Quello era il suo quinto söndring. Era stato durante il primo dei suoi singolari seminari estivi che aveva avuto l’occasione di conoscere Jakt. In quei giorni non pensava affatto al matrimonio. E Trondheim non era che uno dei tanti pianeti che aveva visitato con il suo peripatetico fratello minore. Voleva insegnare, voleva studiare, con l’idea che da lì a quattro o cinque mesi sarebbe stata in grado di scrivere un buon saggio storico da pubblicare sotto lo pseudonimo di Demostene, dopo di che si sarebbe svagata in qualche altra attività finché Ender non avesse accettato una chiamata da qualche pianeta vicino. Di solito il loro lavoro si integrava perfettamente: lui veniva chiamato a fare l’elegia per qualche defunto importante, la cui vita e la cui storia diventavano il fulcro del saggio storico-sociale di lei. Era anche un gioco quello che essi giocavano, tingendo d’essere professori itineranti mentre in realta ricostruivano e rendevano pubblica l’identità di un mondo. Questo perché i saggi di Demostene erano ritenuti altrettante pietre miliari.
Per un po’ di tempo era stata certa che qualcuno, prima o poi, avrebbe notato come i saggi di Demostene seguivano stranamente i suoi stessi itinerari, e l’avrebbe smascherata. Poi s’era resa conto che, come per gli Araldi seppure in tono minore, anche attorno a Demostene era nata una sorta di mitologia. La gente era convinta che sotto quello pseudonimo si celasse più di un individuo. O, per dirla in altre parole, che ogni saggio di Demostene fosse il lavoro di questo o quel sociologo desideroso di mantenere l’anonimato, e che la rete di computer sottoponesse il lavoro a una non meglio specificata commissione di esperti che decidevano se esso meritava quella firma. Poco importava che nessuno conoscesse uno studioso a cui fosse mai stato sottoposto uno di quei saggi. In realtà centinaia di opere ogni anno venivano fornite ai computer con quello scopo, ma un blocco automatico le rifiutava regolarmente, a meno che non fossero state scritte dal vero Demostene. Inoltre la gente persisteva nella convinzione che Demostene fosse morto da millenni, benché in giro ci fossero migliaia di persone la cui vita, legata ai viaggi a velocità-luce, si prolungava nel tempo secondo i ben noti meccanismi relativistici. Dopottutto Demostene era stato un antico sociologo che scriveva sulla videostampa all’epoca delle Guerre contro gli Scorpioni. Non poteva essere la stessa persona…
E infatti non lo è più , pensava Valentine. Di libro in libro io divento sempre una nuova persona, poiché ogni mondo modifica la mia identità già mentre ne scrivo la storia. E questo mondo, soprattutto, lo ha fatto.
Valentine aveva rifiutato l’invadenza dogmatica del pensiero luterano, in specie quella della fazione calvinista, che sembrava pretendere di avere una risposta perfino alle domande che non erano mai state fatte. Così aveva concepito l’idea di portare un gruppo selezionato di studenti anziani via da Reykjavik, per un seminario sulle Sömmer Islands, una catena di isole equatoriali dove, in primavera, gli skrika salivano a deporre le uova e stormi di halking folleggiavano nel periodo della riproduzione. Il suo proposito era di dare una salutare scossa alla routine scolastica che inevitabilmente irrigidiva ogni università. Gli studenti non avrebbero mangiato nulla che non avessero saputo procurarsi con le loro mani, vuoi gli havegrin che crescevano allo stato selvatico nelle valli riparate, vuoi le prede che avessero avuto il fegato di cacciare e uccidere. Era convinta che, quando il cibo quotidiano fosse dipeso dalla capacità di affrontare l’ambiente, il loro atteggiamento verso ciò che contava e non contava in materia storica si sarebbe affinato.
L’università non ne era stata affatto compiaciuta, e dopo averle dato il permesso le aveva negato i fondi, cosicché Valentine s’era vista costretta a usare il suo denaro per trovare un vascello e l’equipaggiamento. Era stato in quell’occasione che aveva conosciuto Jakt, un giovanotto alto e biondo, erede di una delle numerose famiglie che tenevano in mano la pesca dello skrika. Da buon marinaio Jakt aveva un formidabile disprezzo per i topi di università: parlando con gli studenti di lei li chiamava «skraddare», e alle loro spalle usava termini ancor peggiori. Aveva pronosticato a Valentine una rapida morte per fame e stenti, e lasciandola sull’isola s’era accaldato molto, dicendosi certo che da lì a una settimana avrebbe dovuto tornare a recuperare le loro salme. Invece la giovane donna e i suoi studenti, pur spellandosi mani e ginocchia, avevano resistito per tutto il periodo programmato, costruendosi anche un villaggio di solide capanne. Ma soprattutto il seminario era stato entusiasta e creativo, e al loro ritorno gli studenti avevano sbalordito l’università producendo una notevole serie di articoli e saggi storici penetranti e di eccellente fattura.
Il risultato di ciò era che nella comunità studentesca di Reykjavik adesso Valentine aveva sempre centinaia di aspiranti per i venti posti di ciascun söndring estivo. Ma la cosa più importante per lei era Jakt. Il giovane non aveva un’istruzione particolare, tuttavia era molto ferrato nelle tradizioni createsi su Trondheim. Era in grado di pilotare un’imbarcazione lungo tutta la zona equatoriale del pianeta senza bisogno di carte geografiche. Conosceva tutto sugli icebergs e sulle zone dove si poteva contare sul ghiaccio sottile. Sembrava sentire a naso dove gli skrika si sarebbero riuniti a danzare, e aveva un intuito unico su come dislocare i suoi cacciatori per catturarli quando uscivano dal mare per addentrarsi nelle coste dirupate. Non c’era vento o tempesta che potesse coglierlo di sorpresa, e Valentine aveva dovuto ammettere che nessuna situazione lo trovava impreparato.
A trovarlo impreparato era stata lei. Quando il pastore luterano (non un calvinista) li aveva uniti in matrimonio ambedue erano parsi agli invitati più sorpresi che felici. Eppure erano felici. E per la prima volta da quando avevano lasciato la Terra Valentine s’era sentita realizzata, in pace, a casa. Questo era il significato della bambina che ora cresceva dentro di lei. Le peregrinazioni erano finite. Ed era stata grata a Ender per averla capita, per essersi reso conto, senza bisogno di parlarne, che Trondheim era la conclusione della loro odissea millenaria, l’ultima tappa della carriera di Demostene. Come gli ishäxa, anche lei aveva trovato il modo di affondare le radici nel ghiaccio di quel pianeta e trarne il nutrimento che il suolo fertile di altre terre non le aveva dato.
La bambina scalciò con forza, strappandola dai suoi ricordi. Si guardò attorno e vide Ender che veniva verso di lei lungo l’orlo del molo, avvolto nel suo leggero abito sportivo di pelliccia. Capì subito perché aveva con sé la borsa da viaggio: intendeva unirsi al söndring. Si chiese se dovesse esserne contenta o no. Ender sapeva come mettere gli altri a loro agio, ma non poteva celare il genio che aveva nell’intuire la natura umana. La maggior parte degli studenti lo avrebbero trascurato, se così lui voleva, ma i migliori, quelli che lei sperava capaci di sviluppare punti di vista personali, avrebbero invece inevitabilmente seguito il sottile e inevitabile influsso che emanava da lui. Il risultato sarebbe stato positivo, certo. Dopotutto lei stessa aveva un gran debito con le capacità formative del fratello. Ma la cosa sarebbe emersa da Ender, non dalla maturazione degli studenti. Questo avrebbe dunque inficiato lo scopo particolare del sóndring.
E tuttavia lei non avrebbe detto di no alla sua richiesta di partecipare. Sapeva benissimo che le sarebbe piaciuto averlo accanto. Per quanto amasse Jakt, sentiva molto la mancanza dell’intimità che prima de! matrimonio c’era stata fra lei e Ender. Le sarebbero occorsi anni per arrivare a un’identica comprensione, a un identico legame intellettuale con suo marito. Jakt lo intuiva, e talvolta ne soffriva, anche se era lontano dal voler competere con il cognato per la devozione della donna che aveva sposato.
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