«No» replicò il rosgollano. «Vi osservavamo in distanza, mentre la vostra razza si sviluppava, ma non avevamo nessun desiderio di metterci in contatto con voi. Fino al momento in cui apprendemmo che una delle vostre astronavi si stava avvicinando alla nostra galassia. Dapprima, tememmo che foste venuti a cercarci, ma capimmo subito che vi eravate smarriti. Sono stato inviato per guidarvi verso la salvezza. Ci sono molte cose che dovete ascoltare, vedere, capire.»
«Dove… come…» chiese Stone.
«Basta così» ribatté il rosgollano. «La risposta l’avrete più tardi. Ogni cosa a suo tempo.»
La luce si spense.
Il rosgollano era scomparso.
Lo schermo indicava che il sole giallo copriva ormai un quarto dello spazio.
Nella cabina, i quattro uomini si guardarono confusi e allibiti.
Stone ritrovò la voce per primo. «L’abbiamo visto davvero?» chiese, sbarrando gli occhi.
«Sì, l’abbiamo visto» disse Havig. La sua faccia era ancora più lugubre del solito. «È apparso là in quell’angolo. Mandava uno strano chiarore. Ci ha rivolto la parola.»
Tutt’a un tratto, Bernard cominciò a ridere. Era una risata secca, rauca. Gli altri lo guardarono accigliati.
«Si diverte» disse Stone.
«Possiamo ridere anche noi?» chiese Dominici.
«È di noi stessi che bisogna ridere» disse Bernard. «Di tutti noi qui in questa cabina, e nell’impero terrestre. Di quel povero sciocco del Tecnarca McKenzie. Dei Norglani: verdi, azzurri, viola. Ricordate cosa ci dissero Skrinri e Vortakel? I termini del loro ultimatum?»
«Certo» disse Stone. Imitò il tono dei Norglani. « Tenetevi pure questi mondi. Tutti gli altri appartengono a Norgla. »
«Appunto» disse Bernard. «In uno slancio di cosmica superbia, noi siamo corsi attraverso lo spazio per preporre ai Norglani, con magnanimità tutta terrestre, la divisione in parti uguali dell’Universo. Con orgoglio ancora più grande, … e più stupido, loro ci hanno rispediti via con le pive nel sacco. Ma chi eravamo noi per dire: l’Universo è nostro? Insetti! Formiche! Esserini in lento sviluppo, senza nessuna importanza.»
«Ma siamo uomini» tuonò Havig con ostinazione.
Bernard si girò di scatto e affrontò il Neopuritano. «Uomini!» schernì. «Voi, che dite di conoscere le vie del Signore. Proprio voi, Havig. Che cosa sapete? Che gliene importa a Dio di voi, di tutti quanti siamo? Siamo una parte addirittura insignificante della sua creazione. Lui esiste, e ci considera solo come una delle tante forme di vita. Niente di più, niente di speciale. Siamo vermi in una pozzanghera, e siccome ci sentiamo signori e padroni della nostra particolare pozzanghera abbiamo creduto di potere affermare che possedevamo il cosmo!»
«Tacete un momento, Bernard» disse Dominici. «È il vostro turno, adesso, di dare segni di squilibrio? Si può sapere, una buona volta, che cosa state cercando di dirci?»
Con voce quieta Bernard disse: «Non sono ben sicuro di quello che voglio dire… almeno per ora. Ma credo di sapere quello che ci aspetta. Penso che verremo rimessi al posto che ci compete nell’Ordine delle cose. Non siamo i signori della creazione. Agii occhi di questa gente, siamo sì e no esseri civili! Avete sentito quello che ha detto il rosgollano? Erano come noi, alcune centinaia di migliaia di anni or sono! Sulla loro scala del tempo, noi siamo scesi dagli alberi un paio di minuti fa, e da due o tre secondi abbiamo imparato a leggere e a scrivere, e appena da una frazione di secondo abbiamo cominciato ad avere un minimo di controllo su quanto ci circonda.»
«D’accordo, d’accordo» disse Dominici. «Perciò, loro sarebbero molto avanti rispetto…»
«Molto?» Bernard scosse la testa. «La differenza è inconcepibile. Il baratro d’evoluzione tra… tra quell’essere e noi è talmente enorme che non possiamo nemmeno tentare di immaginarcelo. È sufficiente a demolire tutta la nostra arroganza. È divertente vero, scoprire di non essere affatto gli arbitri della situazione?»
«La Terra riceverà una bella sorpresa» disse tranquillamente Havig.
«Se mai torneremo a rivederla» disse Dominici.
«La Terra resterà sorpresa, e come!» riprese Bernard. «E questa sorpresa sarà sufficiente, almeno spero, a vanificare tutti i suoi piani di conquista e di egemonia. C’è andata bene per troppo tempo. Per troppo tempo abbiamo pensato di essere gli arbitri supremi di tutto ciò che cadeva sotto la nostra conoscenza… È stato già un bello schiaffo scoprire un’altra razza: i Norglani. Una razza che, come noi, pretende di dominare il nostro Universo. Ma adesso, imbatterci nei Rosgollani…»
«E chissà quali e quant’altre razze potrebbero esserci» disse Stone all’improvviso, con uno sguardo sgomento, quasi folle. «In Andromeda, per esempio, o nelle altre galassie. Creature ancora più evolute dei Rosgollani.»
Un’ipotesi allucinante.
Bernard guardò altrove, provando un senso di vertigine di fronte all’improvisa conferma dell’immensità dell’Universo. L’Uomo non era solo. Tutt’altro. Su altri pianeti, in altri Universi, a distanze incredibili, esseri più antichi osservavano e commentavano i primi passi tanto buffi quanto arroganti dell’Uomo nello spazio. Bernard sentiva gli occhi schizzargli dalle orbite. Aveva la gola secca, le labbra gonfie.
Vedeva ancora, con gli occhi della mente, quello spettrale bagliore dorato. Gli sembrava ancora di sentire quella voce calma, sicura. Ricordava ancora le parole infinitamente umilianti…
«Andiamo a prua» disse. «Dobbiamo informare Laurance.»
«Sì, certo» disse Stone.
Si recarono tutti a prua. Ma non c’era bisogno di informare il Comandante sulla presenza dello strano visitatore. L’equipaggio, tutto riunito nella cabina di comando, sembrava stravolto, sbigottito.
«L’avete visto anche voi?» chiese Dominici.
«Il rosgollano?» disse Laurance. «Sì. Certo, l’abbiamo visto anche noi.» La sua voce era incredibilmente atona, incolore.
Clive cominciò a ridere piano. La risata cominciò come un suono rauco che partiva dall’interno del petto, e saliva rapidamente fino ad assumere tutte le caratteristiche dell’attacco isterico. Per un attimo nessuno si mosse. Poi Bernard attraversò la cabina rapidamente, afferrò Clive per il colletto della camicia e lo schiaffeggiò tre volte, forte, senza intervallo.
«Basta! Smettetela, Clive!»
La risata si spense. Clive batté le palpebre, scosse la testa, si massaggiò la guancia rossa. Bernard fissava sorpreso la propria mano, le dita che ancora gli prudevano per la forza dei colpi. Si rendeva conto che per la prima volta in vita sua aveva colpito un suo simile. Però, era stato un intervento necessario; senza di quello, la risata convulsa di Clive avrebbe finito per contagiare tutti, e proprio in un momento in cui ciascuno di loro era pericolosamente in bilico sull’orlo della follia. Bernard s’inumidì le labbra.
«Dobbiamo assolutamente evitare che tutto questo ci faccia uscire di senno.»
«Perché mai?» chiese Laurance sempre con voce incolore. «È la fine, no? La fine di tutti i nostri bei discorsi. Dei nostri sogni imperiali. Ora sappiamo fino a che punto siamo insignificanti. Siamo solo mammiferi che vivono su un infimo pianeta di un piccolo sole giallo, in una piccola galassia laggiù, nell’angolo dello schermo. Può darsi che abbiamo occupato qualche altro pianetino, ma questo non significa certo che siamo i padroni dell’Universo. Vero?»
Bernard non rispose. Fissava lo schermo principale sul quadro di comando. Un pianeta appariva proprio al centro: bene a fuoco. La VUL-XV era entrata in orbita attorno a quel pianeta, in un’orbita decrescente.
«Stiamo per atterrare» chiese Bernard.
Il pianeta dei Rosgollani era completamente diverso da come Bernard se l’era immaginato. Secondo l’idea che si era fatto, la patria di una super-razza doveva essere una specie di super-Terra, con lucide torri a spirale che si levavano verso il cielo, giardini meticolosamente disposti per creare contrasto con la scena urbana, flessuosi ponti aerei posti ad altezze vertiginose per collegare gli edifici tra loro.
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