Toller si girò verso suo fratello.
— Quella è tua moglie… ed è incinta!
— Grazie dell’informazione — disse Lain con voce spenta, guardando Toller con occhi senza vita.
— Ma è tutto sbagliato!
— È l’uso Kolcorriano. — Incredibilmente, Lain riuscì ad atteggiare le labbra in un sorriso.
Ed è uno dei motivi per cui siamo disprezzati da ogni altra nazione del mondo.
— Chi se ne frega degli altri…?
— Toller si accorse che Fera, le mani sui fianchi, lo stava fissando con una furia che non faceva nulla per mascherare. — Che cosa ti prende?
— Forse se tu mi avessi denudata e gettata al principe le cose sarebbero andate come volevi tu — disse Fera a voce bassa e alquanto dura.
— Cosa vuoi dire?
— Voglio dire che non vedevi l’ora di vedermi andare con lui.
— Tu non capisci — protestò Toller. — Pensavo che Leddravohr volesse punire me.
— È esattamente quello che…
— Fera si interruppe per dare un’occhiata a Lain, poi si rivolse di nuovo a Toller. — Sei un pazzo, Toller Maraquine. Vorrei non averti mai incontrato. — Girò sui tacchi, improvvisamente altera, in un modo che lui non aveva mai visto prima, tornò in fretta nel salone e sbatté la porta.
Toller rimase a bocca aperta per un momento, perplesso, poi fece un giro nervoso intorno alla stanza e tornò da Lain e Glo. Quest’ultimo, con un’aria più esausta e fragile che mai, stringeva la mano di Lain.
— Cosa vuoi che faccia, ragazzo mio? — disse dolcemente. — Posso tornare al Peel se vuoi restare solo.
Lain scosse la testa. — No, mylord. È molto tardi. Se vorrete farmi l’onore di restare qui vi farò preparare una stanza.
— Molto bene. — Quando Lain se ne andò per dare istruzioni ai servitori, Glo girò la sua grande testa in direzione di Toller. — Non stai aiutando tuo fratello correndo in giro come un animale in gabbia.
— Non lo capisco — borbottò Toller. — Qualcuno dovrebbe fare qualcosa.
— Che cosa… hmm… suggeriresti?
— Non lo so. Qualcosa.
— Migliorerebbe la sorte di Gesalla se Lain si facesse ammazzare?
— Forse — disse Toller, rifiutandosi di usare la logica. — Potrebbe almeno essere fiera di lui.
Glo sospirò. — Aiutami a tro vare una sedia, e poi vai a prendermi un bicchiere di qualcosa di forte. Un nero di Kailian.
— Vino? — Toller rimase sorpreso nonostante il suo tumulto mentale. — Volete vino?
— Hai detto che qualcuno dovrebbe fare qualcosa, e questo è quello che farò io — rispose Glo tranquillamente. — Dovrai ballare alla tua stessa musica.
Toller aiutò il vecchio a sistemarsi su una sedia dallo schienale alto in un angolo della sala e andò a prendergli la sua coppa di vino, cercando d’inventarsi una giustificazione qualsiasi per tollerare l’intollerabile. Ma era un modo di pensare innaturale per lui, e ci volle un tempo che gli sembrò lunghissimo per trovare una scappatoia. “Leddravohr ci sta solo prendendo in giro” decise, attaccandosi a un filo di speranza. “Gesalla non può piacere a uno che è abituato a cortigiane esperte. La sta solo tenendo chiusa nel la sua stanza, e ride di noi. In effetti, può esprimere il suo disprezzo molto meglio sdegnando di toccare una qualunque delle nostre donne”.
Nell’ora che seguì Glo bevve quattro grandi bicchieri di vino, che diedero colore al suo viso e gli restituirono un po’ di energia. Lain si era ritirato nella solitudine del suo studio, sempre senza mostrare alcun segno di emozione, e Toller si sentì ancor più demoralizzato quando Glo annunciò il suo desiderio di ritirarsi. Sapeva che lui non avrebbe dormito e non aveva nessuna voglia di rimanere da solo con i suoi pensieri. Accompagnò Glo all’appartamento assegnatogli e lo aiutò in tutte le tediose procedure del bagno e del mettersi a letto, poi tornò nel lungo corridoio che collegava le stanze da letto principali. Udì dei rumori sommessi alla sua sinistra.
Si voltò e vide Gesalla che veniva verso di lui diretta alla sua camera. Gli abiti neri lunghi e svolazzanti e il viso sbiancato le davano un aspetto spettrale, ma il suo portamento era eretto e solenne. Era la stessa Gesalla Maraquine che lui aveva sempre conosciuto, fredda, riservata e indomita, e vedendola sentì una fitta di preoccupazione mista a sollievo. — Gesalla — disse, muovendo verso di lei, — stai…?
— Non avvicinarti — disse lei brusca con gli occhi stretti in uno sguardo velenoso, e l’oltrepassò senza alterare il suo passo. Costernato dal vero e proprio disgusto della sua voce, l’osservò finché scomparve alla sua vista, poi lo sguardo gli cadde sul pavimento a mosaico chiaro. La traccia di impronte insanguinate gli raccontarono una storia ancora più orribile di qualunque altra avesse tentato di scacciare dalla sua mente.
“Leddravohr, oh Leddravohr, oh Leddravohr”, cantilenò dentro di sé. “Siamo indivisibili adesso, tu ed io. Ti sei legato a me… e solo la morte ci potrà separare”.
La decisione di attaccare Chamteth da ovest fu presa per ragioni geografiche.
Ai confini occidentali dell’impero Kolcorriano, un po’ a nord dell’equatore, c’era una catena di isolotti vulcanici che terminava in un triangolo di terra bassa di circa otto miglia di lato. Conosciuta come Oldock, l’isola disabitata presentava diversi aspetti di grande importanza strategica per Kolcorron. Intanto era abbastanza vicina a Chamteth da costituire un’eccellente testa di ponte per un attacco dal mare; poi era fittamente coperta di alberi di tallon e rafter, due specie che crescevano fino a una notevole altezza e offrivano quindi una buona protezione contro i ptertha.
Inoltre il fatto che Oldock e l’intera catena Fairondes giacessero su una linea di correnti d’aria prevalentemente occidentali era un altro vantaggio per le cinque armate di Kolcorron. Il vento costante che soffiava sul mare aperto, pur rallentando l’andatura e costringendo le aeronavi a fare uso continuo dei loro reattori ave va un’influenza ancora maggiore sul movimento dei ptertha, cui rendeva praticamente impossibile avvicinarsi alla preda. I telescopi mostravano i lividi globi che sciamavano pigri nelle correnti di alta quota, ma venivano per la maggior parte trascinati verso est quando cercavano di penetrare i livelli più bassi dell’atmosfera. Quando aveva studiato il piano di invasione, l’alto comando Kolcorriano aveva previsto di perdere più di un sesto dei suoi uomini a causa dei ptertha, invece i decessi effettivi erano insignificanti.
Mentre l’esercito procedeva sempre più a ovest, la durata del giorno e della notte subiva un graduale ma percettibile cambiamento. L’antigiorno si faceva via via più corto e il dopogiorno più lungo, mentre Sopramondo si spostava dallo zenit e si avvicinava all’orizzonte orientale. Infine Tantigiorno si ridusse a un breve sprazzo di colori mentre il sole attraversava il vuoto tra l’orizzonte e il pianeta gemello, ormai annidato al bordo orientale di Mondo. La piccola notte divenne un breve prolungamento della notte vera e propria, e ci fu un senso di vera eccitazione, tra gli invasori, quando l’aspetto del cielo disse loro che si trovavano ormai nel Paese dei Lunghi Giorni.
L’insediamento della postazione sulla spiaggia stessa di Chamteth era un’altra fase dell’operazione nella quale ci si aspettavano considerevoli perdite, e i comandanti Kolcorriani non riuscirono a credere alla loro buona fortuna quando trovarono le rive coperte alberi deserte e indifese.
L’esercito, suddiviso in tre ali separate, non incontrò alcuna resistenza, e poté riunirsi ed attestarsi senza una sola vittima, a arte i normali incidenti inevitabili quando grandi masse di uomini e materiali si addentrano in un territorio sconosciuto. Nella foresta, tra gli altri alberi, trovarono piccoli gruppi di brakka, e il giorno dopo i fanghisti erano già al lavoro in coda ai militari in marcia.
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