Robert Sheckley - Gli orrori di Omega

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Gli orrori di Omega: краткое содержание, описание и аннотация

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Questa è la storia di Will Barrent, che esiliato dalla Terra piomba in quel mondo d’incubo che è Omega. E’ un pianeta di fuorilegge, che ha una sua particolare religione, una sua precisa idea sugli svaghi, una sua assurda organizzazione sociale in base alla quale solo l’assassino più abile, più feroce, e più fortunato, in un mondo fatto di assassini, può aspirare alla ricchezza e al potere. Un mondo in cui le proprietà della vittima vengono per legge ereditate dall’uccisori. E su questo mondo Will Barrent cerca disperatamente i ricordi che gli hanno tolto, la ragazza che l’ha salvato dalla morte per due volte, e la speranza di poter un giorno tornare sulla Terra nonostante le terribili astronavi di pattuglia orbita attorno a Omega. Quando riuscirà ad arrivare sul suo pianeta, si troverà fronte a qualcosa più pericoloso ancora dei «Giochi» di Omega: i suoi ricordi, il suo condizionamento di terrestre, ma soprattutto l’esasperato conformismo di una civiltà che si è arrenata al raggiungimento della perfezione meccanica.

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Valeva la pena di tentare. Doveva tentare.

In fondo al corridoio incominciava la scala. Superò una dozzina di livelli, tutti deserti, e alla fine si trovò di fronte a un cartello con la scritta: “Sezione Cornando”.

Trasse di tasca la pistola di plastica e prese ad avanzare nel corridoio. Cominciava a perdere la lucidità. Ombre nere gli si formavano davanti agli occhi, e il corridoio sembrava rovesciarglisi addosso. Si trovò a camminare carponi verso una porta su cui era scritto: “Cabina Comando — Ingresso vietato a tutti eccetto gli Ufficiali di bordo”.

Il corridoio sembrava immerso in una nebbia grigia. Barrent raccolse tutte le forze che gli restavano e si sollevò per afferrare la maniglia. La porta cominciò ad aprirsi. Strinse il calcio della pistola e si preparò all’azione.

Ma come la porta si aprì una nebbia nera lo avvolse inesorabilmente. Pensò di vedere delle facce atterrite e di udire delle voci che gridavano: “Attenti! È armato!”. Poi l’oscurità si richiuse su di lui, e Barrent cadde in avanti.

XXII

Il ritorno alla coscienza avvenne di colpo. Barrent si sollevò, e si rese conto immediatamente di trovarsi nella cabina di comando. La porta metallica alle sue spalle era chiusa, e adesso lui poteva respirare senza difficoltà. Il locale era deserto. Forse, pensando che sarebbe rimasto svenuto a lungo, erano andati a chiamare le guardie.

Si alzò, e istintivamente raccolse la pistola. Dopo averla osservata attentamente corrugò la fronte e la ripose in tasca.

Perché, si chiese, lo avevano lasciato nella cabina comando, la parte più importante dell’astronave? E perché gli avevano lasciato la pistola?

Cercò di ricordare le facce intraviste prima di svenire. Erano figure indistinte, vaghe e sfuocate, con voci cavernose, da sogno. C’erano state veramente delle persone in quella stanza?

Più ci pensava, più si convinceva che quelle figure gli erano nate nella coscienza nel momento in cui stava per svenire. In quella stanza non c’era mai stato nessuno. Lui era solo, nel centro vitale dello scafo.

Si avvicinò al grande pannello dei comandi. Era diviso in dieci sezioni, ciascuna zeppa di quadranti con gli indici su cifre di incomprensibile lettura, e di interruttori, pulsanti, reostati e leve.

Barrent esaminò lentamente le dieci sezioni. L’ultima sembrava essere il controllo generale delle altre nove. Sotto uno dei quadranti c’era scritto: “Coordinazione, Manuale/Automatica”. La parte automatica era illuminata. E c’erano quadranti simili per la navigazione, per il controllo delle collisioni, per l’entrata e l’uscita dal subspazio, per l’entrata e l’uscita dallo spazio normale, e per l’atterraggio. Tutti erano disposti sul comando automatico. Poi scoprì lo schermo che indicava il progresso del volo in ore, minuti e secondi. Il tempo per giungere al posto di controllo. Uno era di ore 29,4 minuti, 51 secondi. Fermata, tre ore. Tempo dal posto di controllo alla Terra, 480 ore.

Le luci dei quadranti si accendevano e spegnevano, automaticamente. E Barrent ebbe l’impressione che la presenza di un uomo fosse un sacrilegio in quel tempio delle macchine.

Controllò il quadrante dell’aria. Era disposto per il rifornimento sufficiente a una persona.

Ma dov’era l’equipaggio? Barrent poteva capire le necessità di guidare un’astronave con mezzi automatici. Una struttura così enorme e complessa doveva essere autosuffìciente. Ma gli uomini l’avevano costruita, e gli uomini avevano predisposto tutti i comandi automatici. Perché non erano presenti per il caso che fosse stato necessario variare i programmi stabiliti? Poteva capitare che le guardie dovessero fermarsi più a lungo su Omega. Poteva capitare di dover saltare il posto di controllo e fare ritorno direttamente sulla Terra, o di doversi dirigere verso un’altra destinazione. Chi avrebbe modificato i programmi, chi avrebbe dato i nuovi ordini, chi possedeva un’intelligenza responsabile per dirigere le operazioni?

Barrent si guardò attorno, e scoprì il ripostiglio che conteneva i respiratori a ossigeno. Ne prese uno, e dopo averlo provato uscì nel corridoio.

Percorse tutto il corridoio sino alla porta su cui era scritto “Alloggio Equipaggio”. La stanza era nuda e deserta. I letti, disposti in file ordinate, erano senza lenzuola e coperte. E negli armadi non c’erano indumenti o altri oggetti personali. Uscì da quella stanza, ed entrò nell’alloggio degli ufficiali e del Comandante. Ma anche lì niente indicava che quei locali fossero abitati.

Tornò nella cabina comando. Era evidente ormai che l’astronave non aveva equipaggio. Forse le autorità della Terra, sicure dei loro calcoli di rotta e piene di fiducia nelle astronavi, avevano deciso che i piloti erano superflui.

Però a Barrent questo sistema sembrava piuttosto strano. Era incomprensibile che si permettesse il volo di un’astronave senza la supervisione di un essere umano.

Decise di non trarre conclusioni finché non avesse saputo di più. Per il momento era più importante pensare a sopravvivere. Aveva portato con sé dei cibi concentrati, ma non aveva molta acqua. Avrebbe trovato qualcosa nelle cucine? Poi doveva ricordarsi del distaccamento di guardie presente nella parte inferiore dell’astronave. E doveva pensare al miglior modo di agire nel momento in cui lo scafo si sarebbe fermato al posto di controllo.

Barrent non fu costretto a mangiare i cibi che aveva portato con sé. Nella mensa ufficiali le macchine distribuivano ancora cibo e acqua alla semplice spinta di un bottone. Non riuscì a scoprire se fossero cibi naturali o chimici. Avevano un buon sapore ed erano nutrienti; non si preoccupò d’altro.

Esplorò gran parte dei piani superiori, ma, dopo essersi perso diverse volte, decise di non correre altri rischi. Il centro vitale dell’astronave era la cabina comando, e Barrent rimase in quella stanza per la maggior parte del tempo.

Riuscì a trovare un oblò. Muovendo una leva che apriva gli schermi di protezione, Barrent poté vedere lo spettacolo delle stelle che brillavano nell’oscurità dello spazio. Stelle senza fine che si estendevano oltre ogni limite della sua immaginazione. Guardandole, Barrent si sentì orgoglioso. Quelle stelle sconosciute erano sue, in certo senso.

Mancavano solo sei ore all’arrivo al posto di controllo. Barrent osservò le lancette dei quadranti che si spostavano, mentre altre macchine si mettevano in azione per preparare lo scafo all’atterraggio. Tre ore e mezzo prima dell’arrivo, Barrent fece un’interessante scoperta. Trovò l’apparecchio che lo metteva in comunicazione con tutto lo scafo. Sintonizzandolo sull’ascolto poté seguire la conversazione che si svolgeva nella sala delle guardie.

Sia per precauzione, sia per mancanza di cognizioni, le guardie non parlavano di politica. Vivevano al posto di controllo per tutto il tempo in cui non erano di servizio sull’astronave. Alcuni degli argomenti di cui parlarono riuscirono del tutto incomprensibili a Barrent. Tuttavia continuò ad ascoltare, affascinato da ciò che quegli uomini dicevano.

«Sei mai andato a nuotare in Florida?»

«L’acqua salata non mi è mai piaciuta.»

«L’anno prima di venir arruolato nelle Guardie, vinsi il terzo premio alla Fiera delle Orchidee di Dayton.»

«Sto comperando una villa ad Antartica.»

«Perché non ci danno mai i permessi per andare sulla Terra?»

«Lo sai. Il delitto è una malattia. Ed è infettiva.»

«E con questo?»

«Se stai accanto ai criminali puoi subire l’infezione. E potresti contaminare qualcuno della Terra.»

«Ma non è giusto!»

«Non ci si può fare niente. Gli scienziati sanno quel che fanno. Dopo tutto il posto di controllo non è poi così brutto.»

«Se ti piacciono le cose artificiali… aria, fiori, cibi…»

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