Kate Wilhelm - Gli eredi della Terra

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Gli eredi della Terra Vinto il premio Hugo per miglior romanzo in 1977.
Nominato per il premio Nebula per miglior romanzo in 1977.

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David annuì.

— E la scuola serale della Bibbia, al mercoledì? Ora continuo sempre a pensarci. E mi chiedo se dopotutto questo non sia opera di Dio. Non posso farne a meno. Continuo a chiedermelo… io, che ero diventata atea. — Scoppiò in una risata nervosa e si girò di scatto. — Andiamo a letto, qui, subito. Scegliamoci una stanza di lusso, qui all'ospedale…

David protese le braccia verso di lei, ma all'improvviso una violenta raffica di vento spinse uno scroscio di pioggia contro la finestra. Senza alcun preavviso, fu un vero e proprio diluvio. Celia rabbrividì. — La volontà di Dio — disse, scoraggiata. — Dobbiamo tornare alla caverna, non è vero?

Una stanza dopo l'altra, attraversarono l'ospedale vuoto, entrarono nel lungo corridoio fiocamente illuminato, poi nella grande sala sotterranea dove la gente cercava una posizione passabilmente comoda sulle brande e sulle panche, e infine, attraverso il corridoio più stretto raggiunsero la zona degli uffici.

— Quanta gente abbiamo ucciso? — chiese Celia, sgusciando fuori dai jeans. Gli voltò la schiena per sistemare gli indumenti ai piedi della branda. Le sue natiche erano piatte come quelle di un adolescente. Quando tornò a voltarsi verso di lui, le sue costole sembrarono lottare per perforare la pelle e uscir fuori. Lei lo guardò un momento, poi venne verso di lui, gli afferrò la testa e se la premette con forza sul petto: lui era seduto sulla branda, e lei in piedi, nuda davanti a lui. David sentì le lacrime di lei che le scivolarono fin sulle guance.

Per tutto novembre il gelo imperversò, implacabile; con buona parte della valle allagata, le strade sommerse e i ponti distrutti, seppero di essere al sicuro da altri attacchi per lo meno fino alla primavera. La gente era nuovamente uscita dalle caverne e il lavoro nei laboratori continuava con lo stesso ritmo frenetico. I feti crescevano, si sviluppavano, agitandosi, adesso, con improvvisi movimenti dei piedi e dei gomiti. David stava lavorando alla ricerca di sostituti per i componenti dei liquidi amniotici che si stavano esaurendo. Lavorava ogni giorno, senza fermarsi mai, fino a quando la vista non gli si appannava, oppure le mani si rifiutavano di obbedire ai suoi ordini, oppure fino a quando Walt non gli ordinava di lasciare il laboratorio. Ora anche Celia riusciva a lavorare più a lungo, sia pure inframmezzando un lungo riposo in mezzo alla giornata. Poi, però, tornava in laboratorio e vi rimaneva fino a tardi, quasi quanto David.

Egli le passò accanto; Celia era seduta al banco di lavoro, e lui le diede un bacio sulla testa. Lei alzò gli occhi per guardarlo e gli sorrise; poi s'immerse nuovamente nei suoi calcoli. Peter mise in moto una centrifuga. Vlasic compì un'ultima regolazione del distributore di soluzioni nutrienti all'estremità opposta della fila, soluzioni che avrebbero dovuto essere diluite prima di venir somministrate agli embrioni, poi chiamò: — Celia, sei pronta a contare le cellule fecondate?

— Un secondo — disse lei. Prese un ultimo appunto, mise giù la penna sul quaderno aperto, e si alzò in piedi. David era fin troppo conscio della presenza di lei, come lo era sempre, anche quando sembrava totalmente assorto nel suo lavoro. Fu conscio che lei si era alzata in piedi, ma soltanto per immobilizzarsi accanto alla sedia. Quando balbettò, con voce che tradiva l'incredulità: — David… David… — egli si stava a sua volta precipitosamente alzando. Fece appena in tempo ad afferrarla mentre crollava al suolo.

Gli occhi di Celia erano aperti, la sua espressione interrogativa, e gli chiedeva tacitamente, qualcosa che lui non poteva risponderle… e lei lo sapeva. Un tremito la percorse tutta e chiuse gli occhi, e anche se le palpebre le fremettero ancora una, due volte, non li riaprì più.

CAPITOLO SESTO

Walt squadrò David e strinse le spalle. — Sembri uscito dall'inferno — gli disse.

David non rispose. Sapeva che il suo aspetto era di qualcuno uscito dall'inferno. Si sentiva, infatti, come se vi fosse stato a lungo. Fissò Walt come da una grande distanza.

— David, hai intenzione di riprenderti? Oppure ti arrendi? — Non attese una risposta. Si sedette sull'unica sedia della stanzetta e si sporse in avanti, stringendosi il mento fra le mani e fissando il pavimento. — Dobbiamo dirglielo. Sarah pensa che ci saranno guai. E anch'io.

David sostava immobile accanto alla finestra, contemplando il desolato paesaggio, una continua sfumatura di grigi, neri grigiastri, i colori del fango. Pioveva, ma questa era una pioggia «pulita». Il fiume era un grigio mostro turbinante che lui distingueva da lassù come uno smorto riflesso del cielo smorto.

— Potrebbero tentare un attacco in massa al laboratorio — proseguì Walt. — Dio solo sa che cosa potrebbero decidere di fare.

David, sempre immobile, non fece commenti e continuò a fissare il cielo fosco.

— Ma porco mondo! Girati e ascoltami, pezzo di somaro! Credi che io abbia intenzione di lasciare che tutto questo lavoro, tutto questo sforzo organizzativo, se ne vada in malora per l'emozione viscerale di un gruppo d'irresponsabili? Credi che non sia pronto a uccidere chiunque adesso cerchi d'impedirmi di andare avanti? — Walt era balzato in piedi, incapace di dominare la collera, e, afferrato David, l'obbligò a voltarsi, gridandogli in faccia: — Credi che io sia disposto a lasciarti seduto quassù a morire? Non oggi, David. Non ancora. Ciò che deciderai di fare la prossima settimana non m'importa un fico secco, ma oggi ho bisogno di te e, per Dio, tu sarai con me!

— Non m'importa niente — disse David, impassibile.

— Te ne importerà! Perché da quei sacchi dovranno saltar fuori dei bambini, e questi bambini sono la nostra unica speranza, e tu lo sai. I nostri geni, i tuoi, i miei, e quelli di Celia, anche, sono l'unica cosa che c'impedisce, oggi, di precipitare per sempre nell'oblio. E io non lo permetterò, David! Rifiuto di permetterlo!

David sentiva soltanto una profonda stanchezza. — Siamo tutti morti, oggi o domani, che importa? Perché prolungare le cose? Il prezzo è troppo alto per aggiungere un anno, due al massimo, alla nostra sopravvivenza.

— Nessun prezzo è troppo alto!

Lentamente gli occhi di David misero a fuoco il volto di Walt. Questi era pallidissimo, le labbra smorte, gli occhi infossati. Un tic che David non gli aveva mai visto prima gli contorceva una guancia. — Perché proprio adesso? — chiese David. — Perché cambiare i piani e dirglielo adesso? Con tanto anticipo?

— Perché l'anticipo non è poi tanto. — Walt si sfregò con forza gli occhi. — Qualcosa non va, David. Non so che cosa sia. Qualcosa non funziona. Credo che ci troveremo stracarichi di prematuri.

Suo malgrado, David fece un rapido calcolo: — Sono ventisei settimane — disse infine. — Non possiamo far fronte a tanti bambini prematuri.

— Lo so. — Walt tornò a sedersi; questa volta piegò all'indietro la testa e chiuse gli occhi. — Non abbiamo molta scelta — aggiunse. — Ne abbiamo perduto uno ieri. E oggi, tre. Dobbiamo tirarli fuori e trattarli come prematuri.

Lentamente David annuì. — Quali? — chiese; ma già lo sapeva. Walt gli disse i nomi, ed egli tornò ad annuire. Sapeva già che fra essi non vi era il suo, né quello di Walt, né quello di Celia. — Dunque, qual è il programma? — gli chiese, sedendosi sull'orlo del suo letto.

— Ora devo assolutamente dormire — dichiarò Walt. — Poi, alle sette, vi sarà un incontro, e quindi prepareremo le stanze dei bambini per un bel po' di prematuri. Non appena tutto questo sarà pronto, cominceremo a tirarli fuori. Sarà mattina, ormai. Ci occorreranno infermiere, una mezza dozzina almeno, e di più, se riusciremo a ottenerle. Sarah dice che Margaret andrebbe bene. Non so.

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