«Le frane continuavano, ma siamo riusciti ad aggirarle. Ora avremmo voluto incontrare delle auto sulla strada, ma non c'era nessuno. Bill si è fermato a un posto telefonico, ma era muto, e la luce, nella cabina, si è spenta proprio mentre lui cercava di captare un segnale. La radio era soltanto una bailamme di scariche di statica. L'unica parola che, apparentemente, riuscivamo a captare, tra le scariche, era fuoco! Ray e io continuavamo a urlare a Bill di andare più in fretta e più adagio.
«Abbiamo superato lo svincolo, qui vicino, ma dopo un quarto di miglio la strada era bloccata da un'altra frana, non un'anima in vista, nemmeno una luce… a parte quella maledetta cosa lassù. Siamo tornati qui. Non c'era alcun posto in cui andare, altrimenti.»
Respirò profondamente. Doc domandò:
«E quelle piccole strade che attraversano le montagne di Santa Monica? E in particolare, cosa ne è stato della Collinare di Santa Monica?»
«Piccole strade?» La signora Hixon lo guardò, pensierosa e stupita, poi cominciò a ridere e a singhiozzare nello stesso tempo. «Maledetto, stupido pezzo d'idiota, quelle montagne sono state agitate come un covone di fieno!» La risata diventò incontrollabile. Doc le mise le mani sulla bocca. Lei si dibatté selvaggiamente per un momento, poi abbassò il capo, afflosciandosi. Wanda e la donna magra vennero ad aiutare Doc, e accompagnarono la signora Hixon più avanti, sulla piattaforma. Rama Joan le seguì, dopo aver chiesto a Margo di prendere il suo posto, come guanciale per Ann, che stava osservando, attenta come un topolino.
Paul disse a Doc:
«Mi sorprende che non ci fossero delle altre automobili intrappolate in quel pezzo di autostrada. Sembra una cosa innaturale.»
«Probabilmente sono passate prima delle precedenti frane, quelle più leggere,» disse Doc. «E le stesse frane avrebbero impedito il passaggio alle auto successive, che avessero voluto percorrere la strada. Eppure, malgrado tutto quello che ha detto, io penso che alcuni siano riusciti a sfuggire al terremoto, prendendo la Collinare di Santa Monica.»
Hunter chiamò:
«Scendete, voialtri, e portate una branda. Dobbiamo far scendere Ray dal camioncino, in modo che qualcuno salga a bordo e raggiunga le nostre automobili.»
Tremanti, senza fiato e barcollanti per la folle corsa attraverso i grattacieli, Arab, Pepe e 'High' imboccarono la 125 aStrada, dirigendosi a est, provando inizialmente un senso di maggiore confidenza, essendo entrati nel corridoio della loro amichevole, familiare casa afro-latina.
Ma i marciapiedi, gremiti di folla appena due ore prima, adesso erano vuoti e deserti. Solo una grande confusione di bicchieri e borse di carta, bottigliette vuote e fiaschette da mezza pinta testimoniava che le moltitudini di poco prima erano esistite davvero. Nessuna automobile si muoveva nelle strade, benché qua e là si vedessero delle auto parcheggiate a casaccio, e vuote… due avevano il motore acceso, e il fumo azzurrino usciva dai tubi di scappamento.
I fratelli di viaggio dovettero proteggere gli occhi dal riverbero del sole, quando guardarono a est, cercando qualche segno di vita all'orizzonte; ma a perdita d'occhio si vedeva lo stesso abbandono, la stessa immobilità predominava in tutte le strade laterali che portavano nel cuore di Harlem.
I soli suoni, dapprima, oltre a quelli dei loro passi e dei motori accesi, furono i profluvi sepolcrali di parole che uscivano da radio invisibili, e avevano un suono orribilmente importante, a giudicare dal tono; ma le parole erano incomprensibili, a causa delle continue scariche di statica e della lontananza… e soffocate com'erano dall'eccitato e ugualmente incomprensibile richiamo di sirene e di clacson, lontano.
«Dove sono finiti tutti?» bisbigliò 'High'.
«Attacco atomico,» affermò Pepe. «La Russia ha mandato i fuochi d'artificio. Tutti sono nascosti in cantina. Anche noi dobbiamo andare.» Poi, con un tremito nella voce, «La palla di fuoco si sta sollevando dal fiume.»
«No!» lo contraddisse gentilmente Arab. «Mentre noi eravamo al fiume, la Resurrezione è venuta e finita. I vecchi padri predicatori avevano ragione, dopotutto. Tutti sono stati presi… non c'è stato tempo per fermare i motori e spegnere le radio. Noi siamo gli unici rimasti.»
Si presero per mano e proseguirono in punta di piedi, per soffocare il suono dei loro passi, e avanzarono colmi di terrore.
Sally Harris e Jake Lesher uscirono in punta di piedi dalla piccola scatola di alluminio che li aveva portati per gli ultimi tre piani. Davanti ai loro occhi c'era penombra, con dei riflessi che coloravano un grande pianoforte. Sotto i loro piedi c'era un folto, soffice tappeto.
Sally mandò un sommesso grido di evviva. Con un lungo sospiro, la porta dietro di loro cominciò a scorrere, ma Sally la fermò, e la bloccò con un tavolino che reggeva un vassoio d'argento.
«Cosa tenti di fare?» domandò Jake.
«Non lo so,» disse lei. «Sentiremo il cicalino, se qualcun altro vorrà entrare. Vieni.»
«Aspetta un momento,» disse Jake. «Sei sicura che Hasseltine non sia in casa?»
Sally si strinse nelle spalle.
«Darò un'occhiata, mentre tu saccheggi il frigorifero. Avanti, non hai anche tu una specie di voragine al posto dello stomaco?»
Lo guidò silenziosamente verso la cucina.
Dai Davies ascoltò, con crudele divertimento, le misteriose notizie sul Vagabondo che giungevao per radio, nel piccolo pub sulla riva della Severn, vicino a Portishead, dove era andato, dopo un riposo di due ore, a bere qualche bicchiere del mattino. Di quando in quando, ampliava le notizie con sfoghi di fantasia, per l'edificazione e la soddisfazione dei suoi compagni bevitori, che parevano non apprezzare eccessivamente la cosa:
«Color porpora e ambra, eh? Questo è un grande cartellone pubblicitario che gli americani hanno dipinto su una stella, gente, per pubblicizzare un nuovo succo di frutta e una marca di birra denaturata!» e, «È un super-pallone sovietico, un sacro messaggero, ragazzi, mandato sulla Chicago senza legge per inondare il cuore della patria degli Yankee con una pioggia di copie preziose del santo Manifesto di Marx!»
Le notizie giungevano attraverso il cavo transatlantico, diceva lo sprezzante annunciatore… delle tempeste magnetiche di straordinaria intensità avevano reso impossibile le comunicazioni radio con l'occidente. Dai avrebbe voluto più di ogni altra cosa che Dick Hillary fosse stato con lui… questo delizioso nonsenso era proprio il genere di cosa che avrebbe fatto guaire quel nemico indefesso del volo spaziale e dei romanzi spaziali; inoltre, sarebbe stato un pubblico assai più degno e soddisfacente, per il raro ingegno di un poeta gallese, di quei pessimi bevitori del Somerset.
Ma quando, dopo altri due bicchieri colmi fino all'orlo, le notizie radio cominciarono a comprendere dei rapporti su una luna frantumata e catturata… l'annunciatore aveva un tono ancor più di derisione, ma adesso c'era una nota nervosa, nella sua voce, quasi isterica… l'umore di Dai cambiò bruscamente, e quando gridò nella sua voce c'era emozione da ubriaco, più che ingegno di poeta:
«Rubare la nostra luna, quei dannati Yankee non sono capaci d'altro! Non sanno che Mona appartiene al Galles? E se le fanno del male, noi nuoteremo fino a Manhattan, e li faremo a pezzi, non è vero, miei cari?»
Questo grido incontrò una serie di risposte: «Fa' silenzio, stupido, sta ancora parlando,» «Un gallese che parla a vanvera.» «Sbronzo, direi.» Basta così, lei è ubriaco,» quest'ultima dichiarazione veniva dall'oste.
«Vigliacchi del Somerset!» rispose forte Dai, sollevando il bicchiere come se fosse stato un'arma. «E se non mi seguite, vi inseguirò io, e vi pesterò fino a farvi diventare viola!»
La porta a vetri si spalancò, e una figura dagli occhi bianchi, che sembrava uno spaventapasseri dal lungo impermeabile e dal cappello impermeabile a tesa larga li fronteggiò, sullo sfondo della nebbia esterna.
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