Fritz Leiber - Novilunio

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Perduta in uno spazio brulicante di stelle, sola in una nera giungla di vuoto cosmico, la Terra ha sognato per migliaia d'anni la propria solitudine. Come in una grande casa abitata da vecchi abitudinari, nella quale nessuno viene mai a rendere visita, così gli abitanti della Terra pensano che nessuno possa venirli a trovare da quel nero abisso scintillante di punti luminosi che splende sopra le nostre teste, di notte.
Come la Luna è stata una fedele compagna della Terra nella sua solitudine celeste, così le stelle sono state soltanto immagini remote, indistinte, piccole fiamme sospese nel cielo, inaccessibili e straniere e incorporee. Ma un giorno qualche viaggiatore, lasciando la strada lontana, potrebbe venire a bussare alla porta della vecchia casa; un giorno qualcosa potrebbe avvicinarsi, strisciando, nella giungla nera degli spazi cosmici. Quel giorno potrebbe essere vicino, in un cosmo dove le forze del tempo e del caso si muovono secondo schemi che la mente umana non riesce neppure a intuire. E cosa accadrebbe, se uno dei punti luminosi nel cielo… una delle stelle lontane… apparisse d'un tratto enorme, come un globo sanguigno e minaccioso, nei cieli notturni della Terra? Se la fedele compagna delnostro pianeta, la Luna, fosse risucchiata e cancellata dal cielo? Inizierebbe allora una lunga, infinita notte di novilunio. Un grande cielo color ardesia, dove le stelle brillano rade e fievoli, sopra coste battute da gigantesche maree, tra grandi cataclismi ed eventi ancor più bizzarri, una notte di novilunio che opera strani prodigi sulla mente e sul cuore degli uomini, facendo emergere tutto ciò che di migliore, e di peggiore, di nobile, e di volgare, costituisce l'essenza della natura umana. In questa notte di novilunio, forse il genere umano comincerebbe a conoscere se stesso…
Vincitore del premio Hugo per il miglior romanzo in 1965.

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«C'è qualcosa per radio, con le notizie sulla marea?» gridò questa apparizione all'oste. «Mancano due ore alla bassa marea, e il Canale si sta abbassando come non l'ho mai visto, parola mia! Venite, venite a dare un'occhiata anche voi. Se continua così, un uomo potrà camminare su tutta la costa a mezzogiorno, e un'ora dopo il Canale sarà quasi in secca!»

«Bene!» gridò a gran voce Dai, permettendo all'oste di portargli via il bicchiere e la bottiglia e appoggiandosi a braccia larghe al bancone, mentre gli altri si muovevano con aria curiosa e impaurita verso la porta. «Allora io andrò a piedi, per le cinque miglia di sabbia della Severn, e ritornerò nel Galles, liberandomi di voi del Somerset, smidollati che non siete altro. Perdio, lo farò!»

«E buona passeggiata,» borbottò forte qualcuno, mentre un buontempone aggiungeva, «Se è questa la sua intenzione, le consiglio di andare a est, descrivendo un giro completo… e dovrà percorrere più di cinque miglia, almeno il doppio. Andando diritto, amico, troverà Monmouth, non il Galles.»

«Per me Monmouth è ancora gallese, e maledizione all'Intesa del 1535,» rispose Dai, appoggiando il mento al bancone. «Oh, andate, andate tutti a spalancare la bocca e gli occhi di fronte a questo prodigio delle acque. Io vi dico che gli Yankee, dopo avere rotto e incatenato la luna, ora ci stanno rubando anche l'oceano.»

Il generale Spike Stevens esclamò:

«Chiama il Relé di Natale, Jimmy! Informali che anche la loro immagine comincia a confondersi.»

Gli osservatori nella sala sotterranea erano raggruppati di fronte allo schermo di destra, ignorando l'altro, che ormai da più di un'ora non era altro che un indecifrabile groviglio di disturbi.

L'immagine che veniva dal satellite sopra l'Isola di Natale mostrava il Vagabondo, con la faccia-bersaglio, e con la Luna che stava lentamente scomparendo dietro di esso, ma sia il pianeta che la luna danzavano, si gonfiavano e si distorcevano, mano a mano che le distorsioni elettroniche invadevano lo schermo.

«Ho tentato, generale, ma non riesco a ottenere risposta,» rispose il capitano James Kidley. «La radio e le onde corte sono andate. Le ultracorte se ne stanno andando… ogni tipo di comunicazione che non sia per cavo o per guida d'onda. E anche queste…»

«Ma noi siamo un quartier generale!»

«Mi dispiace, generale, ma…»

«Chiamami il Primo Comando!»

«Generale, loro non…»

Ci fu una forte vibrazione, che veniva dal pavimento, e si udì un rumore crepitante. Le luci ondeggiarono, si spensero, si riaccesero. La sala sotterranea cominciò a ballare. Dei frammenti d'intonaco caddero. Ancora una volta, le luci si spensero… tutte, a eccezione del pallido chiarore dello schermo dell'Isola di Natale.

Bruscamente, la tremolante immagine astronomica sullo schermo fu sostituita dal profilo di una grossa testa felina, con le orecchie a punta e le fauci sorridenti. Sembrava che, lassù, su quel satellite automatico a 23.000 miglia di quota sul Pacifico, una tigre nera avesse guardato con curiosità il telescopio. Per un momento, l'immagine rimase. Poi tremolò, e lo schermo si spense.

«Signore Iddio, cos'era quello?» urlò il generale, nel buio fitto.

«L'hai visto anche tu?» domandò il colonnello Mabel Wallingford. La domanda della donna fu sottolineata da una risata, per metà isterica, per metà esultante.

«Fa' silenzio, stupida cagna!» urlò il generale. «Jimmy?»

«È stata una distorsione casuale.» La voce del giovane ufficiale giunse un po' scossa, dalle fitte tenebre. «Un effetto illusorio. Non potrebbe trattarsi di…»

«Silenzio!» gridò il colonnello Willard Griswold, rivolgendosi a tutti e tre. «Ascoltate!»

Lo sentirono tutti; il rumore di acqua che gorgogliava e avanzava.

A bordo della Principe Carlo , l'agonia delle comunicazioni radio fu particolarmente avvertita.

Senza distinzioni, i ribelli che ora controllavano il transatlantico di lusso, e anche i membri dell'equipaggio fedeli, usando una trasmittente, cercarono inutilmente di trasmettere messaggi sul grande colpo, il primo gruppo indirizzando il messaggio ai suoi capi rivoluzionari, l'altro gruppo alla Marina Britannica. E Wolf Loner, tremila miglia più a nord, stava riflettendo su quanto era bello essere senza giornali e senza radio… provava un certo rammarico, davvero, al pensiero che lui e la sua imbarcazione avrebbero raggiunto Boston troppo presto.

Il campo magnetico del Vagabondo, assai più forte di quello della Terra, era sgorgato dallo spazio con la stessa rapidità del campo gravitazionale, influenzando quasi istantaneamete gli strumenti sensibili a esso. Ma oltre a questa influenza magnetica che pervadeva ogni cosa, c'erano ben più strane influenze dirette che sgorgavano dal Vagabondo, e colpivano il lato della Terra che si trovava di fronte al pianeta. Questi influssi cosmici squarciarono le fasce di Van Allen, e calarono sulla Terra in una raffica paurosa di protoni e di elettroni.

Queste potentissime influenze dirette vennero grandemente intensificate quando la Luna entrò in orbita intorno al Vagabondo, e cominciò a frantumarsi. Esse produssero una forte ionizzazione e altri, più sottili effetti, dei quali il primo risultato percettibile fu quello di rendere impossibile, nella stratosfera e anche nella più bassa atmosfera della Terra, qualsiasi comunicazione elettromagnetica.

Mentre la Prima Notte del Vagabondo avanzava verso ovest, girando intorno al mondo… o piuttosto, mentre il mondo ruotava verso oriente per entrare nella notte, questo avvelenamento del cielo per le onde radio si propagava all'intero globo, dando un enorme contributo alla nebbia della catastrofe che isolava nazione da nazione, città da città e, infine, avrebbe isolato ogni mente dalle altre menti.

CAPITOLO XVII

Mentre l'équipe chirurgica — stranamente assortita, per la verità — formata da Doc, Rama Joan e Bacchetto, si preparava a curare la gamba di Ray Hanks, Clarence Dodd guidò il resto degli uomini in una spedizione fino alle auto sepolte. Con la spinta combinata di tre o quattro uomini alla partenza, il camioncino si mise in moto abbastanza facilmente, nella sabbia, ma tendeva a fermarsi quando tutti tentavano di salire a bordo; così Hixon, l'Omino e il giovane Harry McHeath andarono in macchina, mentre Paul, Hunter e Wojtowicz si misero in cammino per raggiungerli alla frana.

Quando furono quasi arrivati, videro tornare indietro McHeath, che correva portando cerotti, garze e altri oggetti presi dalla valigetta di pronto soccorso di Dodd.

«Non sforzarti troppo, ragazzo,» gli gridò Wojtowicz. «A questo ritmo si fanno i quattrocento metri, non i cinquemila!»

«Quel ragazzo tende a strafare,» disse poi a Paul. «Ne sono responsabile verso le due zie, benché siano due vecchie dame arroganti che non vi raccomando!»

Dopo il breve esodo, aiutarono Dodd e Bill Hixon a scaricare, dal retro del camioncino di Dodd, e a trasferire sul veicolo funzionante, un formidabile assortimento di provviste, equipaggiamenti e oggetti pratici, tra i quali erano compresi scatole di cibo e di birra, coperte, due giacche di cuoio, una piccola tenda, stufetta a carbone, lampade a kerosene, e binocoli da campo… che vennero istantaneamente usati per guardare il Vagabondo, con scarsi risultati: infatti le lenti si limitarono a dilatare le chiazze purpuree e dorate. I binocoli permisero però di osservare con agghiacciante chiarezza gli enormi crepacci sulla superficie schiacciata, ellittica della Luna; l'ampiezza di quelle voragini divenne ancor più spaventosamente comprensibile.

Poi, dal veicolo di Dodd, scaturirono due machetes (Nel vederli, Paul ridacchiò per il romanticismo avventuroso di quegli oggetti) e due fucili con relative munizioni. Infine, tre latte da cinque galloni, e un lungo tubo, che usarono per trasferire la benzina dal serbatoio delle auto sepolte in quello del camioncino, e per ottenere una riserva di quindici galloni.

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