Il colonnello Mabel Wallingford, rabbrividendo nell'atmosfera elettrica della sala sotterranea, ebbe un pensiero improvviso: E se non fosse stato un problema? Spike non sarebbe stato capace di affrontarlo, in questo caso. E pensò, ancora, In questo caso, io gli avrei dato la sua piccola vittoria, e gliela vedrei portare via!
Margo Gelhorn sentì che una delle donne diceva:
«Aspetta ancora prima di alzarti, Charlie.» Bacchetto era disteso tra le sue braccia, e stava fissando con grande serenità il Vagabondo, con un debole, remoto sorriso sulle labbra.
Impulsivamente, Margo si avvicinò. Anche Rama Joan lo fece, tenendo stretto automaticamente il capo penzolante del suo turbante verde.
«Ispan,» disse debolmente l'uomo allampanato. «Oh, Ispan, come ho potuto non riconoscerti? Immagino di non avere mai pensato a questo tuo volto.» Poi, con voce più alta, «Ispan, mondo di porpora e d'oro, Ispan, il Pianeta Imperiale.»
«Ispan,» disse l'Omino, senza emozione, continuando a scrivere a macchina.
«Charlie Fulby, vecchio bugiardo,» disse Rama Joan, quasi con tenerezza. «Perché continui questa commedia? Sai benissimo di non avere mai messo piede su un altro pianeta in tutta la tua vita.»
La donna lanciò un'occhiata infuocata, ma Bacchetto sollevò lo sguardo, fissando senza rancore la donna dal turbante verde.
«Non in carne e ossa, non col mio corpo, no, questo è verissimo, Rama,» disse. «Ma li ho visitati per anni e anni, nei miei pensieri. Sono sicuro della loro realtà, come Piatone era sicuro della realtà degli universali e come Euclide era sicuro della realtà dell'infinito. Ispan e Arietta e Brina devono esistere , proprio come Dio. Io lo so. Ma per far comprendere questo alla gente, nella nostra epoca materialistica, ho dovuto fingere di averli visitati fisicamente.»
«E perché adesso abbandoni la finzione?» lo incoraggiò gentilmente Rama Joan, come se già avesse conosciuto la risposta.
«Ora nessuno ha più bisogno di fingere,» disse sommessamente Bacchetto. «Ispan è qui.»
L'Omino fece uscire il foglio dal rullo della macchina per scrivere, lo infilò in un cartone a molletta, salì sul palco, e batté sul tavolo per richiamare l'attenzione.
Leggendo il foglio, annunciò:
«Dopo il luogo, data, ora e minuto, ho scritto: Noi sottoscritti abbiamo visto un oggetto circolare nel cielo, vicino alla Luna. Il suo diametro apparente era di quattro volte superiore a quello della Luna. Le sue due metà erano color porpora e oro, e assomigliavano a un Yin-Yang, o all'immagine speculare del numero sessantanove. Esso emetteva luce sufficiente a leggere correntemente e ha mantenuto il medesimo aspetto per almeno 20 minuti. Qualche correzione? Benissimo, lo farò circolare tra i presenti, pregandoli di firmare in caratteri chiari quanto è stato dichiarato. Desidero anche i vostri indirizzi.»
Qualcuno brontolò, ma Doc chiamò, dal punto in cui si trovava sulla sabbia:
«Benissimo così, adesso agli atti!» L'Omino presentò il suo foglio alle due donne più vicine a lui. Una ridacchiò istericamente, l'altra prese la penna e firmò.
Paul chiamò Doc:
«È già riuscito a notare qualche movimento?»
«No, non posso ancora essere sicuro di niente,» fu la risposta di Doc, che si rialzò con prudenza, come se non volesse disturbare l'ombrello infilato profondamente nella sabbia. «Certamente possiamo escludere l'ipotesi dell'orbita vicina alla Terra.» Si issò nuovamente sul palco. «C'è nessuno, qui, che abbia un piccolo telescopio o un cannocchiale?» domandò, senza troppa speranza. «O un binocolo da teatro?» Aspettò ancora un momento, poi si strinse nelle spalle. «Proprio degno di loro,» disse a Paul, togliendosi gli occhiali e pulendoli con un pezzetto di stoffa. «Che branco di orecchianti.»
Il viso di Hunter s'illuminò.
«C'è qualcuno, qui, che abbia una radio ?» gridò.
«Io,» disse la donna magra, seduta sulla piattaforma accanto a Bacchetto.
«Bene, allora cerchi una stazione che trasmetta dei notiziari,» le disse Hunter.
«Cercherò di prendere la KFAC… trasmettono musica classica, con regolari bollettini sul traffico e giornali radio.»
Il commento di Hunter fu:
«Se l'hanno avvistato anche a New York o a Buenos Aires, saremo sicuri che deve trovarsi molto in alto.»
Margo stava contemplando di nuovo il Vagabondo, quando qualcuno le tirò il gomito, quello della mano che non teneva la gatta. L'Omino le disse, in tono cortese:
«Mi chiamo Clarence Dodd. Lei è…?»
«Margo Gelhorn,» rispose lei. «Quell'enorme bestione è il suo cane, signor Dodd?»
«Sì, infatti,» le disse in fretta, con un sorriso smagliante. «Posso avere la sua firma su questo documento?»
«Oh, per favore!» disse lei in tono acido, sollevando di nuovo lo sguardo in direzione del Vagabondo.
«Se ne pentirà,» le assicurò pacificamente l'Omino. «L'unica volta che io ho visto un disco plausibile, ho trascurato di procurarmi delle dichiarazioni firmate da parte delle quattro persone che si trovavano in auto con me. Una settimana dopo, dicevano tutti che si trattava probabilmente di qualcos'altro.»
Margo si strinse nelle spalle, poi andò fino al margine della piattaforma e disse:
«Paul, mi sembra che la metà purpurea si stia facendo più piccola, e c'è una striatura purpurea laggiù, al bordo esterno della metà gialla, che prima non si vedeva.»
«Ha ragione,» confermarono diverse persone. Doc cercò gli occhiali, ma prima di poter parlare, fu preceduto da Hunter.
« Sta ruotando. Deve essere una sfera!»
Improvvisamente il Vagabondo, che Paul aveva visto come una superficie piatta, parve arrotondarsi. C'era qualcosa di strano, d'indescrivibilmente misterioso nell'altra faccia nascosta, e totalmente ignota, che lentamente stava apparendo.
Doc sollevò una mano.
«Sta ruotando verso est,» asserì. «Cioè, questa sua parte… la qual cosa significa che la sua rotazione è retrograda rispetto alla Terra e a quasi tutti gli altri pianeti del sistema solare.»
«Dio mio, Bill, adesso dobbiamo subire anche delle lezioni di astronomia,» bisbigliò con voce bassa e sarcastica la donna in grigio all'uomo che le stava accanto.
La radiolina della donna magra si fece udire, molto debolmente, a eccezione delle forti scariche di statica. La musica che essa trasmetteva aveva un ritmo galoppante, travolgente. Dopo un momento, Paul riconobbe la 'Cavalcata delle Valchirie' di Wagner, che risuonava, là nella grande spiaggia all'aperto, come se a suonarla fosse stata un'orchestra di topi.
Don Merrian era già a metà strada dalla Capanna, e i suoi stivali sollevavano nubi di polvere lunare, mentre egli procedeva cautamente nella pianura sempre più illuminata, quando la voce di Johannsen risuonò al suo orecchio. Egli si fermò.
Johannsen disse:
«Ascolta, Don. Tu non devi rientrare nella Capanna. Devi salire a bordo della Nave Uno, e prepararti a un decollo solitario.»
Don soppresse l'impulso di protestare, di esclamare, «Ma, Yo…»
L'altro ridacchiò, approvando il suo silenzio, e proseguì:
«So che non le abbiamo mai guidate in volo solitario, se non nei voli di addestramento o nelle simulazioni, ma questi sono gli ordini che giungono dai pezzi grossi. Dufresne ha già indossato la tuta. Ti seguirà a bordo della Nave Due. Io sarò a bordo del Baba Yaga Tre, per fare da relé a Gompert alla Base, e lui ritrasmetterà al Quartier Generale sulla Terra. Tu e Dufresne dovrete decollare non appena riceverete il via. Dovrete compiere una ricognizione: tu dell'emisfero settentrionale, e lui di quello meridionale, dell'oggetto nascosto dietro la Luna che sta producendo la luce gialla e purpurea. È difficile crederlo, ma il Quartier Generale della Terra dice che si tratta di un…»
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