«Lei ha proprio ragione sull'alta marea, signorina Barbara,» disse Benjy, con voce gentile e allegra. «Arriva fin qui. Mai sentita una cosa simile.»
«Zitto, Benjy,» lo avvertì Hester. «Il signor K sta ancora dormendo.»
Barbara avrebbe voluto essere così fiduciosa, sulla propria sapienza, quanto sembrava esserlo Benjy. Controllò i due vecchi orologi da polso del vecchio KKK, che si era messa al polso… le due e dieci, dicevano… e l'ora per la seconda alta marea della giornata a Palm Beach, sul retro del foglio strappato dal calendario… l'una e quarantacinque. Ma un'alta marea che penetrava nell'interno non sarebbe stata più lenta che sulla costa? Almeno, le sembrava di ricordare che per i fiumi il ritardo esisteva. Non sapeva abbastanza, si disse.
Un'automobile aperta, che andava a una velocità doppia della loro, li sorpassò ruggendo, spruzzando la Rolls d'acqua. Continuò a filare come un proiettile, sollevando spruzzi d'acqua in ogni direzione. A bordo c'erano quattro uomini.
«Un altro maniaco della velocità,» brontolò Hester.
L'incontro svegliò il vecchio KKK, che guardò Barbara con occhietti arrossati e stanchi, che le parvero svegli per la prima volta, nel corso della giornata. Aveva attraversato il periodo dei preparativi e della partenza vera e propria in una specie di sopore ipnotico, che aveva preoccupato Barbara, ma non Hester. «Non ha dormito fino in fondo, ma starà benissimo,» le aveva detto Hester.
In quel momento, il signor K disse, bruscamente:
«Telefoni all'aeroporto, signorina Katz. Vogliamo due biglietti per Denver, con il primo aereo. Tripla tariffa per gli impiegati dell'ufficio prenotazioni, per il pilota, e per la compagnia aerea. Denver è a un miglio di altezza, lontano dalla portata di qualsiasi marea, e ho degli amici là.»
Barbara si voltò a guardarlo, spaventata, poi si limitò a indicare l'ambiente che li circondava.
«Oh, sì, adesso comincio a ricordare,» disse il milionario, lentamente, dopo un momento. «Ma perché non ha pensato all'aria, signorina Katz?» si lamentò guardando la borsetta nera della Black Ball Jetline che la ragazza teneva sulle ginocchia.
«Questa me l'ha prestata un'amica. Sono venuta con l'autostop, dai Bronx. Non vado spesso in aereo,» confessò, infelice, sentendosi ancor più infelice dentro. Ecco, lei era venuta a soccorrere così brillantemente il suo milionario… abbacinata da una sedan Rolls Royce… e aveva trascurato il metodo più ovvio per farlo, probabilmente condannandoli tutti. Santo cielo, perché lei non aveva pensato come un milionario?
In un angolo della mente, al di fuori dell'area dell'infelicità, lei si stava chiedendo se il vecchio KKK avesse fatto un piccolo sbaglio, nel menzionare solo due biglietti. Certamente aveva voluto dire cinque… be', lui parlava a Hester, a Helen e a Benjy come se fossero stati i suoi figli!
«Almeno abbiamo portato del denaro con noi?» le domandò seccamente.
«Oh, sì, signor Kettering, abbiamo preso tutto quello che c'era nella cassaforte dello studio,» gli assicurò Barbara, traendo un po' di conforto dallo spessore dei rotoli di banconote che poteva sentire, attraverso la stoffa della borsetta.
La Rolls stava rallentando. L'ultima automobile che li aveva sorpassati era bloccata, nell'erba alta, con il cofano semisommerso, e i quattro uomini che erano stati a bordo si trovavano nell'acqua fino al ginocchio, bloccavano la strada e gesticolavano.
Quella visione la galvanizzò.
«Non rallenti!» gridò, aggrappandosi allo schienale del sedile di Beniv. «Acceleri e vada diritto!»
Benjy rallentò ancora un poco.
«Fa' quello che ti dice la signorina Katz, Benjamin,» gli ordinò il vecchio K, con un'asprezza che gli fece pronunciare l'ultima parola insieme a un colpo di tosse… e l'ultima parola fu, «Svelto!»
Barbara poté vedere la testa di Benjy abbassarsi, le spalle alzarsi, e immaginò che i suoi occhi si socchiudessero, mentre il piede premeva il pedale dell'acceleratore.
I quattro uomini aspettarono, finché non si trovarono a due macchine di distanza, poi saltarono ai bordi della strada, mandando grida rabbiose. Non era stato un buon bluff.
Barbara si voltò, e vide uno di loro lottare con un altro, che aveva estratto la pistola.
Forse ho fatto una cosa sbagliata , pensò.
Col cavolo, che l'ho fatta!
Dai Davies era seduto sul bancone, osservava le sue vergini-candele versare le ultime bianche lacrime, il loro latte di vergine, con l'animo annerito che si rovesciava nelle pozze di cera e vi annegava. Gwen e Lucy erano andate, e anche Gwyneth, ora. Era una doppia perdita, perché lui aveva bisogno del loro semplice calore e della luce; il sole era tramontato, e l'oscurità limpida ma intensa si era posata pian piano sul gran prato grigio acquoso che era tutto ciò ch'egli poteva vedere attraverso i vetri sfaccettati della porta. Aveva sperato che un guizzo di luce gli giungesse dal lontano Galles, ma non era venuto.
La marea della Severn era entrata nel pub già da qualche tempo, ed era così alta, ora, che lui doveva sollevare i piedi. Due scope, uno straccio, un secchio, una cassa di sigari, e sette pezzi di legno galleggiavano intorno a lui, lentamente. Aveva pensato fuggevolmente di andar via, a un certo punto, e si era infilato due bottiglie nelle tasche, in vista di questa eventualità; ma poi aveva ricordato che quello era il terreno più alto che si trovasse intorno, per centinaia e centinaia di metri, e le candele erano state calde e gentili, e adesso lui aveva bevuto ancora, lo sapeva, aveva una nuova riserva d'alcool che per un poco lo avrebbe mantenuto leggero.
In ogni caso, era quello il luogo migliore per fare il Re Canuto sopra una bara di coccodrillo. Ancora cinque centimetri, e la marea si sarebbe fermata, e avrebbe cominciato a defluire, decise d'un tratto… e ordinò con voce potente all'acqua di farlo.
Dopotutto, all'una, o qualche minuto dopo, c'era stata la bassa marea, così ora doveva essere l'alta marea, o doveva mancarvi poco… se questo pazzo diluvio salato obbediva a qualcuna delle vecchie regole.
Annusò beatamente la bottiglia aperta che teneva in mano… importata dall'America, Kentucky Tavern di Erskine Caldwell… e guardò Eliza rabbrividire e spegnersi e poi, d'un tratto, sprizzare fiamma azzurrina e vivida.
Le finestrelle bordate di piombo si gonfiarono, per un nuovo afflusso della marea. L'acqua penetrava dal buco che aveva aperto nella porta. Poi sentì chiaramente il bancone, sotto di lui, muoversi un poco… anzi, era l'intero edificio a muoversi. Bevve un lungo sorso, e gridò, ridendo, «Una volta tanto è la taverna a ballare, e non Dai!» Poi fu pervaso da un'immensa serietà, e finalmente capì con esattezza quello che stava accadendo, e gridò, con selvaggio orgoglio, «Muori, Davies! Muori! Guadagnati il tuo nome. Ma muori gloriosamente. Muori, con una bottiglia di whisky in mano, cantando il tuo amore per la lontana Cardiff. Ma…» E poi, vincendo per la prima volta nella sua vita la strisciante gelosia per Dylan Thomas… «Non addentrarti quieto in quella buona notte. Infuria, infuria, contro il morire della luce.»
E in quel momento, mentre Eliza si spegneva in un ultimo guizzo, e l'ultima goccia di luce perlacea parve smorire su tutta la grigia pianura della Severn, si udì bussare con forza alla porta, un battito pesante, lento, triplo e autoritario.
Un terrore soprannaturale s'impadronì di lui, e gli diede la forza di muoversi, vincendo la forza del whisky, di calarsi nell'acqua gelida e guazzare in essa, immerso fino alla cintola, per aprire la porta. Là, appena fuori, premuto contro la porta dalla corrente, egli vide, alla luce morente di Mary e Jane e Leonie un piccolo scafo lungo, nero e vuoto.
Ritornò pesantemente al bancone, e l'acqua era un ostacolo ma anche un supporto, per lui; prese tre bottiglie nuove, stringendole nell'incavo del braccio, e, tornando indietro, raccolse le due scope galleggianti.
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