Con un calcio, spinse il pulsante che faceva scendere il letto e vi si sdraiò. Di quanto si erano avvicinati al vero obiettivo cui tendevano da anni, Barron e gli altri?
Di niente. Erano sempre allo stesso punto. Energia! Tutti cercavano energia. Parola magica! La cornucopia, la chiave della ricchezza universale… Ma l’energia non era tutto.
Trovando l’energia, si poteva anche trovare… l’altra cosa. Se si scopriva la chiave per ottenere energia, la chiave per ottenere il resto diventava ovvia. Lei lo sapeva, questo, ma sapeva anche che per trovare quella chiave avrebbe dovuto afferrare un punto così sottile da apparire ovvio solo dopo averlo afferrato. (Santo cielo, i sospetti cronici di Barron l’avevano contagiata al punto che perfino nei pensieri si limitava a definirla “l’altra cosa”?)
Nessun Terrestre sarebbe mai stato capace di afferrare quel punto sottile, specie perché non aveva motivo di cercarlo.
Ma Ben Denison l’avrebbe trovato per lei, pur senza cercarlo per sé.
Salvo che… Se l’universo veniva distrutto, niente importava più.
Con uno sforzo notevole Denison cercò di mantenere un tono disinvolto. Allungando più volte la mano, cercò di tirarsi su i calzoni che non aveva. Tutto quel che indossava, infatti, erano un paio di sandali e uno slip ridotto al minimo, troppo stretto. Oltre, naturalmente, al lenzuolo.
Selene, addobbata come lui, si mise a ridere. — Ben, non dovete proprio vergognarvi del vostro corpo. È solo un po’ flaccido, ma neanche poi tanto. Anzi, se lo slip vi stringe, toglietelo.
— No, no — mormorò Denison avvolgendosi il lenzuolo intorno all’addome. Ma lei glielo strappò di dosso.
— Datelo a me — disse. — Che razza di Lunarita siete, se non rinunciate al puritanesimo terrestre? Sapete bene che il pudore non è che l’altra faccia della libidine.
— È un’abitudine inveterata, Selene.
— Potreste cominciare a guardare me, ogni tanto, senza far scivolare via lo sguardo come se fossi unta d’olio. Ho notato che guardate le donne con molta disinvoltura. Ecco, mi fermo, tolgo lo slip e voi mi guardate.
— Selene, c’è tanta gente in giro — protestò lui — e non è bello che vi facciate gioco di me in questo modo. Fatemi il favore di camminare e lasciate che mi abitui a poco a poco.
— D’accordo, però vi prego di notare che nessuno bada a noi.
— A voi vorrete dire. Me, mi guardano tutti. Probabilmente non hanno mai visto nessuno così vecchio e flaccido.
— Può anche darsi — ammise lei con noncuranza — però ci si abitueranno.
Denison camminava in preda alla più cupa infelicità, pensosamente consapevole di ognuno dei peli grigi che gli spuntavano sul petto e del tremolio dell’addome. Solo quando il corridoio cominciò a restringersi e la folla si diradò, poté tirare un sospiro di sollievo.
Adesso, si guardava intorno incuriosito senza far più troppo caso ai seni eretti di Selene e alle sue cosce levigate. Sembrava che il corridoio non finisse mai.
— Quanta strada abbiamo fatto? — domandò.
— Siete stanco? Mi spiace. Avremmo potuto prendere uno scooter. Ogni tanto mi dimentico che venite dalla Terra.
— Meglio così, invece. Non dovete ricordarmi che sono un immigrante. Comunque, non sono stanco. Nemmeno un poco. Casomai, ho freddo.
— È frutto dell’immaginazione — disse lei. — Solo perché siete nudo credete di avere freddo.
— Si fa presto a dirlo — sospirò lui. — Spero almeno di camminare bene.
— Benissimo. Potreste cominciare a fare i salti del canguro.
— E partecipare alle gare di scivolo. Non dimenticate che non sono più giovane. Quanta strada abbiamo fatto?
— Circa un paio di miglia.
— Santo cielo! Ma quanto sono lunghi questi corridoi?
— Non lo so. Quelli residenziali costituiscono solo una piccola parte del complesso. Ci sono corridoi minerari, geologici, industriali, micologici… In tutto assommano a parecchie centinaia di miglia.
— Esistono delle mappe?
— Naturalmente. Non possiamo certo lavorare alla cieca.
— Ma voi ne avete?
— Io? Be’, no, almeno non qui. Ma per questa zona non mi occorrono. La conosco bene, perché la frequento fin da quando ero bambina. Questi corridoi sono i più vecchi. Quelli nuovi — ne apriamo due o tre miglia all’anno — sono a nord. Per orizzontarmi da quelle parti avrei bisogno anch’io di una mappa.
— Adesso dove stiamo andando?
— Vi ho promesso uno spettacolo insolito, e sarete soddisfatto. È la più insolita delle miniere lunari, e non rientra nel giro turistico.
— Una miniera di diamanti?… No, non credo.
— Oh, molto meglio!
In quel tratto, le pareti del corridoio erano di roccia grigia non levigata, e illuminata a tratti. La temperatura si manteneva sui valori medi e la circolazione dell’aria dava perfino l’idea che ci fosse un leggero vento. Lì riusciva difficile persuadersi di essere a una settantina di metri sotto la superficie battuta dal sole e dal gelo.
— Sono tutti a tenuta stagna? — domandò con un improvviso senso di disagio Denison, che si era improvvisamente ricordato di trovarsi sotto un oceano di vuoto che si estendeva all’infinito.
— Certamente. Le pareti sono impermeabili, e la pressione è mantenuta costante. Se dovesse cadere solo del dieci per cento in una qualsiasi parte dei corridoi, sentireste un concerto di sirene da farvi diventare sordo, e si accenderebbero luci e frecce in quantità per indicare le zone sicure.
— È già successo molte volte?
— No, raramente. Negli ultimi cinque anni credo che nessuno sia morto per mancanza d’aria. Poi, in tono difensivo: — Sulla Terra si verificano pure le catastrofi naturali come i terremoti o le inondazioni, che causano migliaia di vittime!
— Per carità, Selene, non ho voglia di discutere, calmatevi.
— Va bene, non volevo prendermela… — Si fermò, in ascolto, e aggiunse: — Sentite?
Denison tese le orecchie, ma poco dopo scosse la testa: — C’è un silenzio assoluto. Dove sono gli altri? Non vedo più anima viva. Siete sicura che non ci siamo smarriti?
— Queste non sono grotte naturali con passaggi sconosciuti, come ne avete sulla Terra. So che esistono perché ho visto le foto.
— Sì, sono per lo più grotte di arenaria scavate dall’acqua. Sulla Luna non esiste niente del genere, vero?
— No, e quindi non possiamo esserci smarriti. Se siamo soli, attribuitelo alla superstizione.
— Alla superstizione? Non capisco.
— Be’, in effetti non è il termine esatto, forse, ma in genere i Lunariti hanno la tendenza a starsene alla larga da questa zona.
— Perché?
— Per quello che vi mostrerò. — Intanto, si erano rimessi in cammino. — Sentite, adesso?
Tornò a fermarsi, e Denison tese le orecchie.
— Alludete a quel leggero “tap-tap”? — disse dopo un po’.
Lei non rispose, e partì di corsa a lunghi balzi armoniosi. Denison la seguì, cercando di imitare le sue movenze.
— Qui… qui…
Denison seguì la direzione indicata dalla mano di Selene.
— Buon Dio! — esclamò. — Da dove viene?
Era una cascatella d’acqua limpida, un rivoletto che ricadeva sgocciolando in un piccolo condotto di ceramica che entrava poi nella roccia.
— Dall’interno delle rocce. C’è acqua nella Luna, non lo sapevate? La maggior parte la ricaviamo dalla pietra da gesso, e ci basta, perché sappiamo adoperarla con giudizio.
— Lo so, lo so. Però non sono ancora riuscito a fare una doccia come si deve.
— Eppure vi ho spiegato come dovete fare. Prima, bagnarsi. Poi, chiudere il rubinetto, insaponarsi e strofinarsi… oh, Ben, non ho voglia di tornare a ripeterlo. E poi, sulla Luna non ci si sporca mai molto… Ma non è di questo che volevo parlare. Ci sono dei veri e propri depositi di acqua, in un paio di posti, di solito sotto forma di ghiaccio, in prossimità della superficie, all’ombra delle montagne. Quando li localizziamo, cominciano a sgocciolare attraverso il canale di trivellazione. Questo cola da quando fu scavato il corridoio, otto anni fa.
Читать дальше