Robert Sheckley - Gli orrori di Omega

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Questa è la storia di Will Barrent, che esiliato dalla Terra piomba in quel mondo d’incubo che è Omega. E’ un pianeta di fuorilegge, che ha una sua particolare religione, una sua precisa idea sugli svaghi, una sua assurda organizzazione sociale in base alla quale solo l’assassino più abile, più feroce, e più fortunato, in un mondo fatto di assassini, può aspirare alla ricchezza e al potere. Un mondo in cui le proprietà della vittima vengono per legge ereditate dall’uccisori. E su questo mondo Will Barrent cerca disperatamente i ricordi che gli hanno tolto, la ragazza che l’ha salvato dalla morte per due volte, e la speranza di poter un giorno tornare sulla Terra nonostante le terribili astronavi di pattuglia orbita attorno a Omega. Quando riuscirà ad arrivare sul suo pianeta, si troverà fronte a qualcosa più pericoloso ancora dei «Giochi» di Omega: i suoi ricordi, il suo condizionamento di terrestre, ma soprattutto l’esasperato conformismo di una civiltà che si è arrenata al raggiungimento della perfezione meccanica.

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L’uomo gli si avvicinò subito, tenendo il bambino per mano.

«Scusate» disse.

«Si?»

«Vi ho visto scendere dall’astronave. Vi spiace se vi faccio alcune domande?»

«Dite pure» rispose Barrent, avvicinando la destra alla tasca della tuta dove teneva la pistola. Gli era nato il sospetto che quell’uomo fosse un agente di polizia. La sola cosa che lo lasciava perplesso era la presenza del bambino. A meno che non fosse un allievo agente…

«Il fatto è» riprese l’uomo «che mio figlio Ronny deve svolgere una ricerca sulle astronavi per il diploma delle scuole inferiori.»

«Così ho voluto vederne una» disse Ronny.

«Ha voluto vederne una» ripeté il padre. «Io gli ho detto che non sarebbe stato necessario, dato che informazioni e fotografie sono sull’enciclopedia. Ma lui è voluto venire.»

«Questa visita mi fornisce un argomento per l’introduzione» spiegò Ronny.

«Naturalmente» convenne Barrent. Cominciava a meravigliarsi per il modo di agire di quell’uomo.

Per un agente della polizia segreta, era una maniera piuttosto strana di affrontare un argomento.

«Lavorate sull’astronave?» chiese il ragazzo.

«Esatto.»

«A che velocità vanno?»

«Nello spazio o nel subspazio?» chiese Barrent.

La domanda sembrò mettere Ronny in imbarazzo. Strinse le labbra e rimase un attimo soprappensiero.

«Non sapevo che andassero nel subspazio» disse alla fine. Rimase ancora un attimo in silenzio. «Per la verità, non so nemmeno che cosa sia il subspazio» aggiunse.

Barrent e il padre del ragazzo sorrisero comprensivi.

«Be’» riprese Ronny «a che velocità vanno nello spazio?»

«Centomila miglia all’ora» rispose Barrent, la prima cifra che gli era venuta in mente.

Il ragazzo e il padre annuirono.

«Molto veloci» commentò il padre.

«Naturalmente sono molto più veloci nel subspazio.»

«Naturalmente» disse l’uomo. «Le astronavi sono infatti molto veloci. Ma devono esserlo. Le distanze da coprire sono grandi. Vero, signore?»

«Distanze enormi» disse Barrent.

«Come viene spinta l’astronave?» chiese Ronny.

«Alla solita maniera» spiegò Barrent. «L’anno scorso sono stati installati reattori tripli, però vengono considerati come mezzi di propulsione ausiliari.»

«Ho sentito parlare di questi reattori tripli» disse l’uomo. «Apparecchi tremendi.»

«Infatti» rispose Barrent senza addentrarsi in particolari. Ormai era certo che quell’uomo era solo un semplice cittadino, senza particolari conoscenze sulle astronavi, che aveva portato il figlio all’astroporto.

«Come fate per l’aria?» chiese Ronny.

«Generiamo quella che ci serve» spiegò Barrent. «Però quello dell’aria non è un problema grave. L’acqua ci preoccupa di più. Come sapete, l’acqua non può essere compressa. È difficile stivarne una quantità sufficiente. Poi ci sono i problemi di navigazione quando lo scafo emerge dal subspazio.»

«Cos’è il subspazio?» chiese Ronny.

«In effetti» rispose Barrent «è soltanto un livello differente dello spazio. Ma potrai trovare tutto questo nella tua enciclopedia.»

«Certo, Ronny» disse il padre del ragazzo. «Non possiamo trattenere oltre il pilota. Sono sicuro che ha molte cose importanti da fare.»

«Ho premura, sì» disse Barrent. «Guardate tutto quello che volete. E auguri per la tua tesi, Ronny.»

Nonostante tutto, Barrent camminò per una cinquantina di metri aspettandosi di essere raggiunto da un colpo d’arma alla schiena. Ma quando si voltò, il padre e il figlio erano intenti a osservare la grande astronave. Rallentò il passo, profondamente turbato. Fino a quel momento tutto si era svolto in modo troppo facile. Facile in modo sospetto. Ma non vedeva cos’avrebbe potuto fare se non continuare a camminare.

La strada che si allontanava dall’astroporto passava davanti a una fila di magazzini e fiancheggiava un bosco. Barrent camminò finché fu certo di essere fuori di vista, poi abbandonò la strada per addentrarsi tra le piante. Per quel giorno aveva avuto sufficienti contatti con gli abitanti della Terra. Non voleva forzare la fortuna. Voleva pensare, dormire in mezzo alle piante, e recarsi in città il mattino seguente.

Si addentrò nel bosco. Attorno sentiva il rumore degli animali e il cinguettio di invisibili uccelli, in mezzo alle piante, lontano, vide un cartello bianco con la scritta:

“Parco Nazionale di Forestdale. Gitanti e Campeggiatori sono i Benvenuti.”

Barrent, anche se poteva benissimo immaginare che era assurdo pensare a un bosco vergine nelle vicinanze di un astroporto, provò un certo disappunto. Anzi, su di un pianeta vecchio e progredito come la Terra, forse non c’erano più terre vergini.

Il sole era ormai basso sull’orizzonte e le ombre si erano enormemente allungate. Barrent trovò un posto riparato, ai piedi di un grosso albero, e dopo aver fatto un giaciglio di foglie, vi si distese. Aveva molte cose cui pensare. Perché, ad esempio, non erano state messe delle guardie alla stazione interstellare, il punto più importante di contatto con la Terra? I dispositivi di sicurezza erano forse sistemati attorno alle città? E lui era già sotto sorveglianza? Forse lo tenevano d’occhio aspettando il momento più opportuno per arrestarlo. Poteva anche darsi che…

«Buona sera» disse una voce vicino al suo orecchio.

Barrent balzò di lato e cercò di afferrare la pistola.

«Una serata incantevole» continuò la voce. «Qui al Parco Nazionale di Forestdale la temperatura è di venticinque gradi centigradi, umidità 23 per cento, barometro fisso su ventinove virgola nove. I vecchi campeggiatori, ne sono sicuro, avranno già riconosciuto la mia voce. Ai nuovi amanti della natura che sono tra voi, chiedo il permesso di presentarmi. Sono Quercia, la vostra vecchia amica. A tutti, vecchi e nuovi, do il mio benvenuto in questo parco nazionale.»

Barrent si mise a sedere chiedendosi che trucco fosse mai quello. La voce sembrava veramente venire dall’albero.

«Le gioie della natura» continuò Quercia «sono alla portata di ognuno. Potete godere della solitudine completa, pur essendo a soli dieci minuti dai trasporti pubblici. Per quelli che amano la compagnia abbiamo giri turistici attraverso le varie radure. Raccomandate agli amici questo Parco Nazionale. I veri amanti della natura potranno trovare ogni comfort.»

Nella pianta si aprì un piccolo portello e ne uscirono un sacco a pelo, un thermos, e una scatola di cibi.

«Vi auguro una piacevole serata» disse Quercia. «Godete le meraviglie della natura. Ora la National Symphony Orchestra diretta da Otto Krug vi farà ascoltare “Le radure dell’altopiano”, di Ernst Nestrichala, incisione effettuata dalla National North American Broadcasting Company. La vostra amica Quercia vi saluta e augura la buona notte.»

Da altoparlanti nascosti tra i rami giunsero le note della musica.

Barrent scosse la testa, poi, decidendo di prendere le cose come venivano, mangiò, bevve il caffè del thermos, e si coricò nel sacco a pelo.

Non riuscì ad addormentarsi subito. Pensava a quella foresta musicale, rifornita di cibi e bevande, vicina ai mezzi di trasporto pubblici. Certo la Terra faceva molto per i suoi cittadini. E se invece fosse tutta una enorme trappola tesa per lui?

Si rigirò diverse volte cercando di abituarsi alla musica. Poi questa si mescolò al rumore delle foglie mosse dal vento, e Barrent si addormentò.

XXV

Al mattino, la quercia amica gli fornì la colazione e tutto il necessario per radersi. Barrent mangiò, e dopo essersi lavato e rasato si incamminò verso la città vicina. Aveva in mente un piano ben preciso. Doveva procurarsi una tenuta che lo facesse passare inosservato e stabilire dei contatti con le forze della Resistenza. Una volta fatto questo, avrebbe dovuto scoprire quanto più possibile sulla polizia segreta, sulle forze militari, e cose simili.

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