieri andavano troppo facilmente all’impresa che lo aspettava, ed era allora che le pallide larve della paura e dell’insicurezza sferravano il loro insidioso attacco. Era quasi grato allo sbraitante Lord Prelato, perché gli offriva un diversivo, l’opportunità di sentirsi pienamente efficiente e vivo ancora una volta.
Leddravohr cinse la spada e si affibbiò il coltello al braccio sinistro. Uscì in fretta dal suo appartamento e si diresse verso il cortile principale, scegliendo una strada in discesa dove c’era poca probabilità di incontrare suo padre. Il Re conservava un’eccellente lucidità mentale e quasi certamente doveva aver sentito del comportamento suicida di Lain Maraquine, il dopogiorno precedente. Leddravohr, al momento, non aveva alcuna voglia di subire un interrogatorio sull’assurdo incidente. Aveva dato ordine che un gruppo di disegnatori andasse alla cava e copiasse i dipinti, per essere in gradi di presentarli a suo padre al loro primo incontro. L’istinto gli diceva che il Re sarebbe stato adirato e soprattutto sospettoso, e non proprio a torto, che lui avesse avuto parte nella morte di Maraquine, ma forse i disegni l’avrebbero ammorbidito un po’.
Nel raggiungere il cortile Leddravohr fece segno a un ostiario di portargli il blucorno pezzato che cavalcava di solito, e pochi secondi dopo stava galoppando verso la Caserma Astronavi. Uscì dal doppio bozzolo di reti che avvolgevano il palazzo e imboccò uno dei passaggi coperti che attraversavano i quattro fossati. La volta di lino verniciato era una buona protezione contro la polvere dei ptertha e permetteva spostamenti sicuri in tutta Ro-Atabri, ma Leddravohr ci si sentiva rinchiuso e costretto. Fu felice quando raggiunse la città, dove almeno si poteva vedere il cielo attraverso gli schermi di rete, e si diresse verso ovest lungo le rive del Borann.
C’era poca gente in giro, e quasi tutti sulla strada della Caserma, come se un sesto senso li avesse avvertiti che stava succedendo qualcosa di grosso. Era una mattina calda e senza vento, senza nessuna minaccia da parte dei ptertha. Quando raggiunse la periferia occidentale della città ignorò la strada protetta che correva intorno al recinto della base astronavi, prendendo invece a sud, all’aria aperta, da dove poté vedere una certa calca davanti al cancello dell’entrata principale. I pannelli laterali del passaggio coperto erano stati arrotolati, impedendo così che la folla bloccasse del tutto l’uscita di sicurezza. Dall’altra parte del cancello scorse la cima di una fila di picche che indicavano la presenza dei soldati, e fece un segno d’approvazione con la testa; la picca era un’arma buona per dimostrare a quei civili senza disciplina l’errore del loro modo d’agire.
Avvicinandosi alla massa di persone Leddravohr mise al passo il blucorno, e quando il suo arrivo fu notato, la folla si divise rispettosamente per fargli strada. Lui fu sorpreso di notare la quantità di abiti logori; i comuni cittadini di Ro-Atabri stavano evidentemente peggio di quanto lui avesse immaginato. Tra spinte e mormorii, le ali della folla invece di richiudersi si fecero ancora più indietro, creando al centro uno spazio semicircolare nel quale spiccava, isolata, la nera figura di Balountar.
Il Lord Prelato, che stava arringando un ufficiale al di là del cancello chiuso, si voltò a fronteggiare Leddravohr. Sussultò troppo visibilmente nel vederlo, ma l’espressione di rabbia scolpita nei suoi lineamenti non cambiò. Leddravohr cavalcò lentamente verso di lui, smontò con una deliberata ostentazione di pigra indifferenza e fece segno di voler entrare. Due soldati trascinarono il pesante cancello e Leddravohr e Balountar si trovarono al centro di una pubblica arena.
— Bene, prete, disse Leddravohr calmo. — Cosa vi porta qui?
Penso che sappiate benissimo perché sono qui. — Balountar aspettò almeno tre secondi prima di aggiungere l’appellativo con cui ci si rivolgeva a un membro della famiglia reale, staccandolo bene dalla frase precedente e dandogli così un’intonazione insolente. — Principe.
Leddravohr sorrise. — Se siete venuto per chiedere un posto a bordo, siete arrivato troppo tardi, sono già stati assegnati tutti.
— Non chiedo niente — disse Balountar alzando la voce, più che altro a beneficio della folla.
— Vengo a fare rivendicazioni. Rivendicazioni che devono essere accolte.
— Rivendicazioni! — Nessuno aveva mai osato usare quella parola con Leddravohr, e mentre lui la ripeteva gli accadde una strana cosa. Gli sembrò di sdoppiarsi in due corpi: uno fisico, solido, ancorato a terra; l’altro immateriale, etereo così leggero da galleggiare nella brezza più lieve. Quest’ultimo Leddravohr non si sentì non più in contatto con la superficie del pianeta, ma sospeso all’altezza dell’erba, come un ptertha, capace di una visione onnicomprensiva ma distaccata di tutto quello che gli succedeva intorno. Da quel punto privilegiato osservò stupefatto il suo doppio corporeo impegnato nel suo gioco infantile.
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