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Robert Silverberg: Il sogno del tecnarca

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Robert Silverberg Il sogno del tecnarca

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Il Tecnarca McKenzie ha fretta, perché vuol gli uomini sparsi per tutto l’Universo durante il periodo del suo governo. Per questo lo irritano tanto le notizie portate dall’equipaggio dell’astronave che ha compiuto felicemente un viaggio di prova sperimentando la nuova propulsione. Gli uomini non sono i soli esseri intelligenti. Gli astronauti hanno notato tracce di attività su uno dei pianeti scelti da Tecnarca per la colonizzazione terrestre. Un’altra civiltà vi sta installando una sua colonia. Il Tecnarca McKenzie ha fretta di definire la questione, perciò bisogna mettersi in contatto con gli altri, far loro capire chi sono i terrestri, ed accordarsi perché le sfere di influenza delle due civiltà non vengano mai a conflitto, e si dividano amichevolmente l’Universo. E l’astronave appena tornata dal difficile viaggio deve ripartire subito, con lo stesso equipaggio, che è stanco ma è l’unico di cui il Tecnarca si fidi. Con l’equipaggio viaggeranno i cinque uomini migliori della Terra, ognuno eccellente nel proprio campo, per negoziare con l’altra razza e concludere secondo i desideri del Tecnarca il quale, avendo già rinunciato a una parte del suo sogno, non intende rinunciare anche alla metà dell’universo che gli è rimasta. Ma le cose non vanno come stabilito, e il Tecnarca dovrà mettersi a segnare il passo insieme a tutta la razza umana, perché la spedizione terrestre fa una scoperta che costringerà McKenzie a rinunciare ai suoi sogni.

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«Avete qualche proposta da fare?» chiese il Geoarca.

«Sì» replicò McKenzie. «Dobbiamo metterci immediatamente in contatto con questa razza. Non tra cento anni, non tra un anno, ma addirittura la settimana prossima. Dobbiamo far sapere a loro che nell’Universo ci siamo anche noi, e che bisogna assolutamente raggiungere una specie di accordo… prima, capite, prima che l’urto avvenga!»

Seguì un attimo di silenzio solenne. McKenzie fissava la figura eretta di Laurance fiancheggiata dagli altri quattro uomini dell’equipaggio.

«Cosa vi fa supporre» chiese Lestrade, l’Arconte della Sicurezza, «che questi… stranieri, diciamo così, possano nutrire dei propositi ostili nei nostri confronti?»

«Il problema dei loro eventuali propositi ostili è del tutto irrilevante. Loro esistono e noi esistiamo, ecco il punto! Loro colonizzano la loro area, noi la nostra. Prima o poi l’urto sarà inevitabile.»

«Diteci chiaramente ciò che consigliate, Tecnarca McKenzie» disse timidamente il Geoarca.

McKenzie si alzò. «Io propongo che la nave spaziale a velocità ultra-luce, appena tornata dal suo viaggio, riprenda immediatamente lo spazio. Propongo che all’equipaggio venga aggregata una commissione di esperti. Propongo infine che questa commissione si metta in contatto con l’altra razza per intavolare negoziati. I nostri parlamentari tenteranno di scoprire i propositi di questi esseri e di raggiungere un’intesa, secondo la quale alcune aree della galassia verranno riservate all’una o all’altra delle due razze colonizzatrici.»

«E chi comanderà l’astronave questa volta?» chiese l’Arconte delle Comunicazioni.

McKenzie parve sorpreso dalla domanda. «Mi sembra evidente, no? Abbiamo di fronte a noi un equipaggio addestrato perfettamente, e che ha già dato prova delle sue capacità.»

«Ma sono appena tornati da una spedizione durata un mese» protestò l’Arconte Wissiner. «Questi uomini hanno una casa, una famiglia. Non potete farli ripartire immediatamente!»

«Proponete forse di rischiare la nostra unica astronave a velocità ultra-luce affidandola a mani inesperte?» ribatté McKenzie. «Se l’Arconato è d’accordo, presenterò prima di questa sera un elenco di persone che mi sembrano adatte per negoziare con gli stranieri. Una volta riuniti gli esperti, l’astronave potrà ripartire subito. A ogni buon conto, lascio decidere a voi.»

McKenzie riprese il proprio posto. Seguì un dibattito breve e privo di convinzione. Sebbene più di un Arconte deplorasse in cuor suo i metodi drastici del Tecnarca, ben di rado qualcuno si azzardava ad opporsi, quando si arrivava al momento del voto. Troppe volte, in passato, McKenzie aveva dimostrato d’avere ragione perché gli altri osassero metterglisi contro.

Lui sedeva, taciturno, ascoltando la discussione e prendendovi parte solo di tanto in tanto, quand’era indispensabile. I suoi lineamenti non lasciavano trasparire niente dell’amarezza che si era accumulata in lui dal momento in cui la VUL-XV era atterrata. Tutta l’esultanza per il recupero della preziosa astronave si era dissolta non appena saputa la novità.

Razze estranee che costruiscono colonie, pensava avvilito. L’Universo, il suo giocattolo scintillante, aveva perso ogni fulgore nella sua fantasia; s’era arrugginito e annerito. Aveva sognato una miriade di pianeti in attesa dell’Uomo. Aveva sognato un’intera umanità che sciamava nello spazio in cerca di nuovi mondi da conquistare. Bisognava dire addio a questi sogni. Dopo centinaia di anni, ecco che ci si era imbattuti in un’altra specie. Quali che fossero le capacità degli «altri», la loro presenza costituiva di fatto una limitazione per il genere umano: una parte dell’Universo era preclusa all’uomo. Di fronte a questa eventualità, McKenzie si sentiva diminuito, depresso.

Non c’era altro da fare che negoziare, salvare almeno una porzione di infinito per l’impero della Terra.

McKenzie sospirò. L’uomo più qualificato per andare a trattare con gli estranei era proprio lui. Ma la Legge Terrestre proibiva a un Arconte di lasciare il pianeta. Solo rinunciando all’Arconato McKenzie avrebbe potuto accompagnare la commissione per i negoziati, e una rinuncia simile McKenzie non poteva nemmeno prenderla in considerazione.

Aspettò, impaziente, che il dibattito si avviasse verso una conclusione già scontata. Avrebbero finito col cedere, naturalmente, ma bisognava lasciarli parlare. Ancora un poco. Almeno, fino a quando Dawson avesse finito di domandarsi se quell’espansione del genere umano oltre i confini della sfera presente fosse finanziariamente una buona speculazione; fino a quando Wissiner avesse finito di valutare il pro e il contro di quei negoziati; fino a quando Croy avesse esaurito l’obiezione che forse l’altra razza si stava estendendo nella direzione opposta; fino a quando Klaus avesse finito di suggerire, sia pure in modo velato, che la soluzione più rapida poteva venire da una guerra immediata, e non dai negoziati.

E le parole rimbalzarono di bocca in bocca lungo i due lati della tavola, finché ciascun Arconte non si fu liberato dei propri dubbi personali. E intanto ai cinque piloti spaziali, stanchi ed esausti per il viaggio, veniva offerto lo spettacolo insolito della suprema oligarchia terrestre che si accapigliava. Alla fine, il Geoarca dichiarò con la voce tremula e incerta: «La proposta è ai voti.»

Ogni Arconte manovrava un commutatore nascosto sotto la sua sezione di tavola. Verso destra per approvare, verso sinistra per fare opposizione. Al di sopra della tavola, un globo trasparente registrava il responso segreto. Bianco, responso positivo Nero, negativo. McKenzie fu il primo a manovrare l’interruttore. Una lattiginosità abbagliante scaturì dalle profondità grigiastre del globo. Un istante dopo una lancia color ebano attraversò la luminostà lattiginosa: il voto di Wissiner?, si chiese McKenzie. La votazione proseguì. Il colore del globo si alternava tra il bianco e il nero. Dominava il grigio: bianco e nero si mescolavano senza una nitida prevalenza. La sfumatura si faceva ora più cupa, ora più biancastra. Gocce di sudore imperlavano la fronte del Tecnarca. Poi, via via che i voti arrivavano, il colore si fece sempre più pallido.

Alla fine, il globo lasciò trasparire il candore puro della vittoria. Il Geoarca decretò: «La proposta è approvata. Il Tecnarca McKenzie preparerà i piani della missione per i negoziati, e ce li presenterà per l’approvazione. La riunione è aggiornata fino a nuovo avviso del Tecnarca.»

Alzatosi, McKenzie scese dalla pedana e si avviò verso i cinque uomini d’equipaggio che parlottavano incerti tra loro al centro della stanza. Al suo avvicinarsi, uno di loro, Peterszoon, un gigante biondo, lo squadrò con una inconfondibile espressione d’antipatia.

«Possiamo andare adesso, Eccellenza?» chiese Laurance, che evidentemente cercava di controllarsi.

«Un istante ancora. Vorrei dirvi una parola.»

«Come volete, Eccellenza.»

McKenzie si sforzò di atteggiare i lineamenti severi al sorriso, cosa insolita per lui. «Non sono qui per scusarmi, voglio solo dirvi che mi rendo conto benissimo che meritereste una vacanza, e che mi dispiace che non possiate concedervela. La Terra ha ancona bisogno di voi, subito. Siete gli uomini migliori che abbiamo, per questo vi abbiamo scelto.»

Li fissò uno per uno. Laurance, Peterszoon, Nakamura, Clive, Hernandez. L’ira repressa che brillava negli occhi di ciascuno si addolcì.

Erano ancora indignati, ma già riuscivano a vedere oltre la loro rabbia momentanea.

Rispose Laurance, nel suo tono lento, deciso: «Ma avremo almeno un paio di giorni, vero?»

«Come mimmo» garantì il Tecnarca. «Però, non appena i negoziatori saranno riuniti, dovrete partire.»

«Quanti uomini sceglierete? L’astronave può portare al massimo nove o dieci persone.»

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