Isaac Asimov - Il sole nudo

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Il Sole Nudo Ancora una volta un caso da risolvere.
Ancora una volta Uomo e Robot assieme.
Naturalmente, ancora una volta Baley e Olivaw.
E ricomincia il sottile duello tra uomo e robot, tra istinto e ragione. Un argomento che molti tratterebbero con superficiale banalità , ma che nella penna di Asimov raggiunge livelli di incredibile meraviglia.
Sarà  l’uomo a piegarsi alla razionalità  del robot, oppure R. Daneel Olivaw comprenderà  i meccanismi illogici del cervello umano?
Ancora una meravigliosa avventura che lascerà  il lettore estasiato.
La coppia più riuscita di tutta la letteratura di fantascienza.
Ancora una perla del geniale
Isaac Asimov.
Un romanzo degno del precedente (
) e un preludio eccellente al meraviglioso seguito:
.

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Baley chiese con cautela: «Ti ricordi un liquido incolore sulla tavola del tuo padrone, una parte del quale hai versato per lui in una coppa?».

«Shi, padrone» rispose il robot.

Anche un difetto nell'articolazione orale!

«Qual era la natura del liquido?» chiese Baley.

«Acqua, padrone.»

«Solo acqua? Nient'altro?»

«Sholo acqua, padrone.»

«Dove l'avevi presa?»

«Dal rubinetto del sherbatoio, padrone.»

«Ed era rimasta un po' in cucina, prima che la portassi in tavola?»

«Il padrone non la deshiderava troppo fredda, padrone. Era un ordine tashshativo che venishshe vershata un'ora prima dei pashti.»

Molto comodo, pensò Baley, per chiunque lo sapesse.

«Che uno dei robot» ordinò «mi metta in contatto con il dottore che sta visionando il vostro padrone il più presto possibile. E mentre viene fatto questo, voglio che un altro robot mi spieghi come funziona il rubinetto del serbatoio. E voglio informazioni anche sulla vostra riserva d'acqua.»

Il dottore fu disponibile con un po' di ritardo. Era il più vecchio spaziale che Baley avesse mai visto, il che voleva dire, pensò Baley, che avrebbe potuto benissimo passare i trecento anni. Le vene gli sporgevano dalle mani e il cespuglio di capelli era candido. Aveva l'abitudine di battere sugli incisivi con l'unghia del pollice, producendo un rumore clicchettante che Baley trovava seccante. Si chiamava Altim Thool.

Il dottore disse: «Per fortuna ne ha vomitata una buona parte. Tuttavia potrebbe non sopravvivere. È un tragico evento». Sospirò pesantemente.

«Che veleno era, dottore?» chiese Baley.

«Ho paura di non saperlo.» (Clic-clic-clic.)

«Che cosa?» esclamò Baley. «E allora come lo cura?»

«Diretta stimolazione del sistema neuromuscolare per prevenire la paralisi, ma, a parte questo, lascio che la natura faccia il suo corso.» Il suo volto, con la pelle leggermente gialla, simile a pelletteria di qualità superiore e ben conservata, aveva un'aria compresa. «Abbiamo pochissima esperienza di questo genere di cose. Non ricordo un altro caso simile in più di due secoli di pratica.»

Baley fissava l'altro con disprezzo. «Lo sa che esistono cose come i veleni, no?»

«Oh, sì.» (Clic-clic.) «Nozioni elementari.»

«Avrà senz'altro dei librifilm di consultazione in grado di accrescere le sue cognizioni.»

«Ci vorrebbero giorni. Esistono numerosi veleni minerali. Nella nostra società facciamo uso di insetticidi e non è impossibile ottenere tossine batteriche. Anche con le descrizioni dei librofilm ci vorrebbe un sacco di tempo per mettere insieme l'attrezzatura adatta e sviluppare le tecniche per i test.»

«Se su Solaria non lo sa nessuno,» disse torvo Baley «suggerirei di entrare in contatto con gli altri Mondi e scoprirlo. Intanto farebbe meglio a esaminare il rubinetto del serbatoio in casa di Gruer per vedere se è avvelenato. Ci vada di persona, se deve, e lo faccia.»

Baley stava incitando rozzamente un venerabile spaziale, dandogli ordini come a un robot, ed era completamente inconsapevole della sconvenienza. Né lo spaziale accennò a protestare.

«Come potrebbe essere avvelenato il rubinetto del serbatoio?» disse dubbioso il dottor Thool. «Sono sicuro che non può essere.»

«Probabilmente no» convenne Baley. «Comunque lo esamini lo stesso, per sicurezza.»

Il rubinetto del serbatoio era proprio una possibilità remota. La spiegazione che il robot gli aveva dato era un tipico caso di autosufficienza solariana. L'acqua poteva entrare da qualunque sorgente ed essere adattata. I microrganismi venivano rimossi e la materia organica non vivente eliminata. Veniva immesso il giusto ammontare di aereazione e c'erano varie tracce di ioni, nelle quantità più adatte alle necessità del corpo umano. Era molto improbabile che qualunque veleno potesse sopravvivere a uno o all'altro dei servizi di controllo.

Eppure, se la sicurezza del serbatoio fosse stabilita una volta per tutte, allora sarebbe diventato chiaro l'elemento tempo. Sarebbe stato in quell'ora prima del pasto, quando la brocca d'acqua (esposta all' aria , pensò acidamente Baley) era lì a scaldarsi lentamente, grazie all'idiosincrasia di Gruer.

Intanto il dottor Thool stava dicendo fremente: «Ma come faccio a esaminare il rubinetto della riserva?».

«Giosafatte! Porti un animale con sé. Inietti dell'acqua, che avrà fatto scendere dal rubinetto, nelle sue vene, oppure gliene faccia bere un po'. Usi la testa, uomo. E faccia lo stesso con quella che è rimasta nella brocca, e se quella è avvelenata, come dev'essere, faccia qualcuno dei test che i film di consultazione descrivono. Ne trovi qualcuno semplice. Faccia qualcosa. »

«Aspetti, aspetti. Che brocca?»

«La brocca in cui stava l'acqua. La brocca da cui il robot ha versato l'acqua avvelenata.»

«Be', povero me… Suppongo che sia stata pulita. Certo la servitù non l'avrà lasciata così in giro.»

Baley gemette. Naturalmente no. Era impossibile mantenere delle prove con arzilli robot che le distruggevano sempre in nome della pulizia casalinga. Avrebbe dovuto ordinare loro di conservare la brocca, ma naturalmente questa società non era la sua e lui non aveva mai reagito in modo adatto.

Giosafatte!

Infine venne la comunicazione che la tenuta di Gruer era pulita: nessun segno di esseri umani non autorizzati da nessuna parte.

«Con questo il mistero s'intensifica,» disse Daneel «visto che non resta nessuno nel ruolo di avvelenatore, collega Elijah.»

Assorbito nei suoi pensieri Baley udiva a malapena. «Cosa?…» chiese. «Ah, niente affatto. No, niente affatto. La faccenda si chiarisce.» Non si spiegò, sapendo bene che Daneel sarebbe stato capace di capire o di credere quello che Baley era certo di essere la verità.

Né Daneel chiese spiegazioni. Una tale intrusione nei pensieri umani sarebbe stata molto poco robotica.

Baley camminava incessantemente avanti e indietro, temendo l'approssimarsi del periodo di sonno quando sarebbero sorte le sue paure dell'aperto e cresciuta la nostalgia della Terra. Sentiva il desiderio quasi febbrile di far accadere le cose.

Disse a Daneel: «Tanto vale richiamare la signora Delmarre. Fai prendere contatto ai robot».

Andarono nel parlatorio e Baley guardò operare un robot con le sue abili dita metalliche. Guardava immerso in una confusione di oscuri pensieri che svanirono trasformandosi in sorpresa attonita quando un tavolo, elaboratamente apparecchiato per la cena, riempì improvvisamente una metà della stanza.

«Salve» disse la voce di Gladia. Un momento dopo entrò in campo e si sedette. «Non prendere quell'aria sorpresa, Elijah. È solo ora di cena. E sono vestita con molta cura. Vedi?»

Era vero. Il colore dominante del suo abito era un blu luminoso e scintillava per tutta la sua lunghezza fino ai polsi e alle caviglie. Un collare pieghettato giallo le copriva collo e spalle, leggermente più chiaro della capigliatura, ora composta in onde disciplinate.

«Non volevo interromperti il pranzo» disse Baley.

«Non ho ancora iniziato. Perché non ceni con me?»

La guardò sospettoso. «Cenare con te?»

Lei rise. «Voi terrestri siete proprio buffi. Non intendevo cenare insieme di persona. Come si potrebbe? Intendevo dire che tu andassi nella tua sala da pranzo in modo che tu e quell'altro possiate cenare con me.»

«Ma se me ne vado…»

«I tuoi tecnici della visione possono mantenere il contatto.»

Daneel annuì gravemente e Baley si voltò un po' incerto per andare alla porta. Con il suo tavolo, i suoi ornamenti, le sue stoviglie, Gladia si muoveva con lui.

Gladia lo incoraggiò con un sorriso. «Vedi? I nostri tecnici ci tengono in contatto.»

Baley e Daneel viaggiavano su una rampa mobile che Baley non ricordava di avere usato prima. Sembrava che in questa impossibile dimora ci fosse più di un percorso tra due stanze; e lui ne conosceva solo alcuni. Naturalmente Daneel li sapeva tutti.

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