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Dan Simmons: Ilium

Здесь есть возможность читать онлайн «Dan Simmons: Ilium» весь текст электронной книги совершенно бесплатно (целиком полную версию). В некоторых случаях присутствует краткое содержание. Город: Milano, год выпуска: 2003, ISBN: 978-88-04-52224-9, издательство: Mondadori, категория: Фантастика и фэнтези / на итальянском языке. Описание произведения, (предисловие) а так же отзывы посетителей доступны на портале. Библиотека «Либ Кат» — LibCat.ru создана для любителей полистать хорошую книжку и предлагает широкий выбор жанров:

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Attenzione! Thomas Hockenberry è stato un insegnante universitario di storia, con una vita assolutamente normale. Per quale motivo, allora, si trova adesso ad assistere alla Guerra di Troia, al servizio degli dèi dell’antica Grecia? E perché gli stessi dèi sembrano padroneggiare una tecnologia avanzatissima, con la quale cercano di alterare il corso degli eventi e di uccidersi a vicenda? Intanto, in un futuro lontano migliaia di anni, su una Terra dove i pochi abitanti rimasti hanno come sola occupazione il divertimento, solo un uomo ricorda ancora l’antica arte della lettura e la sfrutta cercando di risolvere l’enigma più grande di tutti: chi ha costruito le macchine che governano il pianeta? Dall’autore che ha cambiato la fantascienza, la sua saga più intensa e appassionante, dove il gusto per la ricostruzione storica si mescola con i grandi scenari di un futuro apocalittico e affascinante. Vincitore del premio Locus per il miglior romanzo di fantascienza in 2004. Nominato per il premio Hugo per il miglior romanzo in 2004.

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A destra di Achille, un po’ più indietro, c’è il sorprendente terzetto composto da Agamennone, Menelao e Odisseo. I due figli di Atreo portano ancora i lividi del combattimento in singoiar tenzone contro Achille e il braccio sinistro di Menelao è troppo malridotto per reggere lo scudo, ma i due capi deposti hanno ritenuto necessario essere con i propri uomini in questo giorno. Odisseo, all’apparenza pensieroso, guarda al di là della linea di battaglia fra mortali e immortali e si gratta la barba.

Sparsi fra i ranghi achei, sul cocchio o a piedi, sempre alla testa dei propri uomini, ci sono gli eroi greci sopravvissuti a nove anni di dura guerra: Diomede, con ancora indosso la pelle di leone e in pugno una mazza più grossa di molti uomini; Aiace il Grande, bastione degli achei, torreggiante su tutta la sua fila di guerrieri, e Aiace il Piccolo, alla guida dei suoi professionisti della guerra giunti da Locri. A un tiro di sasso da questi eroi c’è il grande lanciere, Idomeneo, a capo dei suoi leggendari guerrieri cretesi; e nei pressi, alto sul cocchio, c’è Merione, ansioso di correre in battaglia a fianco del fratellastro di Aiace il Grande, l’abilissimo arciere Teucro.

Sul fianco destro degli achei, più vicino all’oceano, file su file di uomini in corazza girano la testa protetta dall’elmo crestato per guardare il loro condottiero e il più anziano comandante acheo presente quel giorno, lo scaltro Nestore, domatore di cavalli. Nestore si è messo davanti a tutti gli altri, qui sul fianco destro, con un manto rosso, ben visibile nel cocchio tirato da quattro cavalli, così sarà il primo su questo lato a cadere o il primo ad aprirsi la strada combattendo tra le file degli immortali. In cocchi vicini, chiaramente ansiosi di correre col padre in battaglia, ci sono i figli di Nestore, Antiloco, buon amico di Achille, e Trasimede, più alto e più avvenente del fratello.

Più di cento altri condottieri sono qui oggi; ciascuno porta con orgoglio il proprio nome e quello del padre; tutti insieme guidano altre decine di migliaia di uomini, ciascuno dei quali ha nobile nome e storia complicata, ciascuno dei quali porta con orgoglio il nome del padre nella battaglia per la gloria e per la vita, o porterà con sé quel nome giù nella Dimora della Morte, quest’oggi.

Alla destra della massa di achei, i verdi, muti zek sono disseminati lungo tutta la riva senza ordine particolare: parecchie migliaia di piccoli omini verdi si sono riversati giù dalle chiatte e dalle feluche e dalle fragili navi a vela, giunte dall’oceano Tethys e dal mare interno della Valles Marineris, e sono testimoni di questo giorno per ragioni note solo a loro e forse al loro avatar Prospero o all’insoddisfatto dio chiamato Setebo. Stanno, muti, lungo la linea delle onde che s’infrangono piano e né i greci né i troiani né gli dèi immortali hanno ancora interferito con loro.

Quasi un chilometro al largo, dietro gli zek, con vele che riflettono il rosato tramonto marziano e remi che riflettono il dorato bagliore del mare, sono schierate più di cento navi achee. Ora le vele sono ammainate, i remi sono tirati a bordo e scudi e lance sono disposti lungo le fiancate. Cimieri gialli, rossi, porpora, blu e la parte superiore degli elmi lucenti sono tutto ciò che si vede dei più di tremila guerrieri achei ammassati su quelle navi. Nello spazio fra queste, seghettate pinne nere tagliano l’acqua indorata dal sole. Traditi ora dal periscopio e dalla parte superiore delle strutture di metallo nero, tre sottomarini dei moravec della fascia, dotati di missili balistici, incrociano nel mare marziano.

Disseminata per tre chilometri sulla terraferma, dietro i troiani e gli achei, c’è la fanteria astervec: ventisettemila soldati dalla corazza nera, simili a coleotteri, con armi pesanti e leggere. Batterie astervec, a proietti e a raggi d’energia, sono disposte fino a quindici chilometri alle spalle delle linee del fronte; canne e proiettori sono puntati su Olympus Mons e sugli immortali ammassati alla base. Sopra le linee di umani e di immortali girano e saettano centosedici velivoli da battaglia tipo calabrone, alcuni regolati sull’invisibilità ai radar, altri ancora di un nero sfrontato, come quando sono stati avvistati per la prima volta quest’oggi. In orbita più in alto (così hanno riferito i moravec della fascia degli asteroidi) ci sono sessantacinque astronavi da combattimento in orbite differenziate, da quelle che sfiorano l’atmosfera marziana ad altre a vari milioni di chilometri all’esterno dei velocissimi Phobos e Deimos. Il comandante militare degli astervec sulla terraferma ha fatto rapporto al moravec di Europa, Mahnmut, che ha tradotto per Achille e per Ettore: bombe, missili, campi di forza e armi a energia d’ogni grado su tutte quelle astronavi sono pronti a entrare in azione. Il rapporto non significa niente per i due eroi, che l’hanno ascoltato con indifferenza.

Nella stessa zona piana accanto ad Achille, alla destra di Odisseo e degli Arridi, ma a una certa distanza, ci sono Mahnmut, Orphu e Hockenberry. In precedenza, nel pomeriggio, Mahnmut ha dato un’occhiata agli eserciti che si radunavano e, con l’aiuto del comandante troiano Perimo, ha subito requisito un cocchio con cui portare Orphu attraverso l’apertura del tunnel quantico, trascinando il moravec tenuto in aria dalla bardatura di levitazione (nelle parole di Orphu stesso, come "un’ammaccata roulotte da noleggio"). Mahnmut non sa che cosa sia esattamente (i suoi database della lingua colloquiale dell’Età Perduta non hanno l’ossessiva sovrabbondanza di quelli di Orphu) ma si è ripromesso di controllare, un giorno o l’altro. Se sopravvivrà.

Lo scoliaste Thomas Hockenberry, dottore in lettere, indossa cappa, corazza e vesti da condottiero troiano; pare emozionato per essere testimone di questo evento, ma pare anche incapace di stare fermo. Mentre le migliaia di guerrieri, su fino al livello del nobile Achille, aspettano quasi immobili che gli ultimi ritardatari di ciascun esercito, umani e immortali, si schierino, Hockenberry non fa che spostare da un piede all’altro il peso del corpo.

«Qualcosa non va?» gli bisbiglia Mahnmut.

«Qualcosa mi formicola nelle mutande» mormora Hockenberry.

Gli eserciti sono schierati. Il silenzio è inusitato: non c’è alcun rumore, né da un lato né dall’altro, a parte il lento sciaguattio di onde lontane che rotolano sui ciottoli della riva, di tanto in tanto il nitrito di un cavallo attaccato a un cocchio da guerra, il soffocato fruscio della brezza marziana fra le rocce dello strapiombo di Olympus Mons, il sibilo d’aria dei cocchi volanti che girano in tondo e quello più acuto dei calabroni da combattimento, l’occasionale, involontario rumore di bronzo contro bronzo quando un soldato cambia posizione e il potente, onnipresente suono negativo di decine di migliaia di uomini ansiosi che tentano di ricordare come si respira normalmente.

Zeus viene avanti e attraversa l’ aegis , come un gigante che passi una cascata d’acqua increspata.

Achille avanza nella terra di nessuno per affrontare il padre degli dèi.

«VUOI DIRE L’ULTIMA PAROLA, PRIMA DI MORIRE CON TUTTA LA TUA RAZZA?» dice Zeus, in tono colloquiale, ma così amplificato da giungere alle estremità del campo, perfino agli uomini sulle navi greche alla fonda.

Achille esita, gira solo la testa a guardare la massa di uomini alle sue spalle, torna a fissare avanti, al di là di Zeus, verso l’Olimpo e la massa di dèi; poi inarca il collo e volge di nuovo lo sguardo al torreggiante Zeus. «Arrenditi adesso» dice «e risparmieremo la vita delle tue dee, in modo che possano farci da schiave e da cortigiane.»

64

VILLA ARDIS

Daeman dormì per due giorni e due notti, svegliandosi a intervalli irregolari solo quando Ada gli dava del brodo o quando Odisseo lo lavava. Si svegliò ancora, per breve tempo, il pomeriggio in cui Odisseo gli tagliò la barba, passandogli un rasoio tradizionale sulla peluria insaponata, ma era troppo stanco per parlare o ascoltare le chiacchiere. Né, addormentato, prestò attenzione ai rombi nel cielo, quando i meteoriti tornarono la notte seguente e quella dopo ancora. Non si svegliò quando un piccolo frammento non ben identificato, che viaggiava e varie migliaia di chilometri all’ora, tracciò un solco nel campo dietro la villa dove Odisseo aveva insegnato per settimane. L’impatto scavò un cratere del diametro di cinque metri, profondo tre, e mandò in frantumi le finestre ancora intatte sul lato nord di villa Ardis.

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