Le parole non scorrevano, i toni erano confusi. Si stava occupando del presunto assassinio del primo ministro croato, un incidente particolarmente sgradevole: una banda di radicali monadisti aveva rapito l’uomo una settimana prima, l’aveva trasportato in un laboratorio cerebrale illegale, che si riteneva situato nel Caucaso, e l’aveva sottoposto a una terapia di decostruzione personale intensiva, durata tre giorni, la quale aveva completamente obliterato la sua personalità. Il suo guscio senz’anima era stato trovato durante la notte a Istanbul, ed era adesso a Zagabria, dove un esercito di neurologi stavano tentando di richiamare in vita il suo io sradicato. Secondo un esperto inglese in tecniche decostruttive, non esisteva praticamente alcuna possibilità di successo. Se un’identità viene smontata nella maniera giusta, non esiste metodo conosciuto per rimetterla insieme. Tutti i cavalli e tutti gli uomini del re, eccetera. Una brutta faccenda.
Quando la notizia era arrivata sulle telescriventi, verso l’ora di pranzo, Macy si era istintivamente offerto come volontario per occuparsene. Sentiva di dover provare ai suoi colleghi che non aveva bisogno di essere protetto da riferimenti a demolizioni e ricostruzioni, lavori di ristrutturazione e argomenti affini. Ma portare a termine il servizio si stava rivelando un’impresa inaspettatamente difficile. C’erano complicati nomi croati che si rifiutavano di uscirgli dalla bocca nell’ordine giusto di sillabe. Inoltre, si accorse di essere più sensibile all’argomento di quanto avesse creduto; gli capitava di mettersi a sudare mentre leggeva il copione, di solito al punto dove doveva introdurre la dichiarazione del neurologo di Londra.
Prenditela canna, continuava a dirgli il direttore delle riprese. Stai andando troppo in fretta, Paul. Lascia che le parole scivolino da sole. Tutti erano tornati a essere molto gentili con lui. Un’intera squadra di registrazione immobilizzata per più di un’ora, mentre lui continuava a incespicare e arrancare attraverso un’infinità di prove sbagliate. Prenditela calma, prenditela calma.
Questa volta pensava di avercela fatta. Tutti i nomi polisillabici chiaramente registrati. La complicata spiegazione della politica balcanica superata senza calamità. Per la prima volta nel pomeriggio un unico nastro utilizzabile che copriva il 90 per cento del copione. E adesso per concludere in bellezza: — Questa mattina a Londra abbiamo parlato con il famoso esperto di cervello Varnum Skillings, il quale vdrkh cmpm gzpzp vdrkh…
— Stop!
— Shqkm. Vtpkp. Smss! Grgg!
Gente che correva verso di lui da tutte le parti dello studio. Il cranio in fiamme. Occhi annebbiati. Macy sapeva esattamente cosa era accaduto, e dopo il primo istintivo momento di terrore aveva cominciato a prendere contromisure. Esattamente come aveva fatto martedì, si sforzò di spezzare la presa mentale di Hamlin. C’era un fattore che complicava le cose, questa volta: il pubblico, i colleghi preoccupati che gli si assiepavano intorno, gli rivolgevano domande, gli allentavano il colletto, e in generale lo distraevano. E una sensazione di calamità lo assalì, rendendosi conto che aveva sofferto di quell’attacco davanti a tutti, si era rivelato definitivamente troppo ammalato per tenere il lavoro. Accantonando questi problemi, si dedicò totalmente ad Hamlin. Quel demonio aveva aspettato l’occasione adatta, raccogliendo le forze, attaccando nel momento in cui Macy era meno preparato. Ma malgrado tutto, Macy era più potente. Aveva il vantaggio di poter disporre del controllo del tronco neurale fondamentale del corpo. Vattene, bastardo! Via! Via! Molla!
Hamlin mollò. Sconfitto un’altra volta.
Riuscì di nuovo a vedere, e si trovò a guardare la faccia onice, agitata, di Loftus. Che gli chiedeva cosa era successo, se stava bene, se dovevano chiamare un dottore, un’ambulanza, qualcosa da bere, una oro.
— Sto bene — disse. Voce come rame corroso.
— Avevi una voce così strana, poco fa… e la faccia tutta contorta…
— Ho detto che sto bene. — Gli stava tornando il tono normale.
Nessuno deve sapere. Nessuno.
Il direttore di registrazione, Smith, Jones, un nome del genere, lo raggiunse. — Abbiamo un nastro quasi perfetto, Macy. Se vuoi riposare un po’, possiamo fare il finale più tardi… nessun problema a giuntarlo…
— Lo facciamo subito — disse Macy. Nessuno deve sapere.
I cameramen tornavano ai loro posti. Confusione disinnescata. Macy solo sotto i riflettori, ondeggiando un poco, frugò nella sua mente alla ricerca di Hamlin, non riuscì a trovarlo, decise che era riuscito davvero, ancora una volta, a bloccare un tentativo di conquista. Tuttavia, sarebbe stato in guardia. Se succedeva ancora, davanti alle telecamere, sarebbe stato nei guai. Non c’era posto in quella organizzazione per telecronisti che avevano degli attacchi nei momenti più imprevedibili.
— Via — disse Jones o Smith.
— Questa mattina a Londra abbiamo parlato con il famoso esperto di cervello Varnum Skillings, il quale ci ha fornito questo parere sulla situazione.
— Stop — disse Smith o Jones.
Macy sorrise. Era quasi libero di tornare a casa, ormai. Il direttore diede il segnale. Macy pronunciò l’ultima battuta. Fatta. Sospiri di sollievo. Gente che usciva. Mormoni bassi, tutti quanti senza dubbio che parlavano del suo raccapricciante attacco di parossismo.
Che parlassero pure. L’ho sconfitto un’altra volta, no? Perde sempre.
Per la prima volta Macy pensò che poteva essere quasi tollerabile avere Hamlin vivo dentro di lui. Hamlin era la sfida costante che lo definiva. Ogni uomo ha bisogno della sua nemesi. Lui solleva la testa e io lo bastono. La solleva ancora, lo bastono ancora, e così andiamo avanti insieme, felicemente. Lui mi dà spessore e profondità. Insieme a lui, sono un uomo con un tormento tutto suo; una tragica angst. Senza di lui sarei un’ombra. E così stiamo bene insieme. Fino al giorno in cui lo scambio di stoccate e parate si interrompe. Fino a quando non mi conquista. O io conquisto lui. Quando succederà, sarà con un colpo rapido e improvviso, trionfante, e uno di noi soccomberà. Lui? Io? Vedremo. Adesso a casa. È stata una giornata lunga e faticosa.
Lissa non era in casa. Ispezionò l’appartamento con grande cura, ripassando metodicamente da una stanza all’altra più volte, e tornando rapidamente indietro, come se lei potesse scivolare invisibile attraverso la porta davanti a lui; ma no: non era da nessuna parte. Controllò in bagno e negli armadi. Le sue cose erano appese ancora a casaccio fra quelle di lui. Non se n’era andata per sempre, dunque. Aveva lasciato un biglietto? No, niente. Forse era uscita a fare una passeggiata. O a comprare qualcosa per la cena. A quell’ora? Sapendo che lui tornava sempre a casa puntuale? Vagamente allarmato, frugò ancora una volta l’appartamento, cercando tracce di violenza. No. Un mistero, dunque.
Lei aveva la sua chiave, e Macy aveva riprogrammato la piastra della serratura in maniera che accettasse le sue impronte digitali; poteva andare e venire come preferiva. Ma avrebbe dovuto farsi trovare in casa al suo arrivo. Non riusciva a capire perché non ci fosse. Cosa fare adesso? Avvertire la polizia? Vedete, c’è questa ragazza che è venuta a stare da me da martedì scorso, e non l’ho trovata a casa quando sono tornato dal lavoro, e mi chiedevo se voi… No. Non andava. Chiedere ai vicini se l’avevano vista? No. Uscire e cercarla nei negozi del quartiere? No. Cercarla al suo vecchio appartamento? Forse. Non fare niente e aspettare che tornasse? Forse. Per il momento sì. Diamole un’ora, due ore. Ha i suoi momenti. Magari è andata a uno spettacolo. Sentendosi tesa, è uscita da sola. Strano che non abbia lasciato un biglietto, però.
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