A bordo della sua astronave, Ender Wiggin non era consapevole del carico di sogni altrui che stava portando con sé. Soltanto sei giorni erano trascorsi da quando aveva lasciato Valentine in lacrime sul molo. Per lui Syfte non aveva nome, era una creatura contenuta nel ventre di sua sorella, e nulla di più. Cominciava solo allora a sentire nostalgia per Valentine… un sordo dolore che in lei era sfumato da anni. E i suoi pensieri erano lontani dagli sconosciuti nipoti, maschi e femmine, che vivevano su quel pianeta di ghiacci eterni.
Era a una ragazza solitaria e tormentata di nome Novinha che pensava, domandandosi cos’avrebbero portato per lei quei ventidue anni e che persona sarebbe stata quando lui l’avrebbe finalmente incontrata. Perché sentiva di amarla, così come si può amare soltanto qualcuno in cui si è vista riflessa la propria immagine quale la si conosce nei momenti di angoscia più profonda.
I loro soli rapporti con le altre tribù sembrano di stampo bellico. Quando si raccontano storie e avventure (solitamente nei giorni di pioggia) quasi sempre esse trattano di combattimenti e di eroi. Ma inevitabilmente si concludono con la morte, sia degli eroi che dei codardi. Se questi racconti sono rivelatori, c’è da supporre che i maiali non si aspettino di vivere vere vicende guerresche. E in esse non si legge mai il minimo cenno d’interesse per le femmine del nemico, vuoi per farle schiave, vuoi per massacrarle, tradizionale comportamento umano verso gli sconfitti.
Questo significa che non ci sono scambi genetici fra le tribù? Non del tutto. Si può ipotizzare che gli scambi genetici siano condotti dalle femmine, che potrebbero avere un loro sistema per ottenere i favori altrui. Dato l’evidente completo asservimento dei maschi alle femmine nella società dei maiali, la cosa potrebbe avvenire all’insaputa dei maschi stessi; o forse causa in loro una tale vergogna che semplicemente non osano ammetterla con noi.
Ciò che ci narrano più volentieri sono gli eventi bellici. Ecco una loro tipica esposizione, tratta dalle note di mia figlia Ouanda del 21.2 dell’anno scorso, durante una di queste sedute dentro la casa di tronchi: MAIALE (parlando stark) — Egli uccise tre dei fratelli senza riportare una sola ferita. Non avevo mai visto un guerriero così forte e coraggioso. Le sue braccia erano lorde di sangue, e il suo bastone era sporco delle cervella spaccate dei miei fratelli. Sapeva d’essersi fatto onore, anche se per il resto la battaglia s’era volta a sfavore della sua imbelle tribù. Dei honra! Eu lhe dei! (Gli resi onore! Glielo dovevo!)
(Gli altri maiali fanno schioccare la lingua e squittiscono.)
MAIALE — Lo inchiodai al suolo. Lui continuò a dibattersi con vigore finché non gli mostrai l’erba che avevo in mano. Allora aprì la bocca e mugolò strane canzoni della sua terra lontana. Nunca serà madeira na mão da gente! (Lui non sarà mai un bastone nelle nostre mani!)
(A questo punto tutti intonano in coro una canzone nella Lingua delle Mogli, uno dei più lunghi passaggi da me mai uditi.)
(Si noti che questo è un tipico schema del loro comportamento. Cominciano sempre una narrazione in stark, e poi, al momento culminante o conclusivo, passano al portoghese. Riflettendoci, ci siamo resi conto che anche noi facciamo lo stesso, passando alla nostra lingua natale nei momenti di maggiore emozione.)
Questo esempio di narrazione bellica può non sembrare affatto singolare, finché, dopo averne uditi molti altri, si nota che tutti terminano con la morte dell’eroe. Evidentemente non sono attirati dall’avventura a lieto fine.
Liberdade Figueira de Medici, «Rapporti intertribali degli aborigeni lusitani» in
Cross-Cultural Transaction, 30.12.1964
Non c’era molto di cui occuparsi durante un viaggio interstellare. Una volta che la rotta era stata programmata e l’astronave era entrata nell’effetto Park, tutto ciò che restava era sorvegliare gli indicatori per vedere quanto si fosse prossimi alla velocità della luce. Il computer di bordo la stabiliva con assoluta precisione, e determinava dopo quale intervallo, in tempo soggettivo, retrocedere dall’effetto Park tornando istantaneamente a una ridottissima velocità di manovra. Come il semplice scatto di un interruttore, pensava Ender: si accende, e si parte; si spegne, e la corsa è finita.
Jane non poteva mettere molto di sé nelle poco sofisticate apparecchiature dell’astronave, così lui trascorse gli otto giorni del viaggio praticamente in solitudine. Uno dei computer di bordo era tuttavia in grado d’insegnargli a tradurre dallo spagnolo al portoghese. Trovò la lingua abbastanza facile da pronunciarsi, ma erano tante le consonanti mute che capirla risultava più difficile.
Parlare in portoghese con un computer buono soltanto a tradurre non era però divertente. Non per più di un’ora o due al giorno. In tutti i suoi altri viaggi, con lui c’era stata Valentine. Non che avessero mai fatto un gran parlare; si conoscevano così a fondo che sui fatti essenziali non avevano quasi bisogno di esprimersi, e la loro conversazione era stata sempre fatta di chiacchiere spicciole. Ma senza la presenza di lei Ender trovava scarsa soddisfazione nei suoi pensieri, come se in mancanza di un raffronto stentassero a focalizzarsi.
Neppure la Regina dell’Alveare poteva essergli di compagnia. I pensieri di lei erano istantanei, legati non già alle sinapsi ma ai filoti, che restavano al di fuori degli effetti relativistici della velocità-luce. La creatura viveva sessanta ore soggettive per ogni minuto del tempo di Ender, il che impediva ogni genere di comunicazione con lei. Se non fosse stata ancora chiusa nel bozzolo avrebbe avuto migliaia di Scorpioni collegati a lei, ciascuno occupato nel suo lavoro, ciascuno simile a un terminale che trasferiva nell’immensa memoria di lei ogni sua esperienza. Ma da quando era entrata nel bozzolo non aveva che ricordi prenatali da rivangare, e in quegli otto giorni di silenzio Ender cominciò a capire la sua impazienza di venire alla luce e svilupparsi.
L’ottavo giorno i suoi sforzi linguistici lo avevano condotto al punto che riusciva a esprimersi direttamente in portoghese, invece di fare una traduzione mentale preliminare dallo spagnolo. Ma non ne poteva più di parlare rivolto a un microfono. Sarebbe stato perfino ansioso di mettersi a discutere di religione con un calvinista reazionario, pur di avere un ascoltatore meno ottuso di quel piccolo computer.
L’astronave rientrò nell’effetto Park, e in un’incommensurabile frazione di secondo la sua velocità tornò relativa rispetto al resto dell’universo. O piuttosto, se la teoria valeva qualcosa, era stato il resto dell’universo a cambiare velocità, mentre quella della nave rimaneva immutata: la velocità-zero. Nessuno aveva mai potuto verificarlo sperimentalmente, poiché non esisteva un punto esterno a velocità-zero da cui osservare il fenomeno. E nessuna teoria spiegava a fondo l’effetto filotico. L’ansible era stato scoperto casualmente, in seguito al Principio d’Istantaneità di Park, ambedue cose non ancora supportate da una teoria ma funzionanti.
Gli oblò a visione diretta e gli schermi s’erano immediatamente riempiti di stelle. Un giorno o l’altro uno scienziato avrebbe capito perché l’effetto Park non costava quasi nulla in termini di energia. Ma Ender era certo che da qualche parte qualcosa pagava un prezzo tremendo per ogni viaggio compiuto da un’astronave. Una notte aveva sognato che quando una nave entrava nell’effetto Park si spegneva una stella. Jane l’aveva definita una fantasia, eppure la maggior parte delle stelle dell’universo restavano invisibili all’indagine umana, e Ender s’era detto che miliardi di esse avrebbero potuto estinguersi senza che nessuno se ne accorgesse mai. Triliardi di stelle. E anche di quelle della nostra galassia, per migliaia d’anni continueremmo a vedere i fotoni da loro emessi dopo la loro scomparsa. Quando poi ci accorgessimo che la Via Lattea si sta spegnendo, sarebbe troppo tardi per passare ai ripari.
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