(Ti ho preso, pesciolino, ti ho preso ancora una volta…)
Thorn lasciò la strada e s’infilò nel sottobosco sentendo alle sue spalle ululati di animali e urla… — La cosa sulla montagna! È lui, è venuto!
(O dei, Duun… dei…) Respirare gli procurava delle fitte al fianco. I rami lo graffiavano. Correva. Qualcosa dentro di lui si era spezzato e dolorosamente gli si gonfiava in gola…
Gli davano la caccia. Tutti. E non poteva invocare aiuto.
Nessuna clemenza.
Diverse foglie s’incendiarono vicino a lui. Un’arma a raggi. Sentì il gemito dei proiettili.
Alcune schegge gli scoppiarono in faccia. Alzò le mani, e andò a sbattere in un albero o in qualcosa del genere; il colpo gli paralizzò un braccio e lo fece girare su se stesso. Il terreno si alzò verso di lui. Sentì i rami trafiggergli la mano, e terra e foglie graffiargli il polso. Cercò di rimettersi in piedi. Aveva gli occhi che lacrimavano e il braccio paralizzato che gli penzolava a fianco. Sentì altri proiettili sibilare intorno a lui.
— Eccolo!
Si ributtò a terra, si trascinò e si rimise sulle ginocchia consapevole dello shock. Una volta, quando era caduto dalle rocce, era rimasto così: intorpidito dalla testa ai piedi, spaventato e senza fiato. Si era allora alzato, aveva ricominciato a camminare e a correre, e solo dopo si era reso conto di dove fosse. Poi all’improvviso, aveva visto Duun che lo guardava, dall’alto delle rocce.
Abbandonando il gioco, Duun era sceso da lui; gli aveva preso la faccia nella mano mutilata e gli aveva stretto la mascella fra il pollice e l’indice.
— Mi senti pesciolino? Mi senti?
Duun!
Thorn cadde su un ginocchio, si rialzò. Appoggiò la schiena a un tronco. C’erano luci, ululati di animali e forme dietro le luci: gente che indirizzava i fasci di luce da una parte e dall’altra, fra i cespugli, sopra di lui.
— Prendetelo! Di là!
Thorn mise il tronco tra sé e gli inseguitori e si rimise a correre, con il braccio sinistro che dondolava come una cosa morta al suo fianco. (Mi hanno colpito. È stato un colpo che mi ha fatto cadere. Mi hanno sparato. Posso usare il mio coltello?) Corse e corse, scivolando lungo le scarpate, graffiandosi fra i rovi. (È vero? O è un gioco? Duun… Sei stato tu a organizzare questa partita? Devo uccidere? Duun, ho paura !)
Scivolò fino in fondo a una scarpata e si mise a correre lungo il torrente.
Un’ombra si alzò davanti a lui. Si gettò di fianco per evitarla. Ma era lì , odorava di shonun, e gli bloccava il braccio destro che aveva alzato per colpire. Una voce disse: — Thorn! — prima che una morsa con due dita lo prendesse per la gola e lo facesse cadere in una stretta soffocante. Thorn afferrò con una mano il braccio e cercò di atterrare il suo avversario. La nausea lo sconvolse dalla testa ai piedi. Incespicando fra le foglie fu tirato indietro da una stretta che gli torse il braccio ferito. — Scappa! — gli sibilò Duun in un’orecchia. — Thorn, Thorn… sono io! Scappa! Torna a casa!
La mano di Duun lo lasciò e gli diede una spinta brutale in mezzo alla schiena. Thorn corse. Corse e scivolò sulle foglie. Si rimise a correre.
Il fianco gli faceva male, era in fiamme. E anche il braccio gli doleva: ogni passo era una fitta.
(Torna a casa!)
(Devo crederti, Duun… devo fare quello che mi dici? È una trappola, Duun?)
Un colpo di fucile. Altri. Sentì l’eco rimbalzare sulle colline. Grida, voci, ululati di animali.
(Ma Duun è laggiù.) Thorn si arrestò barcollando. Andò a sbattere in un albero e ci si appoggiò con la schiena. Aveva la vista annebbiata. Il dolore adesso era come un grande battito, al di là del dolore; forse gli era arrivato al cuore. Sbatté le palpebre schiarendo la notte quanto poteva. C’erano delle luci. Altre voci si levarono… grida e ululati e ancora colpi di fucile.
( Duun! )
Thorn cominciò a correre in giù, tenendo il braccio fermo quanto poteva. I rami gli sbattevano in faccia e lui continuava a scostare la testa correndo alla cieca e usando l’inclinazione del terreno per distinguere il basso dall’alto. Alla fine si fece strada tra i cespugli con la destra, e lasciò che il braccio sinistro strisciasse fra i rovi in un immenso, freddo tremito. Sentì il proprio respiro, il petto che si spezzava. Non c’era più la notte, non c’era più il mondo: si era ristretto alle dimensioni del suo corpo, e gli unici suoni erano quelli del suo respiro e del suo cuore.
(Lo uccideranno come il bestiame! Duun!)
Un ramo si mise in mezzo al suo cammino, gli si avvolse attorno come vivo, lo tenne stretto. — Thorn! Maledizione… Pazzo!
Thorn rimase aggrappato al braccio di Duun. La stretta forte di Duun lo fece girare su se stesso, poi lo afferrò per tutte e due le braccia e lo scosse, gettandogli la testa indietro.
— Pazzo! Dove stavi andando?
Non poté rispondere. Il dolore gli venne addosso a ondate. Duun lo scosse ancora. Era Duun. Odorava di Duun. (Cieco agli odori. Pazzo cieco agli odori.)
— Ho dovuto ferire qualcuno — disse Duun. Era rabbia. Duun lo scosse. — Mi senti, pazzo! Ho dovuto ferire qualcuno per te.
— Penso… penso… — Sopravvenne lo shock: mandibola e mascella si chiusero e cominciarono a battere l’uria contro l’altra. Duun lo appoggiò a terra. (- Quante volte ti hanno preso? Dei, dei. Lo vedo… -) Lo fece stendere sul pendio della foresta e gli tastò il braccio, mentre lui perdeva e riacquistava conoscenza.
— Perché — chiese a Duun. — Perché l’hanno fatto? — Mentre i muscoli delle mascelle si contraevano spasmodicamente e il dolore andava e veniva. — Duun, dovevano farlo?
— Sta’ zitto — disse Duun. E gli fece male, forse di proposito o per caso. Thorn perse di nuovo conoscenza, per qualche secondo; quando rinvenne, Duun gli schiaffeggiava adagio la faccia. — Riesci a muovere le dita? Gli ho messo sopra la pellicola di gelatina. Muovi le dita. Mi senti?
Thorn provò. Gli sembrò che si muovessero. Strinse i denti con forza perché Duun se l’era issato su una spalla e l’aveva rimesso in piedi. Il mondo si rovesciò quando la spalla di Duun gli si appoggiò alla pancia e lo sollevò. Dolore. Il braccio dondolò. Ogni passo di Duun era una fitta di dolore. Il mondo diventò nero e rosso di bagliori luminosi che gli attraversavano le pupille, nel buio. I rami gli graffiavano la schiena. Non osava muoversi; temeva di sbilanciare Duun su per quel pendio. Ma il dolore, il dolore…
Buio. Duun lo mise giù, sulle ginocchia, tenendolo stretto a sé. Thorn sentiva il fiato di Duun sulla faccia.
— Devi camminare — disse Duun. — Mi senti? Mi senti, Thorn? Devi camminare adesso. — Duun gli mise un braccio sotto le ascelle e lo tirò su. — Cammina. Hai sentito?
Thorn aveva sentito. Ci provò. Sentì il respiro ansante di Duun e si appoggiò a lui cercando sostegno sulla pietra e sulla terra. — Arrampicati — aggiunse Duun. — Maledizione, arrampicati!
Alle loro spalle, nel bosco, si alzarono degli ululati. Insieme alle imprecazioni di Duun, quei versi ridiedero vigore a Thorn. Duun lo portò per un po’, poi lo gettò fra le foglie, con uno scossone che gli tolse il respiro e lo schiaffeggiò. — Respira, maledizione, respira.
Ci provò. Boccheggiò. E Duun si stese su di lui, ansimando. Le loro teste si urtavano e il dolore batteva all’unisono.
Un’altra salita. Duun l’aveva rimesso in piedi. Thorn non ricordava come. — La strada non è lontana — disse Duun. — Non si spingeranno oltre. Vieni.
Poi si trovò seduto, su una pietra piatta, ai margini della strada, dove Duun l’aveva fatto sedere. Duun lo teneva con una mano attorno alle spalle e l’altra contro il petto. Nel mondo erano tornati i colori. Era l’alba.
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