— Domani potremo riparlarne? — gli fu chiesto.
— Se volete — annuì Andrew. Ma sapeva che se ne avessero discusso l’avrebbero fatto senza di lui. Per loro la questione di Ender lo Xenocida era puramente una speculazione filosofica. Dopotutto le Guerre contro gli Scorpioni risalivano a tremila anni addietro; adesso si era nel 1948 C.S. a numerare dall’anno in cui era entrato in vigore il Codice Starways, e Ender aveva sterminato gli Scorpioni 1180 anni prima di quella data. Ma per Andrew quegli avvenimenti non erano così remoti. Aveva fatto più viaggi fra le stelle di quanti i suoi studenti avrebbero mai immaginato. Da quando aveva 25 anni fino al giorno del suo arrivo su Trondheim non s’era mai fermato per più di sei mesi sullo stesso pianeta. Viaggiare a velocità relativistica da una stella all’altra lo aveva fatto rimbalzare avanti come una pietra piatta sulla liscia corrente del tempo. I suoi studenti non potevano immaginare che il loro Araldo dei Defunti, pur dimostrando appena 35 anni, aveva ricordi ancora nitidissimi di eventi accaduti 3000 anni prima, e che quegli eventi erano successi per lui appena una ventina d’anni addietro, poco più di metà della sua vita. Essi non avevano idea di quanto profondamente la questione dell’antica colpa di Ender bruciasse in lui, e dell’angoscia con cui aveva cercato di trovare mille giustificazioni diverse. Lo conoscevano soltanto come un insegnante, un Araldo dei Defunti; non sapevano che quando era un bambino sua sorella Valentine, di due anni maggiore, non trovando divertente il suono di «Andrew» aveva preso a chiamarlo Ender, un nome che lui aveva reso famoso e poi infame ancor prima di compiere quindici anni. Styrka e l’analitica Plikt ponderavano sull’eterna questione della colpa di Ender. Ma per Andrew Wiggin, Araldo dei Defunti, la cosa non era altrettanto accademica.
Scendendo per l’umido pendio erboso nella fredda brezza primaverile, Ender — l’Araldo Andrew — riusciva a pensare soltanto ai maiali, quelle creature che già avevano commesso un inesplicabile delitto, proprio come avevano incautamente fatto gli Scorpioni al loro primo contatto con la razza umana. C’era forse una maledizione inevitabile sull’incontro fra umani ed extraterrestri, una legge di natura che lo voleva intriso di sangue? Gli Scorpioni avevano ucciso con indifferenza migliaia di esseri umani, ma questo solo perché essi avevano una mente comune, l’alveare, per cui la vita dell’individuo non contava più di quella di un’unghia. Spazzando via gli occupanti dei satelliti su cui desideravano insediarsi avevano semplicemente voluto chiedere agli uomini di farsi più in là, senza offesa. L’omicidio dello xenologo poteva essere emerso da motivi di quel genere?
Ma la voce nel suo orecchio aveva parlato di tortura, di un omicidio rituale simile all’esecuzione che i maiali avevano fatto di un loro simile, anni prima. I maiali non possedevano una mente-alveare, non erano gli Scorpioni. Ender doveva scoprire perché avevano agito in quel modo.
— Quando ha saputo della morte dello xenologo?
Ender si volse. Era Plikt. La ragazza lo aveva seguito, invece di tornare alle Grotte dove alloggiavano gli studenti.
— Poco fa, mentre parlavamo. — Si toccò l’orecchio. Impianti di microterminali come il suo erano costosi, ma non troppo rari.
— Io ho sentito un notiziario appena prima della lezione, e non se ne faceva parola. — Sollevò un polso per mostrargli il suo minischermo. — E anche adesso le stazioni di Trondheim tacciono. Si direbbe che lei abbia un collegamento diretto con l’ansible.
Il tono di Plikt era quello di chi è convinto di aver messo le mani su un grosso mistero. E non aveva torto. — Gli Araldi hanno accesso prioritario alle informazioni giunte via ansible — disse lui.
— Qualcuno l’ha invitata a fare l’Elegia per lo xenologo?
Lui scosse il capo. — Lusitania è nel cortile della Chiesa Cattolica.
— Volevo appunto dire che loro non hanno un Araldo là — disse la ragazza. — Però sono tenuti ad accoglierne uno, se i parenti del defunto lo richiedono. E Trondheim è il pianeta più vicino a Lusitania.
— Nessuno ha chiesto un Araldo.
Plikt gli toccò un braccio. — Perché lei è venuto qui?
— Lo sai. Alla morte di Wutan ho parlato per lui.
— So che lei è arrivato qui con sua sorella, Valentine. E di voi due è lei la più popolare fra gli studenti… lei risponde alle domande con delle risposte. Mentre lei, Araldo, risponde solo con altre domande.
— Questo è perché lei conosce più risposte di me.
— Araldo, lei deve dirmelo. Ho cercato di sapere qualcosa di lei… ero curiosa. Il suo cognome, ad esempio, o da dove viene. Tutto è classificato segreto, evidentemente. Segreto al punto che non si sa neppure se per arrivare ai suoi dati esistono dei codici d’accesso. Dio in persona non riuscirebbe a saper nulla del suo passato.
Ender la prese per le spalle e la guardò negli occhi. — Il fatto che tu non abbia ottenuto un codice significa, per l’appunto, che queste cose non ti riguardano.
— Lei è molto più importante di quel che gli altri pensano, Araldo — disse Plikt. — L’ansible le arriva in diretta, prima che a chiunque, no? E nessuno può mettere gli occhi sui suoi dati personali.
— Nessuno se ne è mai preoccupato. A te perché interessa?
— Io voglio diventare un Araldo — disse lei.
— Procedi, allora. Il computer ti addestrerà. Non è una religione, non c’è un catechismo che tu debba imparare a memoria. E ora lasciami in pace, d’accordo? — La scostò con una gentile spintarella e girò le spalle.
La ragazza vacillò, mentre lui si allontanava in fretta. — Ma voglio parlare per lei ! — protestò.
— Io non sono ancora morto! — replicò lui senza voltarsi.
— So che lei sta andando su Lusitania! Io… so chi è lei!
Allora ne sai più di me , si disse Ender con un sospiro. Ma accelerando il passo s’accorse di tremare, malgrado il sole alto e le tre maglie che si era messo indosso per tener fuori il freddo. Non aveva mai notato quanta emotività vi fosse in Plikt, ma intuendo che la ragazza lo identificava con una sorta d’immagine paterna, o aveva disperatamente bisogno di qualcosa che era in lui, si sentì spaventato. Gli anni erano scivolati via senza che lui stringesse veri rapporti umani con nessuno, a parte sua sorella Valentine e, naturalmente, i defunti per cui parlava. Tutta la gente che aveva significato qualcosa per lui era morta da un pezzo. Lui e Valentine se li erano lasciati indietro secoli prima, interi mondi prima.
L’idea di mettere radici nel gelido suolo di Trondheim gli apparve improvvisamente detestabile. Cosa voleva Plikt da lui? Non aveva importanza; lui comunque non poteva dargliela. Come osava pretendere qualcosa, quasi che lui le appartenesse? Ender Wiggin non apparteneva a nessuno. Se la ragazza avesse saputo chi lui era in realtà, lo avrebbe guardato con ripugnanza. Lo Xenocida. Oppure, al contrario, lo avrebbe venerato come il Salvatore dell’Umanità. Ender non aveva dimenticato il periodo in cui la gente osannava ancora il suo nome, e fra i due estremi non sapeva quale detestare di più. Adesso tutti lo conoscevano solo per il suo ruolo, solo con il nome di Speaker, Talman, Falante, Spieler, o comunque chiamassero gli Araldi dei Defunti nella lingua della loro città o nazione o mondo.
Non voleva che gli altri sapessero chi era. Non apparteneva a loro né alla razza umana. Lui seguiva una diversa via e apparteneva a qualcun altro. Non agli esseri umani. E neppure ai sanguinari maiali. O questo era ciò che credeva.
Dieta osservata: soprattutto macios , i vermi dalla pelle lucida che vivono fra i tralci di nerdona sulla corteccia degli alberi. A volte li abbiamo visti masticare steli di capim. Talvolta (incidentalmente?) ingeriscono foglie di nerdona insieme ai vermi.
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