— Volete dire che se mai riuscissi a indebolire l’influenza di Hallam ne trarrebbe beneficio anche la scienza lunare?
— Qualunque cosa farete, sarà certo utile… Ma forse adesso è meglio che me ne vada e vi lasci dormire. Fatevi vivo tra un paio di giorni; vedrò di sistemarvi in un laboratorio e anche — concluse dando un’occhiata in giro — di trovarvi un alloggio migliore.
Si scambiarono una stretta di mano, e Neville se ne andò.
— Immagino che sebbene il vostro incarico non sia stato dei più divertenti, tuttavia ora che dovete andarvene provate un briciolo di dispiacere — osservò Gottstein.
— Un grosso dispiacere, direi — confessò Montez con una eloquente alzata di spalle. — Specie quando penso alla forza di gravità terrestre, alla difficoltà di respirazione, al mal di piedi, al sudore… Sento che vivrò costantemente immerso in un bagno di sudore.
— Un giorno verrà anche il mio turno.
— Seguite il mio consiglio: non restate qui mai più di due mesi per volta. Non importa quel che possono dire i medici o quali esercizi isometrici vi consiglino di fare… tornate sulla Terra ogni sessanta giorni e restatevi per una settimana. Così sopporterete tutto meglio.
— Non lo dimenticherò… oh, dimenticavo, ho visto il mio amico.
— Quale amico?
— L’uomo che era a bordo con me quando sono arrivato qui. Mi pareva che avesse una faccia nota, e infatti non sbagliavo. Si chiama Denison, ed è un radiochimico. E quel che mi ricordavo di lui corrispondeva alla realtà.
— Davvero?
— Ricordavo una certa sua interessante irrazionalità, e ho cercato di sondarlo. Mi ha resistito, in modo molto astuto. Era razionale, talmente razionale da insospettirmi. Certi tipi di svitati dispongono di una razionalità che costituisce una specie di meccanismo di difesa.
— Signore! — esclamò Montez perplesso. — Temo proprio di non riuscire a seguirvi. Se non vi spiace, mi metto a sedere un momento. Fra il dover badare a che tutto sia impacchettato a dovere e pensare alla gravità terrestre, sono rimasto a corto di fiato… Di che irrazionalità stavate parlando?
— Una volta, tentò di spiegarci che l’uso delle Pompe Elettroniche era pericoloso. Secondo lui, avrebbero fatto esplodere l’universo.
— Sul serio? Ed è vero?
— Spero di no. Allora, fu mandato via alquanto bruscamente. Quando gli scienziati si occupano di qualche cosa ai limiti della comprensibilità, diventano molto suscettibili, sapete. Una volta, uno psichiatra che conoscevo lo definì il fenomeno del “Chi lo sa?”. Se niente di quel che fate vi porterà alla conoscenza che vi è utile, finirete col dire “Chissà cosa succederà”, e la fantasia vi dirà il resto.
— Sì, ma se i fisici si comportano a questo modo, anche se non tutti…
— Ma non si comportano così, almeno non ufficialmente. Esiste la responsabilità scientifica e le riviste specializzate badano bene a non pubblicare notizie cervellotiche… Ma per tornare a noi, la controversia è tornata a galla. Un certo Lamont è andato dal senatore Burt, da quel Chen che si autodefinisce un messia o che so io e da altri, insistendo a dire che potrà verificarsi un’esplosione cosmica. Nessuno gli ha creduto, ma la voce si è diffusa e ha finito col trovare credito.
— E questo tizio che è venuto sulla Luna ci crede?
— Credo di sì — ammise Gottstein con un ampio sorriso. — Diavolo, di notte, quando non riesco a dormire — fra l’altro continuo a cadere dal letto — arrivo a crederci anch’io. Forse lui pensa di poter esperimentare la sua teoria, qui.
— E allora?
— E allora lasciatelo fare. Gli ho fatto capire che lo avremmo aiutato.
— È rischioso — commentò Montez scuotendo la testa. — Non mi piace dare un sostegno ufficiale alle teorie cervellotiche.
— Sapete, esiste una sia pur minima possibilità che non sia poi tanto cervellotica. Il fatto importante è che se possiamo farlo restare qui sulla Luna, tramite suo possiamo arrivare a scoprire cosa sta succedendo qui. Non vede l’ora di essere riabilitato e io gli ho suggerito che poteva raggiungere lo scopo dandoci una mano… Farò in modo che siate tenuto al corrente, in via amichevole.
— Grazie — rispose Montez. — E addio.
Con espressione ingrugnita, Neville dichiarò: — No, non mi piace.
— Perché è un Terragno? — Selene si tolse un peluzzo dal seno e lo esaminò attentamente tenendolo fra due dita. — Non è della mia camicetta. L’ho sempre detto io, che il sistema di depurazione dell’aria funziona male.
— Quel Denison non vale una cicca. Non è un para-fisico. Ha qualche nozione dilettantesca in materia — a quanto racconta — e, per dimostrare la sua competenza, tira fuori delle idee assurde.
— Quali, per esempio?
— Dice che la Pompa potrebbe far esplodere l’universo.
— Davvero?
— Proprio così… Oh, sono obiezioni che ho già sentito non so quante volte! Ma non si tratta solo di questo… E poi sono tutte assurdità.
— Forse la pensi così perché vorresti che non fossero vere.
— Non cominciare!
— Be’, cosa vuoi farne, di lui? — tornò alla carica lei dopo una breve pausa.
— Lo sistemerò in qualche laboratorio. Non varrà niente come scienziato, ma potrebbe esserci ugualmente utile. Deve essere abbastanza conosciuto, se il Commissario ha già conferito con lui.
— Lo so.
— Mi ha raccontato una romantica storia, secondo cui gli hanno rovinato la carriera, e ora vorrebbe riabilitarsi.
— Sul serio?
— Certo. Sono sicuro che ti piacerà, e del resto, se lo metti sull’argomento, sarà felice di raccontartela. Anche questo è un bene. Il Terrestre romantico che lavora sulla Luna a un progetto pazzesco costituirà un magnifico motivo di preoccupazione per il Commissario, e ci servirà da paravento. E chissà che, tramite suo, non si riesca a sapere qualche cosa di più di quello che succede sulla Terra… Perciò sarà meglio che tu continui a mostrarti cordiale con lui, Selene.
La risata di Selene risuonò stridula negli auricolari di Denison. La tuta spaziale in cui era infagottata nascondeva la sua figuretta.
— Avanti, Ben, venite — incitò. — Non c’è da aver paura. Oramai siete un veterano. È un mese che vivete sulla Luna.
— Ventotto giorni — borbottò Denison che si sentiva soffocare nella tuta.
— Un mese — insisté Selene. — C’era la mezzaterra quando siete arrivato, e adesso c’è di nuovo mezzaterra — e così dicendo indicò la curva luminosa della Terra nel cielo meridionale.
— D’accordo, ma aspettate. Qui in superficie non sono così bravo a cavarmela come di sotto… E se casco?
— Non succede proprio niente. La forza di gravità è minima, il pendio dolce e la tuta robusta. Se doveste perdere l’equilibrio, lasciatevi cadere e rotolare. Fra l’altro, è molto più divertente scendere a questo modo.
Ma Denison non era per niente tranquillo. La superficie della Luna si stendeva bellissima alla fredda luce della Terra, tutta una sinfonia di bianchi e di neri. Un bianco tenue e delicato in confronto a quello delle zone illuminate dal Sole che aveva visto una settimana prima durante una gita fatta allo scopo di visitare le batterie solari installate nel Mare Imbrium. Anche il nero era più tenue e morbido non essendovi il contrasto della cruda luce del giorno. Le stelle avevano uno splendore incomparabile, e la Terra era così invitante, con le sue pennellate di bianco e di azzurro, fra cui comparivano qua e là tratti marrone.
— Bene — disse Denison — vi secca se mi aggrappo a voi?
— No di certo. Del resto, non risaliremo fino alla sommità, ma percorreremo solo un tratto del pendio adatto ai principianti: cercate di stare al passo con me. Camminerò lentamente.
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