Ursula Le Guin - Città delle illusioni
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- Название:Città delle illusioni
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- Издательство:Longanesi & C
- Жанр:
- Год:1975
- Город:Milano
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— C'è qualche posto dove possiamo passeggiare… fuori di quella porta? — chiese di botto al ragazzo, stanco dei modi indiretti e delle pareti poco concrete di quel posto, e chiedendosi inoltre quali fossero i veri limiti della loro libertà.
— Da qualsiasi parte, prech Ramarren. Fuori per strada, oppure prendiamo la slitta? O meglio, c'è un giardino in questo Palazzo.
— Va bene il giardino.
Orry lo condusse per un corridoio ampio e splendente quanto vuoto, poi, superata una porta a battenti, in una stanzetta. — Il Giardino — disse ad alta voce, e i battenti si chiusero; non ci fu sensazione di movimento, ma quando si riaprirono essi poterono uscire in un giardino. Era fuori della porta. Le pareti traslucide splendevano delle luci della Città sottostante; la luna, quasi in plenilunio, brillava velata e distorta attraverso il tetto vitreo. Il luogo era pieno di morbide luci e ombre in movimento, popolato di cespugli e tralci tropicali che si intrecciavano nei graticci o pendevano dagli alberi, mentre grappoli di fiori bianchi e purpurei addolcivano l'aria di vapore, e le foglie escludevano lo sguardo a soli pochi passi e da ogni lato. Falk si girò di botto per assicurarsi che la via d'uscita gli rimanesse sgombra alle spalle. Il silenzio caldo, pesante e odoroso aveva qualcosa d'irreale: per un momento gli sembrò che le ambigue profondità del giardino avessero alcunché di alieno e smisuratamente remoto, i colori, i toni, la complessità di un pianeta perduto, un pianeta di profumi e illusioni, di acquitrini e trasformazioni…
Sul viottolo che si snodava tra fiori ombrosi Orry si fermò a cogliere un tubicino bianco contenuto in un involucro, introducendolo tra le labbra da una delle estremità per succhiarlo avidamente. Falk era troppo assorto in altre meditazioni per prestare attenzione, ma fu il ragazzo che gli spiegò con un certo imbarazzo: — È il pariitha, un tranquillante… lo adoperano i Signori; ha un effetto molto stimolante sulla mente. Se ne vuoi anche tu…
— No, grazie. Ci sono parecchie altre cose che voglio chiederti. — Esitava, però. Queste nuove domande non potevano essere del tutto dirette. Dal "Consiglio" e dalle spiegazioni di Abundibot aveva avuto la sensazione, ricorrente e spiacevole, che l'intera faccenda fosse tutta una finzione… una rappresentazione , come ne aveva viste sui vecchi libri visivi della biblioteca del Principe del Kansas, il Sognodramma di Hain, il vecchio re pazzo, Lear, che vaneggiava in una brughiera spazzata dalle bufere. Ma il lato curioso della faccenda era la netta impressione che quella bella commedia non fosse a suo beneficio, ma a beneficio di Orry. Non capiva perché, ma aveva più volte avvertito che tutto ciò che Abundibot gli andava dicendo aveva l'unico scopo di dimostrare qualcosa al ragazzo.
E il ragazzo ci credeva. Per lui non era una rappresentazione; oppure ne era un attore.
— C'è una cosa che mi lascia perplesso — disse Falk cautamente. — Mi hai detto che Werel dista dalla Terra centotrenta, centoquaranta anni luce. Non possono esserci molte stelle a quella distanza.
— I Signori dicono che ci sono quattro stelle con pianeti che potrebbero essere il nostro sistema, situate tra i centoquindici e i centocinquanta anni luce da qui. Ma sono in quattro direzioni diverse, e nel caso che gli Shing inviassero un'astronave per fare ricerche, potrebbero passare fino a milletrecento anni tra l'andare e il tornare da quei quattro sistemi in cerca di quello giusto.
— Per quanto bambino tu fossi, pare un po' strano che tu non sappia quanto doveva durare il viaggio, o che età avresti avuto al tuo ritorno a casa, tanto per dire.
— Si parlava di "due anni", prech Ramarren, che significa approssimativamente centoventi anni Terrestri; ma capivo bene che quella non era la cifra esatta, e che io non dovevo chiederla. — Per un po', ripensando a Werel, il ragazzo parlò con maggior risolutezza che nelle occasioni precedenti. — Penso che magari gli adulti della Spedizione, non sapendo chi o che cosa avrebbero trovato sulla Terra, volevano essere sicuri che noi bambini, che non disponevamo di difese mentali in campo tecnico, non comunicassimo a un eventuale nemico la posizione di Werel. Era più sicuro che restassimo ignoranti, probabilmente.
— Ricordi come apparivano da Werel le stelle, le costellazioni?
Orry si strinse nelle spalle in segno di diniego, sorridendo. — I Signori mi hanno chiesto anche questo. Sono nato in Inverno, prech Ramarren; quando siamo partiti stava venendo la Primavera. Sono state rare le volte che ho potuto vedere il cielo limpido.
Se tutto ciò era vero, pareva proprio che solo lui, il suo io nascosto, Ramarren, potesse dire da dove provenivano lui e Orry. Bastava a spiegare quello che pareva il nodo centrale, l'interesse che gli Shing avevano per lui, tale da farlo arrivare qui sotto la guida e la protezione di Estrel, e da offrirgli la possibilità di recuperare la memoria? C'era un mondo che sfuggiva al loro controllo, che aveva reinventato i voli a velocità della luce; magari volevano sapere dove si trovava. E se gli restituivano la memoria gliel'avrebbe potuto dire. Sempre che fosse vera anche la minima parte di quello che gli avevano detto.
Sospirò. Era stanco di questo tumulto di sospetti, di questa pletora di meraviglie inconsistenti. Si chiedeva a volte se non fosse sotto l'influsso di qualche droga. Si sentì assolutamente impreparato a giudicare la situazione in cui si trovava. Lui, come probabilmente questo ragazzo, erano burattini nelle mani di strani e spietati burattinai.
— Era… quello chiamato Abundibot… era nella stanza poco fa, oppure era un'immagine, un'illusione?
— Non lo so, prech Ramarren — rispose Orry. La mistura che aspirava dal tubicino sembrava rallegrarlo e calmarlo; sempre piuttosto infantile, parlava ora con semplice gaiezza. — Immagino di sì, ma non vengono mai vicino. Ti dirò, anzi, è piuttosto strano, ma in tutto il tempo che sono rimasto qui, sei anni ormai, non ne ho mai toccato uno. Si tengono molto distanti, ognuno per conto proprio. Non voglio dire che non sono gentili — aggiunse poi in fretta, guardando Falk con i suoi occhi limpidi per assicurarsi di non avergli dato un'idea sbagliata — sono anzi gentilissimi. Sono molto affezionato al Signore Abundibot, a Ken Kenyek e a Parla. Ma sono sempre così distaccati, lontani da me. Sanno tante cose. Sopportano tutto. Tengono viva la conoscenza, mantengono la pace, e così fanno da migliaia di anni, mentre il resto della popolazione di questa Terra non si assume alcuna responsabilità e vive in una libertà brutale. I loro simili li odiano e non vogliono apprendere la verità che essi offrono. E così si devono sempre tenere da parte, restare soli, allo scopo di preservare la pace, le capacità, la conoscenza che senza di loro andrebbero perse in pochi anni, in mezzo a tutte quelle tribù in lotta e Case e Vagabondi e cannibali randagi.
— Non sono tutti cannibali — disse Falk seccamente.
La lezione che Orry aveva così bene imparato pareva terminata. — No — convenne — immagino di no.
— Alcuni di essi dicono di esser caduti così in basso perché sono gli Shing a tenerceli; che se cercano di sapere, sono gli Shing a impedirglielo; se cercano di fondare una città per conto loro, sono gli Shing a distruggere la città e loro con essa.
Ci fu una pausa. Orry finì di succhiare il suo tubo di pariitha e lo seppellì con cura tra le radici di un cespuglio con lunghi fiori penduli rosso carne. Falk aspettava la risposta e solo poco per volta si rese conto che non sarebbe venuta. Quello che aveva detto semplicemente non era stato colto, non aveva nessun significato per il ragazzo.
Camminarono per un po' tra le luci ammiccanti e le pesanti fragranze del giardino, con una luna fosca sopra il capo.
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