Marion Bradley - La torre proibita

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Darkover è un pianeta gelido e ostile, illuminato da un fioco sole rosso-sangue, su cui hanno fatto naufragio, agli inizi del volo interstellare, alcuni coloni terrestri. Col passare degli anni gli abitanti di Darkover hanno imparato a usare le “pietre matrici” per sviluppare i loro poteri psi, e sul pianeta si è formata una cultura di tipo feudale basata sull’uso delle matrici. Queste pietre, tenute in torri austere e isolate, sono oggetto di un rituale mistico: solo le Custodi, donne che hanno fatto voto di castità, hanno il diritto di adoperarle. Contrapposta alla cultura dei “clan” di Darkover, si trova la civiltà dei terrestri, i quali, dopo vari millenni, hanno riscoperto il pianeta, e vorrebbero portare ai suoi abitanti risorse tecnologiche e armi più moderne. Ma i fanatici guardiani che proteggono la verginità delle Custodi vigilano affinché il pianeta del sole rosso non cada sotto l’influenza dei materialistici terrestri.
La torre proibita è la storia di due uomini e due donne che hanno osato sfidare il potere dei guardiani e la tradizione delle Torri.
Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 1978.

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— Ce n’è un po’ nella distilleria, nobile Damon: lo chiederò a dama Callista.

— Ungi loro i piedi con quello, e poi fasciali. Tienili al caldo, e dagli minestra calda e tè a volontà, ma niente bevande alcoliche di nessun genere.

Andrew l’interruppe. — E appena qualcuno dei nostri potrà uscire, dovremo mandare ad avvertire le loro donne che sono sani e salvi.

Damon annuì, rendendosi conto che quella era la prima cosa che avrebbero dovuto ricordare. — Ci pensi tu, fratello, ti dispiace? Io devo curare questi poveretti. — Mentre Rhodri e gli altri servitori conducevano gli uomini meno gravi nella sala bassa, si rivolse a quelli che erano rimasti, e che avevano le mani e i piedi congelati.

— Cos’hai fatto per loro, Ferrika?

— Ancora niente, nobile Damon: aspettavo il tuo consiglio. Non ho mai visto una cosa simile, in tanti anni.

Damon annuì, incupendosi. Una gelata come quella, quando lui era un bambino e abitava presso Corresanti, aveva fatto perdere agli uomini del villaggio le dita dei piedi e delle mani, a causa del congelamento. Altri erano morti d’infezioni o di cancrena. — Tu cosa faresti?

Ferrika rispose, esitante: — Non è la cura abituale, ma io immergerei i loro piedi nell’acqua, appena un po’ più calda della temperatura del sangue. Ho già proibito agli uomini di massaggiarsi i piedi, per paura che si stacchi la pelle. Il congelamento è profondo. Saranno fortunati se non perderanno altro che quella. — Un po’ incoraggiata nel vedere che Damon non protestava, aggiunse: — E farei impacchi caldi in tutto il corpo per riattivare la circolazione.

Damon annuì: — Dove l’hai imparato? Temevo di doverti proibire di ricorrere ai vecchi rimedi popolari, che fanno più male che bene. Questa è la cura usata a Nevarsin, e ho dovuto insistere e lottare per farla adottare per le Guardie, a Thendara.

La donna rispose: — Sono stata istruita nella Casa della Corporazione delle Amazzoni ad Arilinn, nobile Damon: là preparano le levatrici per tutti i dominii, e sono esperte di cure e ferite.

Dom Esteban aggrottò la fronte. — Stupidaggini femminili! Quando ero ragazzo c’insegnavano che non bisogna scaldare un arto congelato ma massaggiarlo con la neve.

— Sì — fece l’uomo dai piedi gonfi. — Ho detto a Narron di massaggiarmi i piedi con la neve. Quando a mio nonno si erano congelati i piedi, sotto il regno di Marius Hastur…

— L’ho conosciuto, tuo nonno — l’interruppe Damon. — Ha camminato con due bastoni per tutto il resto della vita, e mi sembra che il tuo amico abbia cercato di assicurarti la stessa sorte, ragazzo mio. Fidati di me, e farò di meglio. — Si rivolse a Ferrika e disse: — Prova con gli impacchi, non solo con l’acqua calda: fogliaspina nera, molto forte. Attirerà il sangue negli arti e poi al cuore. E dagliene anche un po’ nel tè, per attivare la circolazione. — Si girò di nuovo verso l’uomo e gli disse, in tono incoraggiante: — Questa cura viene usata a Nevarsin, dove il tempo è peggiore che qui, e i monaci dicono di aver salvato uomini che altrimenti sarebbero rimasti zoppi per tutta la vita.

Tu non puoi aiutarci, nobile Damon? — implorò Raimon; e Damon, guardandogli i piedi bluastri, scosse il capo. — Non lo so, ragazzo, davvero. Farò tutto il possibile, ma è la cosa peggiore che abbia mai visto. È doloroso, ma…

— Doloroso! — Gli occhi dell’uomo si accesero di sofferenza e di furia. — Non sai dire altro, vai dom ? Non significa nient’altro, per te? Non sai cosa significa per noi, soprattutto quest’anno? Non c’è una casa, a Adereis o Corresanti, che non abbia perso un uomo o anche due o tre per colpa di quei maledetti uomini-felini, e l’anno scorso il grano è rimasto a marcire nei campi senza che nessuno lo raccogliesse, e tra queste colline si è già alla fame! E adesso più di una decina di uomini robusti resteranno immobilizzati, sicuramente per mesi, e forse non potranno più camminare, e tu sai dire solo «È doloroso». — Rabbiosamente, nel pesante dialetto, imitò la voce di Damon.

— È tutto a posto per quelli come te, vai dom : voi non soffrirete la fame, qualunque cosa succeda. Ma mia moglie, i miei bambini? E la moglie di mio fratello e i suoi piccini, che ho preso in casa quando mio fratello è impazzito e si è ucciso nelle Terre Tenebrose, e quei gatti d’inferno si sono presi la sua anima? E la mia vecchia madre? E suo fratello, che ha perso un occhio e una gamba nella battaglia di Corresanti? Ci sono pochi uomini validi, nei villaggi, e anche le bambine e le vecchie lavorano nei campi: sono troppo pochi per provvedere al raccolto e badare alle bestie e perfino per abbacchiare le noci prima che la neve seppellisca tutto, e adesso metà degli uomini validi di due villaggi sono qui con le mani e i piedi congelati, forse azzoppati per tutta la vita… «Doloroso»!

Gli tremava la voce per la rabbia e la sofferenza, e Damon chiuse gli occhi sgomento. Era troppo facile, dimenticare. La guerra non finiva, dunque, quando c’era la pace? Lui sapeva uccidere i comuni nemici, o condurre contro di loro uomini armati; ma contro i nemici più grandi — la fame, le malattie, il maltempo, la perdita di uomini validi — era impotente.

— Io non posso comandare al clima, amico mio. Cosa vorresti che facessi?

— C’era un tempo (così mi raccontava mio nonno) in cui i Comyn, quelli delle Torri, le incantatrici e i maghi, sapevano usare le pietre delle stelle per guarire le ferite. Eduin — (l’uomo indicò la guardia al fianco di Dom Esteban) — ti ha visto guarire Caradoc perché non morisse dissanguato, quando la spada di un uomo-felino gli ha tagliato la gamba fino all’osso. Non puoi fare qualcosa anche per noi, vai dom ?

Istintivamente, Damon strinse le dita sul sacchettino di pelle che portava al collo e che conteneva il cristallo-matrice ricevuto ad Arilinn, quando era apprendista tecnico psi. Sì, poteva fare qualcosa. Ma da quando era stato allontanato dalla Torre… Si sentì stringere la gola per la paura e la ripugnanza. Era pericoloso e terribile anche solo pensare di fare qualcosa del genere fuori dalla Torre, senza la protezione del Velo elettromagnetico che difendeva i tecnici della matrice da pensieri e minacce provenienti dall’esterno…

Eppure l’alternativa era la morte e l’invalidità per quegli uomini, sofferenze indescrivibili, fame e carestia per i villaggi.

Disse (e sapeva che la sua voce tremava): — È passato tanto tempo, non so se posso fare ancora qualcosa. Zio…?

Dom Esteban scosse la testa. — Non ho mai posseduto simili facoltà, Damon. Il poco tempo che ho trascorso là l’ho dedicato a lavorare ai collegamenti e alle comunicazioni. Avevo pensato che quasi tutte le facoltà terapeutiche fossero andate perdute nelle epoche del caos.

Anche Damon scosse il capo. — No, alcune venivano insegnate ad Arilinn ancora quando c’ero io. Ma da solo non posso far molto.

Raimon disse: — Domna Callista. Lei era una leronis…

Anche questo era vero. Damon replicò, sforzandosi di dominare la voce: — Vedrò cosa posso fare. Per il momento, l’importante è vedere fino a che punto si può ristabilire la circolazione con mezzi naturali. Ferrika — disse alla giovane donna, che era tornata portando boccette e bottiglie di unguenti ed estratti d’erbe, — per ora lascio gli uomini alle tue cure. Dama Callista è ancora di sopra con mia moglie?

— È nella distilleria, vai dom : mi ha aiutata a trovare questa roba.

La distilleria era in un piccolo corridoio dietro la cucina: una stanza stretta, col pavimento di pietra e piena di scaffali. Callista, con i capelli avvolti in uno sbiadito fazzoletto azzurro, stava dividendo mazzetti di erbe secche. Ce n’erano altri, appesi alle travi o nelle bottiglie e nei barattoli. Damon arricciò il naso nel sentire l’acuto odore aromatico, mentre Callista si voltava verso di lui.

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