Nella sala trova un distributore di droga e richiede la sua pillola, trasmettendo il suo coefficiente metabolico. La macchina esegue i calcoli necessari e consegna una dose per cinque ore, regolata in modo da fare effetto dodici minuti dopo essere stata inghiottita. La inghiotte ed entra nel pozzo di discesa.
500° piano.
Vicino quanto più gli è possibile alla metà dell’altezza dell’edificio. Un capriccio metafisico, ma perché no? Non ha perso la capacità di giocare. Noi artisti rimaniamo felici perché rimaniamo bambini. Undici minuti per raggiungere il suo piano. Percorre il corridoio, apre delle porte. Nella prima camera trova un uomo, una donna, un altro uomo. «Scusate,» dice. Nella seconda camera tre ragazze. Momentaneamente allettante, ma soltanto momentaneamente. In ogni modo, sembrano abbastanza occupate tra loro. «Scusate, scusate, scusate.» Nella terza camera una coppia di mezza età; gli rivolgono uno sguardo di speranza, ma egli si ritira.
Il quarto tentativo è fortunato. Una ragazza dai capelli scuri, un poco imbronciata. Ovviamente suo marito è fuori per la passeggiata notturna e nessuno è venuto da lei, un caso della statistica che la tormenta. Sulla ventina, pensa Dillon, con un bel naso affilato, seni eleganti, pelle olivastra. La carne sulle palpebre è gonfia, e la cosa può diventare tra dieci anni un difetto fisico, ma ora le dà uno sguardo appassionato, sensuale. È rimasta a rimuginare per ore, egli intuisce, perché il suo cattivo umore non svanisce finché egli non è realmente rimasto nella camera per quindici secondi, più o meno; si rende conto con lentezza che egli è venuto da lei per una passeggiata notturna. «Salve,» egli dice. «Sorridi? Non vuoi sorridere un poco?»
«Io ti conosco. Il gruppo cosmico?»
«Dillon Chrimes, sì. Il suonatore di vibrastar. Questa sera abbiamo suonato a Roma.»
«Suoni a Roma e passeggi a Bombay?»
«Che importa? Ho delle ragioni filosofiche. Trovarsi nel mezzo dell’edificio, sai? O nel punto più vicino alla metà che posso raggiungere. Non chiedermi di spiegarti.» Guarda attorno la camera. Sei bambini. Uno di essi, sveglio, ha almeno nove anni, una ragazzina magra con la pelle olivastra della madre. La madre non è giovane come sembra, allora. Almeno venticinque, forse. A Dillon non importa. Tra un momento brancolerà per tutto l’edificio, in ogni modo, tutte le età, i sessi, le forme. Dice: «Devo parlarti del mio viaggio. Ho ingerito una dose di multiplexer. Farà effetto tra sei minuti.»
Ella si porta la mano sulle labbra. «Non abbiamo molto tempo, allora. Dovresti essere dentro di me prima di andar su.»
«È in quel modo che agiscono?»
«Non lo sai?»
«Non ho mai fatto prima quella strada,» egli confessa. «Mai andato in giro con quello.»
«Neppur io. Non avrei pensato che qualcuno facesse realmente uso dei multiplexer, davvero. Ma ho sentito parlare di quello che si suppone si faccia in quel caso.» Mentre parla si spoglia. Seni pesanti, grandi cerchi scuri attorno ai capezzoli. Le gambe sono stranamente sottili; quando è in piedi la parte interna delle cosce è molto spaziosa. C’è una leggenda popolare sulle ragazze fatte in quel modo, ma Dillon non riesce a ricordarla. Lascia cadere gli abiti. La droga ha cominciato ad agire, parecchi minuti prima di quanto fosse scritto sulla scheda… le pareti mandano bagliori, le luci sembrano coperte di polvere. Strano. Oppure il fatto che egli fosse già per strada per via dello spettacolo non deve essere stato calcolato nel dosaggio richiesto. Il grado di metabolismo aumentato, o nient’altro che l’effetto del suono e della luce. Bene, niente di grave. Si muove verso la piattaforma-letto. «Come ti chiami?» chiede.
«Alma Clune.»
«Mi piace il suono del tuo nome. Alma.» Ella lo prende tra le braccia. Questa non sarà per lei una straordinaria esperienza erotica, egli teme. Quando il multiplexer avrà fatto effetto, dubita di poter concentrare la propria attenzione sulle necessità di lei, e in ogni caso il fattore tempo ha reso necessario omettere gli approcci. Ma sembra che ella capisca. Non rovinerà il suo viaggio. «Entra,» gli dice. «Va benissimo. Si inumidisce in fretta.» Penetra in lei. La lingua di lei contro la sua, le cosce vigorose di lei lo circondano. Egli copre il corpo della donna con il suo. «Sei già in viaggio?» ella chiede.
Egli rimane un momento silenzioso. Dentro e fuori, dentro e fuori. «Sento che comincia a fare effetto,» le dice. «È come avere due ragazze in una volta. Sto cogliendo degli echi.» Tensione. Egli non vuole rovinare ogni cosa venendo prima che l’effetto si faccia sentire. D’altra parte, se lei è un tipo che si soddisfa presto, avrebbe piacere di permetterle di avere uno spasmo o due; devono ancora trascorrere nove secondi prima che il multiplexer faccia effetto. Tutti questi calcoli lo raffreddano. E allora diventano inutili. «Sta accadendo,» sussurra. «Oh, dio, vado su!»
«Tranquillo,» dice Alma. «Non forzare ogni cosa. Adagio… Stai facendo bene. Vuoi che questo duri. Non preoccuparti per me. Va soltanto su.»
Dentro e fuori. Dentro e fuori. E ora comincia a sentire l’effetto multiplex della droga. Il suo spirito si sta espandendo fuori di lui. La droga lo rende psicosensitivo; abbatte le difese chimiche contro l’immissione telepatica diretta, in modo che egli può percepire la ricezione sensoria di coloro che gli stanno intorno. Si espande sempre più, un attimo dopo l’altro. Quando raggiungi la piena altezza, dicono, gli occhi e orecchie di tutti diventano tuoi; raccogli una infinità di risposte, sei in ogni luogo dell’edificio nello stesso momento. È vero? Altre menti stanno riversando nella sua le loro percezioni? Sembra che sia così. Vede l’ondeggiante mantello ardente della sua anima inghiottire e assorbire Alma, così che ora si trova contemporaneamente a faccia in su e a faccia in giù, e ogni volta che si spinge profondamente nella sua cavità bollente può anche sentire la spada spuntata scivolare dentro i suoi organi vitali.
Questo è soltanto l’inizio. Ora si sta estendendo sopra i piccoli di Alma. La ragazzina impubere di nove anni. Il lattante gorgogliante. È i sei bambini e la loro madre. Com’è facile questo! Egli è la famiglia della porta accanto. Otto bambini, madre, passeggiatore notturno proveniente dal 495° piano. Estende la sua sfera al piano superiore e al piano inferiore. E lungo i corridoi. Sotto l’effetto di sogno della droga multiplex sta prendendo possesso dell’intero edificio. Strati di immagini vaganti lo accolgono: 500 piani sopra il suo capo, 499 al di sotto, ed egli li vede tutti e 999 come una colonna dalle striature orizzontali, minuscole tacche contenute in una grande forma. Come formiche. Ed egli è tutte le formiche nello stesso tempo. Perché non l’hai mai fatto prima. Diventare un’intera monurb!
Ora deve raggiungere almeno venti piani in ogni direzione. E si sta ancora espandendo. I suoi tentacoli giungono dappertutto. È soltanto l’inizio. Sta mescolando la sua sostanza con la totalità dell’edificio.
Intanto Alma ondeggia sotto di lui. Il bacino si schiaccia contro il bacino; è confusamente consapevole della presenza di lei mentre la donna geme sommessamente il suo piacere. Ma soltanto un atomo di Dillon si occupa della donna. Il resto sta vagabondando per le sale della città che compongono Monade Urbana 116. Sta entrando in ogni camera. Parte di lui è a Boston, parte giù a Londra, tutta la sua persona a Roma come a Bombay. Centinaia di camere. Migliaia. Lo sciame di api bipedi. È in cinquanta bambini urlanti stipati in tre camere di Londra. È due barcollanti Bostoniani che iniziano la loro 5000° unione sessuale. È un passeggiatore notturno dal sangue bollente che vaga in circa di preda al 483° piano. È sei coppie che si scambiano in un dorm di Londra. Ora si trova in una sfera più ampia, e giunge in basso fino a San Francisco, in alto fino à Nairobi. Quanto più va lontano, tanto più facilmente afferra. L’alveare. L’imponente alveare. Abbraccia Tokyo. Abbraccia Chicago. Abbraccia Praga, Tocca Shanghai. Tocca Vienna. Tocca Varsavia. Tocca Toledo. Parigi! Reykjavik! Louisville! Louisville! Da cima a fondo, da cima a fondo! Ora è tutte le 881.000 persone di tutti i mille piani. La sua anima raggiunge la sua maggiore estensione. Il suo cranio si spezza. Le immagini vanno e vengono attraverso lo schermo della sua mente, pellicole vaganti della realtà, fili oleosi di fumo che portano volti, occhi, dita, genitali, sorrisi, lingue, gomiti, profili, suoni, strutture. Dolcemente si intersecano, si stringono e si separano. È in ogni luogo e ognuno nello stesso tempo. Dio benedica! Per la prima volta capisce la natura di quel delicato organismo che è la società; vede i controlli e gli equilibri, le tranquille intese di compromesso che impastano tutto insieme. Ed è straordinariamente bello. Accordare questa vasta città composta di molte città è come accordare il gruppo cosmos: ogni cosa deve essere in relazione, ogni cosa deve appartenere a qualche altra cosa. Il poeta di San Francisco è parte del montatore grubbo di Reykjavik. Il piccolo arrogante ambizioso di Shanghai è parte del pacifico sconfitto di Roma. Quanto di questo, si chiede Dillon, rimarrà con lui quando scenderà giù? Il suo spirito turbina. Scava nello stesso tempo in migliaia di anime.
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