Robert Sheckley - Gli orrori di Omega

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Gli orrori di Omega: краткое содержание, описание и аннотация

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Questa è la storia di Will Barrent, che esiliato dalla Terra piomba in quel mondo d’incubo che è Omega. E’ un pianeta di fuorilegge, che ha una sua particolare religione, una sua precisa idea sugli svaghi, una sua assurda organizzazione sociale in base alla quale solo l’assassino più abile, più feroce, e più fortunato, in un mondo fatto di assassini, può aspirare alla ricchezza e al potere. Un mondo in cui le proprietà della vittima vengono per legge ereditate dall’uccisori. E su questo mondo Will Barrent cerca disperatamente i ricordi che gli hanno tolto, la ragazza che l’ha salvato dalla morte per due volte, e la speranza di poter un giorno tornare sulla Terra nonostante le terribili astronavi di pattuglia orbita attorno a Omega. Quando riuscirà ad arrivare sul suo pianeta, si troverà fronte a qualcosa più pericoloso ancora dei «Giochi» di Omega: i suoi ricordi, il suo condizionamento di terrestre, ma soprattutto l’esasperato conformismo di una civiltà che si è arrenata al raggiungimento della perfezione meccanica.

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Il Questore rimase in silenzio per alcuni istanti.

«Fra qualche giorno» disse alla fine «vi verranno assegnati incarichi diversi. Alcuni di voi verranno mandati alle miniere di germanio, altri sulla flotta da pesca, e così via. Nel frattempo siete liberi di girare per Tetrahyde.»

Vedendo che gli uomini lo fissavano con espressione interrogativa, il Questore spiegò: «Tetrahyde è il nome della nostra città. È la più grande di Omega. In effetti, è la sola città di questo pianeta».

«Cosa significa Tetrahyde?» chiese Joe.

«Come faccio a saperlo?» rispose il Questore in modo brusco. «Penso che sia uno di quei vecchi nomi della Terra a cui gli studiosi ogni tanto ritornano. A ogni modo state molto attenti quando entrate nella città.»

«Perché?» chiese Barrent.

«Peone» disse il Questore, mettendosi a ridere «questo lo scoprirai da solo.» Poi si voltò, e uscì dalla baracca.

Barrent si avvicinò alla finestra. Da lì poteva vedere la grande piazza deserta, e, oltre la piazza, le strade della città.

«Pensate di uscire?» chiese Joe.

«Certo» rispose Barrent. «Venite con me?»

Il truffatore scosse la testa.

«Non credo che sia prudente.»

«Foeren, voi cosa dite?»

«Non mi attira. Penso che sia meglio restare nelle vicinanze della baracca, almeno per un po’.»

«Ma è ridicolo!» esdamò Barrent. «Questa è la nostra città. Nessuno vuole venire con me?»

Foeren si strinse nelle spalle e scosse la testa. Joe lo imitò, e si sdraiò sulla sua brandina. Tutti gli altri non sollevarono neppure lo sguardo.

«Va bene» disse Barrent alla fine. «Vi farò un rapporto più tardi.»

La città di Tetrahyde era un agglomerato di edifici disposti irregolarmente lungo una stretta penisola bagnata da un pigro mare grigio. La parte della penisola attaccata alla terra era protetta da un alto muro di pietra, in cui si aprivano diversi cancelli guardati da sentinelle. Il più grande edificio della città era l’Arena, che veniva usata una volta all’anno per i giochi. Accanto all’Arena si ammassavano i palazzi governativi.

Barrent si inoltrò per le strade, guardandosi attorno, e cercando di farsi un’idea di quella che sarebbe stata la sua nuova patria. Le strade tortuose, non lastricate, e buie, le case logorate dal tempo gli richiamavano qualcosa alla memoria. Aveva visto un posto simile sulla Terra, ma non poté ricordare altro.

Oltrepassò l’Arena e raggiunse il quartiere degli affari di Tetrahyde. Affascinato, cominciò a leggere le varie insegne. “Dottore non autorizzato — interventi illeciti.” E più avanti: “Avvocato radiato”.

Tutto ciò sembrava a Barrent vagamente sbagliato. Passò di fronte a negozi che propagandavano la vendita di oggetti rubati, e si trovò di fronte a una insegna che annunciava: “Lettura della mente! Rivelato il vostro passato sulla Terra!”.

Fu tentato di entrare. Ma ricordò di non avere soldi, e Omega sembrava un posto in cui il denaro era tenuto in molta considerazione.

Svoltò in una traversa, e dopo essere passato di fronte a diversi ristoranti raggiunse un fabbricato su cui spiccava l’insegna: “Istituto dei veleni. (Facilitazioni di pagamento fino a tre anni. Soddisfazione garantita)”. Sulla porta accanto spiccava l’insegna: “Ordine degli assassini. Sezione 452”.

Sulla base delle spiegazioni avute sull’astronave, Barrent aveva pensato che Omega fosse stato destinato alla riabilitazione dei criminali. A giudicare dalle insegne non era affatto così. A meno che questa riabilitazione non avvenisse in una forma del tutto strana. Riprese a camminare lentamente, immerso nei suoi pensieri.

Poi si accorse che la gente lo evitava. Lo guardavano, e subito sparivano nelle porte delle case e dei negozi. Una vecchia lo fissò e fuggì di corsa.

Era forse per la sua uniforme di prigioniero? No, gli abitanti di Omega dovevano averne viste tante. Perché allora?

La strada era quasi deserta. Accanto a lui un negoziante stava rapidamente abbassando la saracinesca di metallo sulla vetrina.

«Che cosa succede?» chiese Barrent.

«Siete impazzito?» rispose il negoziante. «È il Giorno dell’Atterraggio!»

«Come dite?»

«Giorno dell’Atterraggio!» ripeté il negoziante. «Il giorno dell’arrivo dello scafo penitenziario. Tornate alle baracche, idiota!»

Abbassò del tutto la saracinesca e sprangò dall’interno. Barrent si sentì improvvisamente percorrere da un brivido di paura. C’era veramente qualcosa che non andava. Meglio tornare indietro di corsa. Era stato uno stupido a non chiedere quali fossero gli usi degli abitanti di Omega prima di…

Vide tre uomini che dal fondo della strada gli si stavano avvicinando. Erano ben vestiti, e all’orecchio sinistro portavano l’orecchino d’oro degli Hadji. E tutti e tre avevano una pistola alla cintura.

Barrent cercò di allontanarsi, ma uno di loro si mise a gridare:

«Fermati, peone!»

Barrent vide che la mano dell’uomo si era posata sulla pistola e si fermò.

«Desiderate?»

«È il Giorno dell’Atterraggio» disse il Privilegiato. Poi guardò gli amici. «Bene, chi è il primo?»

«Facciamo a sorte.»

«Ecco una moneta.»

«No, facciamo a morra.»

«Pronti? Uno, due, tre!»

«È mio!» esclamò l’Hadji alla sinistra, e mentre toglieva la pistola dal fodero i suoi amici si fecero indietro di alcuni passi.

«Un momento» gridò Barrent. «Cosa state facendo?»

«Sto per spararti.»

«Perché?»

L’uomo sorrise: «È un privilegio degli Hadji. In ogni Giorno dell’Atterraggio noi possiamo sparare ai peoni che lasciano l’area delle baracche.»

«Ma non mi è stato detto.»

«È logico. Se vi avessero avvisati, nessuno avrebbe lasciato le baracche in questo giorno. E il divertimento sarebbe mancato.»

Prese la mira.

Barrent reagì immediatamente. Si lasciò cadere a terra nell’istante in cui l’Hadji sparò, udì il fischio e vide il proiettile colpire la parete di mattoni all’altezza esatta in cui si era trovato poco prima.

«Tocca a me» disse uno degli altri due.

«Mi dispiace, vecchio mio, ma credo che sia il mio turno.»

«L’anzianità ha i suoi privilegi, amico. Fatti in là.»

Prima che l’uomo potesse prendere la mira, Barrent si era alzato e aveva incominciato a correre. Le curve della strada per il momento lo proteggevano, però poteva udire alle sue spalle i passi degli inseguitori. Stavano correndo senza impegnarsi troppo, come se fossero assolutamente sicuri di poter raggiungere la loro preda. Barrent cercò di accelerare l’andatura e voltò in una strada laterale, ma subito capì di aver fatto un errore. La strada era senza sbocco. E gli Hadji si stavano avvicinando.

Barrent si guardò attorno, disperato. Tutti gli ingressi dei negozi erano sbarrati. Nessun posto in cui potersi nascondere.

Poi vide una porta aperta, a circa metà isolato, nella direzione da cui sarebbero arrivati i suoi inseguitori. Era passato davanti a quella porta senza notarla. E sulla porta spiccava una targa con la scritta: “Società Protezione delle Vittime”. È per me, pensò Barrent.

Si lanciò di scatto in quella direzione passando quasi sotto il naso degli Hadji sbigottiti. Venne sparato un colpo, ma ormai Barrent aveva raggiunto la porta e si era rifugiato nell’edificio.

Si fermò un istante. I tre uomini non l’avevano seguito, però poteva ancora udire le loro voci. Stavano amichevolmente discutendo le questioni di precedenza.

Si rese conto di essere entrato in una specie di rifugio inviolabile. Si trovava in una grande sala molto illuminata. Accanto alla porta parecchi uomini cenciosi stavano ridendo tra loro. Poco discosto, una ragazza dai capelli neri fissò Barrent con grandi occhi verdi. Sul fondo, una scrivania dietro cui era seduto un uomo. Poi questi gli fece cenno di avvicinarsi.

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