Ma era necessario lì, e lì doveva essere fatto. Forse c’era bisogno dei meccanici delle matrici più al di fuori delle Torri che dentro… Damon comprese dove lo stavano portando quei pensieri sconnessi, e rabbrividì di fronte alla bestemmia. Le Torri — Arilinn, Hali, Neskaya, Dalereuth, e le altre sparse nei dominii — rappresentavano la strada che aveva reso sicure le antiche scienze delle matrici di Darkover dopo i terribili abusi delle epoche del caos. Sotto la supervisione delle Custodi (vincolate dal giuramento, recluse, vergini, spassionate, escluse dalle tensioni politiche e personali dei Comyn), ogni operatore delle matrici veniva istruito scrupolosamente e messo alla prova per accertarne l’affidabilità, ogni matrice veniva sorvegliata e protetta contro gli abusi.
E quando una matrice veniva usata illegalmente, fuori dalle Torri e senza autorizzazione, accadevano cose tremende, come quando il Grande Felino aveva gettato sulle Colline di Kilghard tenebra, follia, distruzione e morte…
Damon sfiorò con le dita la sua matrice. Se ne era servito, fuori dalle Torri, per annientare il Grande Felino e purificare le Colline del terrore. Quello non era stato un abuso. E anche le guarigioni che si accingeva a operare non erano un abuso: erano lecite, approvate. Lui era un operatore specializzato delle matrici, eppure si sentiva irrequieto, a disagio.
Finalmente tutti gli uomini, gravi e meno gravi, erano stati medicati, fasciati, nutriti e messi a letto. A quelli peggio ridotti erano state somministrate le pozioni analgesiche di Ferrika; e la levatrice, insieme ad alcune delle sue donne, era rimasta a vegliarli. Ma Damon sapeva che, sebbene molti sarebbero guariti senza altre cure che una buona assistenza e unguenti medicamentosi, ce n’erano alcuni per i quali le cose sarebbero andate diversamente.
Su Armida, a mezzogiorno, era sceso il silenzio. Ferrika vegliava gli infortunati; Ellemir venne a giocare a carte col padre, e su richiesta di lui Callista portò la sua arpa, se l’appoggiò sulle ginocchia e cominciò ad accordarla. Damon, osservandola attentamente, vide che, sebbene apparisse calma, aveva ancora gli occhi rossi, e le dita erano meno sicure del solito mentre traevano i primi accordi.
Quale suono ha percosso la brughiera?
Ascolta, oh, ascolta!
Quale suono è echeggiato qui nel buio?
È stato il vento a scuotere la porta:
figlio, non temere.
Era lo scalpitare di un cavallo?
Ascolta, oh, ascolta!
Un cavaliere si sta avvicinando?
Erano solo i rami contro il tetto:
figlio, non temere.
C’era un volto, là oltre la finestra?
Ascolta, oh, ascolta!
Una strana faccia scura…
Damon si alzò in silenzio, e accennò a Dezi di seguirlo. Quando furono soli nel corridoio, disse: — Dezi, so bene che nessuno chiede mai a un altro perché ha lasciato una Torre; ma ti dispiacerebbe dirmi, in assoluta confidenza, perché te ne sei andato da Arilinn?
Dezi s’incupì. — No, non te lo dirò. Perché dovrei?
— Perché ho bisogno del tuo aiuto. Hai visto in che condizioni erano quegli uomini, e sai che se li cureremo soltanto con acqua calda e unguenti d’erbe almeno quattro di loro non potranno più camminare, e almeno Raimon, di sicuro, morirà. Quindi sai quello che dovrò fare.
Dezi annuì, e Damon proseguì: — Sai che avrò bisogno di qualcuno che provveda a controllare per me. E se sei stato allontanato dalla Torre per incapacità, sai che non potrei servirmi di te.
Ci fu un lungo silenzio. Dezi fissava il pavimento color ardesia, e dalla Grande Sala venivano il suono dell’arpa e il canto di Callista:
Perché mio padre giace così a terra?
Ascolta, oh, ascolta!
Colpito a morte da lancia nemica…
— Non è stato per incapacità — disse infine Dezi. — Non so bene perché abbiano deciso di allontanarmi. — Sembrava sincero: e Damon, che era un telepate abbastanza forte da comprendere se qualcuno gli mentiva, decise che probabilmente gli diceva la verità. — Posso pensare soltanto che non avessero simpatia per me. O forse… — Il ragazzo alzò gli occhi, con un iroso balenio d’acciaio. — Forse sapevano che non ero neppure un nedestro , che ero indegno della loro preziosa Arilinn, dove il sangue e la discendenza contano più di qualunque altra cosa.
Damon pensò che non era così: le Torri non si basavano su quelle regole. Ma non ne era del tutto sicuro. Arilinn non era la Torre più antica, ma era la più orgogliosa: vantava più di novecento generazioni di puro sangue dei Comyn, e affermava che la sua prima Custode era stata figlia dello stesso Hastur. Damon non lo credeva, perché ben poche notizie storiche erano sopravvissute alle epoche del caos.
— Ma andiamo, Dezi: se hai potuto passare attraverso il Velo avranno capito che eri un Comyn, o di sangue Comyn, e non credo che ci avranno fatto molto caso. — Ma sapeva che qualunque cosa avesse detto non sarebbe riuscita a vincere la vanità ferita del ragazzo. E la vanità era un difetto pericoloso, per un meccanico delle matrici.
I cerchi delle Torri dipendevano molto dal carattere della Custode. Leonie era una donna orgogliosa. Lo era già quando l’aveva conosciuta Damon, con tutta l’arroganza degli Hastur; e non era cambiata con gli anni. Forse, personalmente, non sopportava l’irregolarità della discendenza di Dezi. O forse aveva ragione il ragazzo, e semplicemente non avevano simpatia per lui… Comunque, lì non faceva nessuna differenza. Damon non aveva scelta. Andrew era un telepate potente, ma sostanzialmente impreparato. Dezi, se aveva potuto restare per metà anno in una Torre, doveva aver ricevuto un’istruzione meticolosa nella meccanica elementare dell’arte.
— Sei capace di controllare?
Dezi rispose: — Mettimi alla prova.
Damon scrollò le spalle. — Proviamo, allora.
Nella sala, la voce di Callista si alzò, lamentosamente:
Cos’era il grido che ha squarciato l’aria?
Ascolta, oh, ascolta!
Quale tremendo grido disperato,
il pianto di una vedova e di un orfano…
— Per gli inferni di Zandru! — esclamò Dom Esteban, a voce spiegata. — Perché una canzone tanto lugubre, Callista? Pianti e lutti, morte e disperazione. Non siamo a un funerale! Canta qualcosa di più allegro, ragazza mia!
Ci fu un breve suono aspro, come se le mani di Callista avessero tratto dall’arpa una dissonanza. Poi lei disse, con voce tremula: — Temo di non essere dell’umore adatto per cantare, padre. Ti prego di volermi scusare.
Damon sentì il tocco sulla propria mente, rapido ed esperto, schermato così perfettamente che se non fosse stato intento a fissare Dezi non avrebbe capito chi l’aveva sfiorato. Sentì quel sondaggio lieve e profondo, poi Dezi disse: — Hai un molare storto. Ti dà fastidio?
— No, solo da bambino — rispose Damon. — Più a fondo?
Il volto di Dezi divenne inespressivo, gli occhi si fecero vitrei. Dopo un momento, disse: — La tua caviglia… la caviglia sinistra, si è fratturata in due punti quando eri molto giovane. Deve aver impiegato molto tempo, a guarire: ci sono cicatrici nei punti in cui dei frammenti di osso devono essere fuoriusciti. C’è un’incrinatura nella terza… no, nella quarta costola a partire dallo sterno. Tu pensavi che fosse solo un’ammaccatura e non l’hai detto a Ferrika, quando sei tornato dalla guerra contro gli uomini-felini, la stagione scorsa: ma si era incrinata. C’è una piccola cicatrice (verticale, lunga una decina di centimetri) lungo il polpaccio. È stata causata da un’arma tagliente, ma non so se da una spada o da un coltello. Stanotte hai sognato…
Damon annuì, ridendo. — Basta così — disse. — Sei capace di controllare. — In nome di Aldones, perché avevano lasciato che Dezi se ne andasse? Era un telepate eccezionale. Dopo tre anni di preparazione ad Arilinn, sarebbe stato all’altezza dei migliori specialisti dei domimi! Dezi captò quel pensiero e sorrise, e ancora una volta Damon provò un momento d’inquietudine. Non era stato per mancanza di competenza o di sicurezza. Era stata la sua vanità, allora?
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