Uno degli uomini disse a Libo: — Ora sei tu lo zenador, non è così? — traducendo in parole un altro aspetto di quella deferenza. A Milagre lo zenador non aveva alcuna autorità ufficiale, ma godeva del massimo prestigio, poiché il suo lavoro giustificava l’esistenza stessa della colonia. Libo cessava di essere un ragazzo agli occhi di tutti, aveva decisioni da prendere, assumeva un ruolo e una dignità, e lasciava i margini della vita sociale della colonia per spostarsi in posizione centrale.
Ma Novinha sentiva che il controllo della sua vita le scivolava via fra le dita. Non è così che dovevano andare le cose. Io avrei dovuto continuare qui per anni, imparando da Pipo, e con Libo come mio compagno di studi. Questo sarebbe stato il modo giusto. Invece era già la xenobiologa, la xenobiologista della colonia, e aveva un ruolo da adulto, e onorato, da ricoprire. Non era gelosa del rispetto che ora Libo otteneva. Tutto ciò che avrebbe voluto era di restare una ragazzina insieme a lui, per ancora un po’ di tempo. Per sempre, se fosse stato possibile.
Ma Libo non sarebbe stato mai più il suo compagno di studio e di giochi. Lo capì con improvvisa chiarezza quando notò come tutti, nella stanza, guardavano il giovane, prendendo atto in silenzio di quello che diceva e stabiliva. — Non reagiremo in nessun modo verso i maiali — li stava informando. — Né definiremo questo atto un crimine. Non possiamo sapere se mio padre li abbia provocati o meno; cercherò di capirlo più tardi. Ciò che bisogna accettare è che, qualunque cosa abbiano inteso fare, a loro sembrava giusta. Gli stranieri qui siamo noi, e nostra è la colpa se abbiamo violato… qualche tabù, qualche legge. Mio padre era preparato a questo pericolo, sapeva che esisteva allo stadio potenziale. La gente che lo conosceva, e i colleghi, devono capire che è morto con la dignità di un soldato sul campo, di un comandante sulla sua nave, come tutti coloro che muoiono dopo una vita semplice dedicata al lavoro onesto, allo studio, al dovere verso gli altri, senza mai aver chiesto nulla per sé.
Ah, Libo! Tu, ragazzo silenzioso, hai trovato tanta eloquenza che non riuscirai ad essere un ragazzo mai più , pensò Novinha, e sentì esacerbarsi il suo dolore. Fu costretta a distogliere lo sguardo da lui.
E senza volerlo incontrò gli occhi dell’unica altra persona nella stanza che non stesse fissando Libo. Era un uomo assai alto, ma molto giovane… più giovane di lei, ricordò Novinha quando lo riconobbe: era stato a scuola con lei, in una classe di un anno inferiore alla sua. Una volta le era capitato di parlare a Dona Cristã per difenderlo. Marcos Ribeira, ecco come si chiamava; ma i compagni l’avevano soprannominato Marcão, perché era grosso. Grosso e scemo, gli dicevano, chiamandolo dispettosamente Cão, un termine spregiativo per «cane». Lei s’era accorta spesso che questo gli faceva stringere i denti. E una volta, dopo che la sua pazienza era stata messa a dura prova, lo aveva visto reagire e abbattere uno dei suoi tormentatori. Costui era stato ingessato per diversi mesi.
Naturalmente gli altri avevano accusato Marcão d’averlo colpito senza provocazione; questo era il metodo dei torturatori di ogni età: gettare la colpa sulla vittima, specialmente quando reagisce. Ma Novinha non aveva certo fatto parte di quel gruppo di ragazzi — era un’isolata come Marcão, anche se non altrettanto indifesa — così nessun distorto senso di lealtà l’aveva trattenuta dal riferire l’accaduto. Era già parte della sua struttura mentale fare «l’Araldo», parlare per gli alieni, i maiali, i diversi. Marcão, in se stesso, non significava niente per lei. Non le era mai sovvenuto che l’incidente sarebbe stato importante per lui, né che quel taciturno colosso avrebbe potuto ricordare in lei la sola persona che si fosse mai interposta nella sua continua lotta contro le malignità altrui. La ragazza non lo vedeva da anni, né aveva più pensato a lui dopo quell’occasione.
Ma adesso era lì, sporco fino agli occhi del fango raccolto sul luogo della morte di Pipo, e con una faccia che battuta a lungo dalla pioggia sembrava più ingrugnita e da cane che mai. E cos’era ciò che stava fissando? Lei. I suoi occhi erano solo per lei, né si spostarono quando la ragazza li incontrò, accigliata. Perché mi stai guardando? gli chiese in silenzio. Rabbia, ferocia , parvero risponderle quegli occhi di animale. Ma no, no, a parlare erano le sue paure, le immagini dei maiali che uccidevano e squartavano. Marcão non è niente per me. E qualunque cosa possa pensare, io non sono niente per lui.
Tuttavia, per un attimo, in lei s’era accesa un’intuizione. Il suo atto di difesa di Marcão aveva avuto un significato per lui, e un altro completamente diverso per lei. Così diverso da rappresentare addirittura un altro avvenimento. Nella sua mente ciò si collegava alla morte di Pipo per mano dei maiali, e in modo che le parve molto importante, quasi vitale per spiegare l’accaduto. Ma subito quel pensiero svanì, trascinato via dalle voci e dall’attività degli uomini che il vescovo ora riportava fuori, diretti al cimitero. L’uso delle casse da morto era stato vietato fin dall’inizio, per non rischiare di offendere i maiali con l’abbattimento dei loro alberi, e al tempo della Descolada tutto il materiale plastico era stato esaurito. La salma di Pipo sarebbe stata sepolta subito, anche se il servizio funebre avrebbe avuto luogo l’indomani; probabilmente sul tardi, visto che molta gente intendeva certo venire alla messa di requiem per lo zenador. Marcão e gli altri uscirono nel temporale, lasciando Libo e Novinha alle prese con tutti coloro che, in conseguenza della morte di Pipo, pensavano di avere qualcosa di urgente da dire o da fare. Alcuni individui sconosciuti si muovevano dentro e fuori con aria importante, prendendo decisioni che Novinha non capiva e di cui Libo sembrava non interessarsi più.
Da lì a poco entrò l’Arbitro, che andò a poggiare una mano su una spalla del giovane. — Tu verrai da noi, naturalmente — disse l’uomo. — Per stanotte, almeno.
Perché in casa tua, Arbitro? pensò Novinha. Tu non sei nessuno per noi. Non abbiamo mai portato un caso davanti a te. Chi sei tu per decidere questo? La morte di Pipo significa che siamo diventati due bambini incapaci di prendere qualche iniziativa?
— Devo stare accanto a mia madre — mormorò Libo.
L’Arbitro si mostrò sorpreso, quasi che la semplice idea di un bambino capace di autodecisione esulasse da ogni sua passata esperienza. Novinha capiva che quella era soltanto una serie di false impressioni. Sua figlia Cleopatra, di alcuni anni più giovane di lei, ce l’aveva messa tutta per meritarsi il soprannome con cui la chiamavano i ragazzi: Bruxinha, piccola strega. Perciò l’uomo non poteva non sapere che i giovani avevano fin troppa iniziativa, in specie quando si trattava di contariare gli adulti.
Ma la sorpresa di lui si rivelò volta a un argomento imprevisto da Novinha. — Credevo tu sapessi che tua madre starà da noi per un po’ di tempo — disse l’Arbitro. — La disgrazia l’ha comprensibilmente sconvolta, e non è in grado di occuparsi delle faccende domestiche, né di restare in una casa che le ricorda ancora troppo dolorosamente l’assenza di chi ormai non è più. È già da noi, con i tuoi fratelli e le tue sorelle, e avranno bisogno di te. C’è anche tuo fratello maggiore, João, ma lui ha una moglie e un figlio a cui pensare, perciò le responsabilità familiari ricadranno sulle tue spalle.
Libo annuì gravemente. L’Arbitro non aveva inteso prenderlo sotto la sua protezione, gli stava chiedendo di diventare anche lui un capofamiglia.
L’uomo si volse a Novinha. — Penso che tu faresti meglio a tornare a casa, adesso — le disse.
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