Robert Silverberg - Il sogno del tecnarca

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Il Tecnarca McKenzie ha fretta, perché vuol gli uomini sparsi per tutto l’Universo durante il periodo del suo governo. Per questo lo irritano tanto le notizie portate dall’equipaggio dell’astronave che ha compiuto felicemente un viaggio di prova sperimentando la nuova propulsione. Gli uomini non sono i soli esseri intelligenti. Gli astronauti hanno notato tracce di attività su uno dei pianeti scelti da Tecnarca per la colonizzazione terrestre. Un’altra civiltà vi sta installando una sua colonia. Il Tecnarca McKenzie ha fretta di definire la questione, perciò bisogna mettersi in contatto con gli altri, far loro capire chi sono i terrestri, ed accordarsi perché le sfere di influenza delle due civiltà non vengano mai a conflitto, e si dividano amichevolmente l’Universo. E l’astronave appena tornata dal difficile viaggio deve ripartire subito, con lo stesso equipaggio, che è stanco ma è l’unico di cui il Tecnarca si fidi. Con l’equipaggio viaggeranno i cinque uomini migliori della Terra, ognuno eccellente nel proprio campo, per negoziare con l’altra razza e concludere secondo i desideri del Tecnarca il quale, avendo già rinunciato a una parte del suo sogno, non intende rinunciare anche alla metà dell’universo che gli è rimasta. Ma le cose non vanno come stabilito, e il Tecnarca dovrà mettersi a segnare il passo insieme a tutta la razza umana, perché la spedizione terrestre fa una scoperta che costringerà McKenzie a rinunciare ai suoi sogni.

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Una volta di più si era sbagliato.

Forse un tempo i Rosgollani avevano avuto cose del genere: ad ogni buon conto, già da un bel po’ — quanto? — dovevano aver scartato la squallida imponenza delle grandi metropoli. La scena che apparve agli occhi dei Terrestri, mentre scendevano dall’astronave, era di una serenità pastorale.

Dolci colline verdi degradavano a perdita d’occhio fino all’orizzonte. Qua e là, il verde era punteggiato dalle tinte pastello di piccole abitazioni, che sembravano sorgere proprio dal suolo come gli alberi nani e fronzuti. Non c’era traccia di industria, né di sistemi di trasporto.

«Sembra un paese di fate» disse Dominici.

«O il Paradiso» disse Havig.

«È la fase post-tecnologica della civilizzazione, ne sono certo» disse Bernard. Si rendeva conto d’aver parlato in un mormorio sommesso, come se si trovasse in un museo o in un tempio.

Tutti e nove si tenevano raggruppati poco distanti dall’astronave, in attesa che qualche rosgollano si facesse vivo. L’aria era frizzante, con qualcosa di diverso da quella terrestre, ma faceva bene ai polmoni. Una brezzolina fresca soffiava dalle colline. Il sole era alto nel cielo, e sembrava più rosso, meno cocente di quello della Terra.

Quando cominciavano ormai a spazientirsi, apparve un rosgollano, materializzandosi all’improvviso dal nulla.

«Teletrasporto» mormorò Bernard. «Anche migliore del transmat, nessun bisogno di impianti meccanici.»

Era impossibile capire se il rosgollano fosse lo stesso già apparso a bordo della nave spaziale. Su per giù aveva le dimensioni dell’altro, ma i lineaménti e il corpo erano in parte nascosti dal chiarore luminoso che accompagnava quegli esseri dovunque si trovassero.

«Dobbiamo andare dagli altri» annunciò il rosgollano con la solita voce dolce, silenziosa.

Il bagliore dorato li investì tutti all’improvviso. Bernard provò una sensazione di calore penetrante, poi la luce svanì e l’astronave scomparve.

Erano all’interno di una di quelle case sconosciute. Il rosgollano disse: «Mettetevi a vostro agio. Sta per cominciare l’interrogatorio.»

«Interrogatorio?» disse Laurance. «Di che interrogatorio si tratta? Si può sapere che cosa avete intenzione di farci, sì o no?»

«Non ve ne verrà nessun danno, Comandante Laurance» rispose la voce suadente.

Bernard tirò la manica dell’ufficiale. «Meglio rilassarsi e prendere le cose come vengono» bisbigliò. «Non serve a niente discutere con questi esseri.»

Suo malgrado, Bernard sorrideva. Scattare in piedi con aria altera per dire a un rosgollano il fatto suo era un po’ come se un antico romano avesse voluto sfidare una bomba al cobalto gridandole: Civis romanus sum ! La bomba gli avrebbe prestato ben poca attenzione, e così, Bernard ne era certo, avrebbero fatto i Rosgollani. Tuttavia, aveva il convincimento incrollabile che quegli esseri di luce fossero del tutto incapaci a fare del male.

I Terrestri presero posto. Nella stanza non c’erano mobili, solo dei soffici cuscini rossi, su cui sedersi. Sebbene quei cuscini fossero comodissimi, e sembrassero invitare gli ospiti a distendersi comodamente, Bernard e gli altri si tenevano però rigidamente eretti.

In un attimo, il tempo di un batter d’occhi, altri tre Rosgollani apparvero nella stanza. Guardando dall’uno all’altro, Bernard non riusciva a notare alcuna differenza sensibile. Erano identici, proprio come se fossero stati stampati con la stessa matrice.

«Ora inizierà l’interrogatorio» si sentì dire in tutta tranquillità da uno di loro (o avevano parlato tutti insieme?).

«Non rispondete a niente!» scattò Laurance all’improvviso. «Non dobbiamo dare loro nessuna informazione vitale. Ricordatevi, siamo dei prigionieri, anche se per il momento ci trattano con riguardo!»

Nonostante lo scoppio d’ira di Laurance, l’interrogatorio ebbe inizio. Laurance non poté fare proprio niente per impedirlo. Nessuno dei quattro Rosgollani disse una parola, nemmeno in quella loro voce stranamente pensata, eppure, senza possibilità di dubbio, le informazioni venivano date. I Rosgollani stavano semplicemente estraendo dai cervelli ciò che volevano sapere, senza prendersi il disturbo di fare domande.

L’interrogatorio parve durare appena un istante, sebbene Bernard non ne fosse affatto sicuro: forse durò ore intere. Bernard non sapeva stabilirne la durata, però sentiva uscire da sé il flusso delle informazioni.

I quattro Rosgollani scoprirono ogni suo segreto o ricordo: la sua infanzia, il suo disastroso primo matrimonio, la sua carriera accademica, interessi vari, secondo matrimonio, secondo divorzio. Tutto questo gli estrassero dal cervello in un istante, lo esaminarono, lo scartarono trattandosi di faccende personali e quindi prive d’importanza.

Poi estrassero da un altro strato della sua memoria gli ordini del Tecnarca, il viaggio sulla colonia norglana, l’incontro fallito con i Norglani, l’avventuroso viaggio di ritorno.

Infine, l’interrogatorio finì. Le antenne di pensiero che i Rosgollani avevano inserito nel cervello dei Terrestri vennero ritirate di colpo. Bernard batté le palpebre, un po’ stordito dalla rapidità con cui era stato interrotto il contatto. Si sentiva esausto, vuoto, prosciugato mentalmente. Aveva l’impressione che il suo cervello fosse stato smontato, esaminato attentamente, e rimontato com’era prima.

E i Rosgollani ridevano.

Non c’era alcun suono nella stanza e, come sempre, le facce degli strani esseri erano velate dalla luce impenetrabile. Ma l’impressione di risa aleggiava nell’aria. Bernard sentì di arrossire, e non capiva perché. Non c’era niente nella sua mente di cui dovesse vergognarsi. Aveva vissuto la sua vita, si era dedicato a cose che gli piacevano, non aveva ingannato nessuno, non aveva fatto torto a nessuno, almeno intenzionalmente. Eppure, i Rosgollani ridevano a più non posso.

Ridono di me ? si chiese. O di qualcuno dei miei colleghi? Oppure di tutti, di tutta la razza umana in genere ?

Quella risata ultraterrena finalmente si calmò. I Rosgollani si fecero l’uno più accosto all’altro, i loro campi di luce parvero fondersi stranamente.

«State ridendo di noi!» disse Laurance in tono bellicoso. «Ridete pure esseri superiori della malora!»

Bernard lo tirò di nuovo per la manica. «Laurance…»

La risposta dei Rosgollani fu gentile, e forse leggermente mortificata. «Sì, ci siamo molto divertiti. Vi chiediamo scusa, Terrestri, ma ci siamo davvero divertiti!»

Bernard si rese conto all’improvviso che quei Rosgollani non erano poi gli esseri nobili e maturi che lui aveva creduto. Potevano ridere degli sforzi di una razza più giovane. Ed era una risata di compatimento, di sufficienza. Bernard si accigliò perplesso, tentando di far quadrare quella risata con lo schema-culturale che si stava costruendo sui Rosgollani. Gli angeli non si danno arie di sufficienza pensò. Eppure, fino a quel momento lui li aveva considerati quasi come nature angeliche, con queir alone di luce, quella serenità di contegno, quei poteri mentali apparentemente illimitati. Ma gli angeli non avrebbero riso in quel modo dei mortali.

«Vi lasceremo soli per un poco» dissero i Rosgollani. La luce svanì. I Terrestri si guardarono l’un l’altro sbalorditi.

«Dunque, questo significa essere interrogati, qui» disse Dominici. «Li sentivo benissimo ispezionare il mio cervello, e non potevo cacciarli fuori dalla mia testa. Che cosa orribile! Dita che tastano il cervello.» Rabbrividì al solo pensarci.

«E così, ora siamo come dei graziosi animaletti» disse amareggiato Laurance. «Immagino che i Rosgollani arriveranno da tutto il loro Universo per giocare con noi.»

«Perché poi lo fanno?» si chiese Hernandez. «Perché ci hanno trascinati quaggiù? Per giocare con noi?»

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