Daeman si svegliò a metà mattino del terzo giorno. Ada era seduta sul bordo del letto (il letto dove era solita dormire, risultò) e Odisseo, a braccia conserte, se ne stava appoggiato allo stipite della porta.
«Bentornato, Daeman Uhr » disse piano Ada.
«Grazie, Ada Uhr » rispose Daeman. Aveva la voce rauca e l’impressione d’avere usato una spropositata quantità di energie solo per gracchiare tre parole. «Harman? Hannah?»
«Stanno meglio tutt’e due» lo tranquillizzò Ada. Daeman non aveva mai notato quanto fosse perfetto il colore verde dei suoi occhi. «Harman si è alzato dal letto e stamattina è giù a fare colazione» riprese Ada. «Hannah impara di nuovo a camminare. In questo momento è sul prato, al sole.»
Daeman annuì e chiuse gli occhi. Aveva l’impellente stimolo di tenerli chiusi e di tornare alla deriva nei sogni e nel sonno. Lì soffriva meno: ora sentiva il braccio destro dolergli e bruciargli terribilmente. Aprì gli occhi di scatto e scostò le coperte, con la tremenda certezza che glielo avessero amputato mentre dormiva e che quindi il suo era un dolore fantasma di un arto fantasma.
Il braccio era rosso, gonfio, segnato da cicatrici, ma tutto intero e la ferita causata dai terribili denti di Calibano era stata ricucita con filo grosso. Daeman provò ad alzare il braccio, a muovere le dita. Ansimò per il dolore, ma vide che le dita si erano mosse, che il braccio si era alzato di qualche centimetro. Lo lasciò ricadere sul lenzuolo e rimase per un poco ad ansimare. «Chi è stato?» disse un attimo dopo. «A ricucirmi. Un servitore?»
Odisseo si avvicinò al letto. «Ti ho ricucito io.»
«I servitori non funzionano più» disse Ada. «Da nessuna parte. I nodi fax sono ancora attivi, così abbiamo notizie dagli altri posti. Servitori fuori servizio, voynix spariti.»
Daeman aggrottò la fronte, sforzandosi di capire, senza riuscirci. Entrò Harman, appoggiandosi a un bastone da passeggio. Non si era tagliato la barba, che però pareva regolata di fresco. Si accomodò su una sedia accanto al letto e strinse il braccio sinistro di Daeman. Questi chiuse gli occhi per un minuto e si limitò a restituirgli la stretta. Quando li riaprì, li sentì umidi. "Stanchezza" pensò.
«La tempesta di meteoriti si sta calmando» disse Harman. «Ogni sera è un po’ meno violenta. Ma ci sono state vittime. Solo a Ulanbat sono morte più di cento persone.»
«Morte?» ripeté Daeman. Da lungo, lungo tempo la parola non aveva più un significato reale.
«Dovete imparare da zero tutto ciò che riguarda i funerali» disse Odisseo. «Non potete più faxarvi a una felice eternità come post-umani immortali negli anelli equatoriale e polare. La gente seppellisce i propri morti e cerca di curare i feriti.»
«Cratere Parigi?» riuscì a chiedere Daeman. «Mia madre?»
«Sta bene» disse Ada. «Quella città non è stata colpita. Abbiamo messaggeri che portano notizie ogni giorno. Tua madre ha mandato una lettera, Daeman. Ha paura di faxarsi, finché le cose non si saranno sistemate. Un mucchio di gente ha paura. Senza servitori e voynix, senza corrente, molti rinunciano a viaggiare, se non è assolutamente necessario.»
Daeman annuì. «Come mai non c’è corrente e i nodi fax funzionano ancora? Dove sono i voynix? Che cosa sta succedendo?»
«Non lo sappiamo» rispose Harman. «Ma la pioggia di meteoriti non è… come l’ha chiamato, Prospero?… un evento di estinzione della specie. Di questo dobbiamo rallegrarci.»
«Sì» disse Daeman, ma in realtà pensò: "Allora Prospero e Calibano e la morte di Savi erano reali… non era tutto un sogno?". Mosse di nuovo il braccio destro e il dolore rispose alla sua domanda.
Entrò Hannah, vestita di una semplice camicia da notte bianca. Pareva avere una leggera peluria sul cuoio capelluto. La sua faccia sembrava più umana e più viva sotto tutti gli aspetti.
La ragazza si accostò a Daeman, attenta a non toccargli il braccio, e si chinò a baciarlo con fermezza sulle labbra. «Grazie, Daeman, grazie» disse. Gli porse un piccolo nontiscordardimé raccolto nel prato. Daeman lo prese con impaccio nella sinistra.
«Di niente» disse. «Mi è piaciuto, il bacio.» Era sincero. Come se lui, Daeman, il più zelante tombeur de femmes del mondo, non fosse mai stato baciato prima.
«Ecco una cosa interessante» disse Hannah, svolgendo un lino che teneva nell’altra mano. «L’ho trovato giù, accanto al vecchio tavolo di quercia. Non funziona più. Ne ho provati altri due. Niente. Anche i lini hanno smesso di funzionare.»
«Forse la battaglia fra greci e troiani si è conclusa» disse Harman. Si mise sulla fronte il lino con il ricamo di microcircuiti e poi lo gettò da parte. «Forse la storia del lino è terminata.»
Odisseo, che guardava dalla finestra il cielo azzurro e il prato verde, si girò verso gli altri. «Non credo» disse. «Penso che la vera guerra sia appena iniziata.»
«Sai qualcosa del dramma?» chiese Hannah. «Mi pareva che avessi detto di non avere mai usato il lino.»
Odisseo si strinse nelle spalle. «Savi e io abbiamo distribuito i lini quasi dieci anni fa. Ho portato il prototipo da… da molto lontano.»
«Perché?» chiese Daeman.
Odisseo aprì la mano. «La guerra stava per iniziare. Gli esseri umani qui sulla Terra dovevano imparare qualcosa sulla guerra, il suo terrore e la sua bellezza. E dovevano imparare qualcosa su quei personaggi della storia… Achille, Ettore, gli altri. Perfino me.»
«Perché?» chiese Hannah.
«Perché la guerra sta per arrivare davvero» rispose Odisseo.
«Noi non siamo parte in causa» ribatté Ada.
Odisseo incrociò le braccia. «Lo sarete. Ancora non siete in prima linea, ma la battaglia viene da questa parte. Entrerete in questo conflitto, lo vogliate o no.»
«Come possiamo entrarvi?» chiese Ada. «Non sappiamo combattere. E non vogliamo nemmeno imparare.»
«Una sessantina di ragazzi e ragazze, quelli che si sono trattenuti qui, avranno qualche nozione sul modo di combattere, nel giro di qualche settimana» disse Odisseo. «Toccherà a loro decidere se combattere o no, quando giungerà il momento. Come succede sempre.» Indicò Harman. «Che tu ci creda o no, il sonie può essere riparato. Ci ho lavorato sopra e dovrei riuscire a farlo volare fra una settimana o dieci giorni.»
«Non voglio vedere combattimenti» disse Ada. «Non voglio trovarmi in una guerra.»
«No» disse Odisseo. «Hai il diritto di non combattere.»
Ada chinò il viso, come per resistere alle lacrime. Quando mise sul letto la mano chiusa a pugno, Daeman accostò le dita a quelle di lei e le passò il nontiscordardimé di Hannah. Poi si lasciò scivolare nel sonno.
Si svegliò nel buio rischiarato dalla luna e scorse una figura seduta lì accanto. "Calibano!" pensò. D’istinto alzò il braccio destro, chiudendo il pugno, e per il dolore vide le stelle.
«Calma» disse Harman, chinandosi a sistemargli il braccio bendato. «Calma, Daeman.»
Daeman ansimava, cercando di non vomitare per il dolore. «Pensavo che tu fossi…»
«Lo so, lo so» disse Harman.
Daeman si tirò a sedere. «Credi che lui sia morto?»
Harman scosse la testa. «Non lo so. Mi sono posto domande, ho riflettuto su di lui. Su tutt’e due.»
«Su tutt’e due? Anche su Savi, vuoi dire?»
«No… cioè, sì, a Savi penso molto… ma mi riferivo a Prospero. L’ologramma di Prospero ha detto di essere solo un’eco dell’ombra o una cosa del genere.»
«Che ne pensi?»
«Pensò che fosse davvero Prospero» mormorò Harman. Si sporse più vicino. «Penso che fosse imprigionato in qualche modo nella città asteroide dei post-umani, quella che chiamava "la mia isola", proprio come vi era tenuto prigioniero Calibano.»
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