«Dio benedica, che cosa vuoi dire con questo?»
«Vedo in questo fatto un significato simbolico.»
«Una simbolica cosa spregevole. Siegmund è nell’amministrazione urbana; sale dove si trovano gli amministratori. Io sono nella storia; scendo dove si trova la storia. Così?»
«Non ti piacerebbe vivere un giorno a Louisville?»
«No.»
«Perché non hai nessuna ambizione?»
«La tua vita qui è così miserabile?» egli chiede, contenendosi.
«Perché Siegmund è divenuto una persona così importante all’età di quattordici o quindici anni, mentre tu ne hai ventisei, e sei ancora soltanto un impiegato qualsiasi?»
«Siegmund è ambizioso,» risponde Jason equamente, «e io sono semplicemente un impiegato che lavora a tempo. Non lo nego. Forse è un fatto costituzionale. Siegmund si sforza e fa progressi. La maggior parte degli uomini no. Sforzarsi è primitivo. Dio benedica, che cosa c’è di sbagliato nella mia carriera? Che cosa c’è di sbagliato a vivere a Shanghai?»
«Un piano più in basso e vivremmo a…»
«…Chicago,» egli dice. «Lo so. Ma non ci viviamo. E ora posso andare in ufficio?»
Se ne va. Si chiede se non dovrebbe mandare Micaela all’ufficio del consolatore per un suo riadattamento alla realtà. Il suo limite di accettazione dell’opposizione si è abbassato ultimamente in modo allarmante; i limiti delle sue speranze si sono alzati in modo davvero inquietante. Jason è ben consapevole che cose simili dovrebbero venire affrontate subito, prima che diventino incontrollabili e conducano al comportamento asociale e allo scarico. Probabilmente Micaela ha bisogno dei servizi degli ingegneri sociali. Ma scarta l’idea di chiamare il consolatore. Non gli piace l’idea che qualcuno si intrufoli nella mente di sua moglie, si dice virtuosamente; e una voce interna che lo schernisce gli dice che non intraprende alcuna azione perché desidera che Micaela diventi tanto asociale da dover essere gettata nello scarico.
Entra nel condotto di discesa e programma per il 185° piano. Scende a Pittsburgh. Sprofonda, per inerzia, attraverso le città che compongono Monurb 116. Scendendo attraversa Chicago, attraversa Edimburgo, attraversa Nairobi, attraversa Colombo.
Mentre scende, sente attorno la confortevole solidità dell’edificio. La monurb è il suo mondo. Non è mai uscito. Perché dovrebbe uscirne? I suoi amici, la sua famiglia, la sua vita intera sono qui. La sua monurb è adeguatamente fornita di teatri, di campi sportivi, di scuole, di ospedali, di luoghi di culto. Il suo terminal gli dà accesso ad ogni opera d’arte che sia considerata degna di benedizione per il consumo umano. Nessuno che egli conosca ha mai lasciato l’edificio, eccetto le persone che furono scelte a sorte perché andassero a stabilirsi nella nuova Monurb 158 aperta di recente pochi mesi prima ed essi, certamente, non torneranno mai indietro. Corre voce che talvolta gli amministratori urbani si rechino da edificio a edificio per affari, ma Jason non è sicuro che la diceria sia vera e non vede perché un viaggio simile sarebbe necessario o desiderabile. Non ci sono sistemi di comunicazione capaci di trasmettere tutti i dati rilevanti che collegano le monurb?
È uno splendido sistema. Come storico, che ha il privilegio di esplorare i documenti del mondo pre-monurb, conosce perfettamente, meglio della maggior parte della gente, quanto sia splendido. Si rende conto del caos spaventevole del passato. Le libertà terrificanti; l’odiosa necessità di fare delle scelte. L’insicurezza. La confusione. La mancanza di un piano. L’asistematicità del contesto.
Raggiunge il 185° piano. Percorre la strada che per gli addormentati corridoi di Pittsburgh lo porta al suo ufficio. Una camera modesta, ma le è affezionato. Pareti scintillanti. Un affresco sul suo scrittoio. I terminal e gli schermi necessari.
Cinque piccoli cubi splendenti sono posati sulla scrivania. Dentro ciascuno di essi si trova il contenuto di parecchie librerie. Da due anni lavora con questi cubi. Il suo argomento è La Monade Urbana come Evoluzione Sociale: Parametri dello Spirito Definiti dalla Struttura Comunitaria. Sta tentando di dimostrare che la transizione a una società di monurb ha condotto a una fondamentale trasformazione dell’anima umana. Dell’anima dell’uomo dell’Occidente, in ogni modo. Una orientalizzazione degli Occidentali, un popolo precedentemente aggressivo che accetta ora il giogo di nuove condizioni ambientali. Un modo di rispondere agli eventi più flessibile, più acquiescente, un rifiuto della vecchia filosofia espansionista-individualista come segnata dalla ambizione territoriale, la mentalità del conquistador e la linea di condotta del pioniere, verso un genere di espansione della comunità imperniato sull’accrescimento ordinato e illimitato della razza umana. In modo preciso, una evoluzione psichica di qualche genere, un cambiamento verso una accettazione della vita dell’alveare. I malcontenti allontanati dal sistema generazioni prima. Noi che non siamo precipitati nello scarico accettiamo le inesorabilità. Sì. Sì. Jason crede di avere trattato un argomento significativo. Quando glielo annunciò, Micaela disprezzò l’argomento. «Vuoi dire che stai per scrivere un libro per dimostrare che la gente che vive in città diverse è diversa? Che la gente delle monurb ha un atteggiamento diverso da quello dei popoli della giungla? Potrei provare la tua tesi in sei frasi.» E neppure ci fu molto entusiasmo per l’argomento quando egli lo propose a una riunione del personale, sebbene si desse da fare per renderlo chiaro. Finora la sua tecnica è stata quella di immergersi nelle immagini del passato, di diventare, fin dove era possibile, un cittadino della società pre-monurb. Spera che questo gli darà il parallasse essenziale, la prospettiva sulla sua società di cui avrà bisogno quando comincerà a scrivere il suo studio. Pensa di cominciare a scrivere tra altri due o tre anni.
Consulta un appunto, sceglie un cubo, lo inserisce nella fessura del playback. Lo schermo si illumina.
Una specie di estasi si impadronisce di lui non appena le scene del mondo antico si materializzano. Si sporge verso il suo microfono automatico e incomincia a dettare. Freneticamente, follemente, impaziente Jason Quevedo prende note nel modo solito.
Case e strade. Un mondo orizzontale. La famiglia singola protegge i singoli: questa è la mia casa, questo è il mio castello. Fantastico! Tre persone, che occupano forse un migliaio di metri quadrati di superficie. Strade. Difficile per noi comprendere il concetto di strada. Come un corridoio che si stende indefinitamente. Veicoli privati. Dove stanno andando tutti? Perché così in fretta? Perché non restano a casa? Scontro! Sangue. La testa passa attraverso il vetro. Un nuovo scontro. Un tamponamento. Combustibile fluido e scuro scorre nella strada. Mezzogiorno, primavera, città importante. Scena della strada. Quale città? Chicago, New York, Istanbul, Cairo. Gente che passeggia ALL’APERTO. Strade lastricate. Questa per i pedoni, questa per gli automobilisti. Sporcizia. Lettura dei dati che si riferiscono a un settore: 10.000 pedoni in questo solo settore, in una striscia di otto metri per ottanta. È giusta questa cifra? Verificare. Gomito a gomito. E pensavamo che il nostro mondo fosse sovraffollato? Almeno noi non ci urtiamo l’un l’altro in quel modo. Sappiamo come mantenere le distanze all’interno della struttura globale della vita della monade. I veicoli si muovono nel mezzo della strada. Il buon vecchio caos. Attività principale: acquisto di beni. Consumo privato. Il cubo 11Ab8 mostra il vettore interno di un negozio. Scambio di denaro per merce. Non c’è molta differenza eccetto nella natura casuale della transazione. Hanno bisogno di quello che comperano? Dove METTONO tutto quello che comperano?
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