Il giorno dopo Farr tornò da lui, e questa volta l’amministratore fu appena appena cordiale, anche se invitò Farr a colazione. Mangiarono su una terrazza prospiciente il canale, su cui transitavano baccelli-barche cariche di frutti e di fiori.
— Mi sono informato sul vostro caso presso la Centrale Szecr — disse l’amministratore. — Si sono comportati ambiguamente, al contrario del solito. Infatti abitualmente dicono pane al pane, e mi aspettavo che vi avrebbero accusato di spionaggio.
— Non riesco ancora a capire perché mi perseguitino così.
— A quanto pare eravate presente quando una banda di Arturiani…
— Thord.
— … quando una banda di Thord tentò un’incursione in massa su una delle piantagioni di Tjiere.
— È vero.
— Senza dubbio ciò è bastato per destare i loro sospetti. Ritengono che una o più spie, travestite da turisti, abbiano progettato e diretto l’incursione, ed evidentemente sono convinti che uno dei responsabili siate voi.
— È incredibile! Gli Szecr mi hanno somministrato degli ipnotici, sottoponendomi poi a interrogatorio. Sanno tutto quello che so. E, dopo, il principale piantatore di Tjiere mi ha accolto in casa sua come ospite d’onore. Non possono credere che io sia coinvolto nel complotto! È impossibile! Irragionevole!
L’amministratore si limitò ad alzare le spalle, senza far commenti.
— Può darsi. Gli Szecr ammettono di non avere nessuna prova concreta contro di voi. Tuttavia continuano a sospettarvi.
— E così, anche se sono innocente, devo continuare a subire le loro molestie? Mi pare che un simile trattamento non sia previsto né dalla lettera, né dallo spirito del Trattato.
— Forse avete ragione — ammise l’amministratore, un po’ seccato. — Credo di poter asserire che conosco il Trattato almeno quanto voi — s’interruppe per versare a Farr una tazza di caffè, e così facendo gli scoccò una rapida occhiata. — Io parto dal principio che non siate colpevole… ma forse sapete qualcosa. Avete comunicato con qualcuno che loro sospettano?
— Mi hanno gettato in una cella insieme a un Thord — dichiarò con un gesto d’impazienza Farr — ma ho scambiato con lui solo poche parole.
Ma l’amministratore non sembrava convinto. — Eppure dovete aver fatto qualcosa che ha destato i loro sospetti. Nonostante quel che ne pensate, gli Iszici non hanno l’abitudine di dar fastidio alla gente.
— Ma si può sapere chi rappresentate voi? — esplose Farr, perdendo la pazienza. — Me o gli Szecr?
— Cercate di vedere la situazione dal mio punto di vista — ribatté l’amministratore con freddezza. — In fin dei conti non è poi impossibile che voi siate quello che loro credono.
— In primo luogo dovrebbero provarlo. E se anche fosse, voi dovreste essere il mio legale. Per che altro siete qui, se no?
L’amministratore eluse la domanda. — Io so solamente quello che mi avete detto. Ho parlato col comandante iszico, che non si è sbottonato. Forse voi siete una testa di legno, un uccello da richiamo, o un incaricato, ecco cosa credo che pensino. E credo pure che stiano aspettando di vedervi fare una mossa falsa, o che li conduciate da qualcuno che potrebbe tradirsi.
— Allora aspetteranno un bel pezzo. Sono io la parte lesa, non loro.
— In che senso?
— Dopo l’incursione mi hanno imprigionato. Vi ho detto che mi avevano preso di forza e gettato nel cavo di un tronco, in una cella sotterranea. In quell’occasione, cadendo, mi sono ferito alla testa, e ne porto ancora il segno. — Si tastò sospirando la testa, dove i capelli stavano ricrescendo. Era chiaro che l’amministratore non aveva intenzione di agire. Guardandosi intorno, disse: — Questo posto dovrebbe essere a prova di suono.
— Non ho niente da nascondere — rispose brusco l’amministratore. — Possono ascoltarmi in ogni momento della giornata… come probabilmente fanno. — Si alzò e chiese: — Quando parte la vostra nave?
— Fra due o tre giorni, dipende dal carico.
— Vi consiglio di sopportare la sorveglianza a cui siete sottoposto, senza prendervela troppo.
Farr lo ringraziò e si congedò. Gli Szecr lo aspettavano fuori, e s’inchinarono educatamente quando comparve in strada. Farr sospirò rassegnato, deciso a fare buon viso a cattivo gioco, non essendoci altra alternativa.
Tornato in albergo fece una doccia nel nodulo trasparente attaccato al baccello. Il liquido era fresco e lattiginoso e usciva da una protuberanza come latte dalla mammella di una mucca. Dopo aver indossato abiti puliti fornitigli dall’albergo, scese sulla terrazza e, stanco di essere solo, si guardò intorno. Aveva già scambiato qualche parola con alcuni ospiti dell’albergo: i signori Anderview, missionari pellegrini, Jonas Ralf e Wilfred Willeran, ingegneri terrestri che tornavano in patria dalla grande Strada Equatoriale di Capella XII e ora sedevano in compagnia di un gruppo di insegnanti in gita turistica, appena arrivati su Iszm; tre viaggiatori di commercio che vendevano merci terrestri nella zona di Monago, il cui ceppo dopo centocinquant’anni dall’inizio del commercio aveva già preso le caratteristiche somatiche di Monago, o Taurus 61 III. A destra c’erano tre Nenes, antropoidi alti e snelli, volubili e chiaroveggenti, poi un paio di studenti terrestri, e quindi un gruppo di Grandi Arturiani che, dopo aver vissuto un milione di anni su un pianeta diverso dall’originario Thord, manifestavano tratti somatici differenti da quelli nativi; dall’altra parte dei Monagi sedevano quattro Iszici a strisce rosse e viola di cui Farr ignorava il significato e, poco oltre, un altro Iszico in blu, nero e bianco, intento a bere con grande concentrazione un bicchierino di narciz. Farr lo fissò stupito: non poteva esserne certo perché tutti gli Iszici gli sembravano uguali, ma quell’individuo gli pareva proprio Omon Bozhd.
Come se avesse sentito su di sé lo sguardo di Farr, l’uomo si voltò, fece un cenno, poi si alzò e si avvicinò a Farr. — Posso sedermi accanto a voi?
Farr gl’indicò una sedia: — Non mi sarei mai aspettato di avere il piacere di rinnovare così presto la vostra conoscenza.
Omon Bozhd rispose: — Non sapevate che avevo in progetto di visitare la Terra?
— No di certo.
— Strano.
Farr non fece commenti.
— Il nostro amico Zhde Patasz Sainh mi ha incaricato di riferirvi un messaggio. In primo luogo vi trasmette tramite mio un distinto saluto di tipo 8 e il senso del suo rammarico per le noie che avete subito nell’ultimo giorno trascorso a Tjiere. Ci pare ancora incredibile che quel Thord possedesse forza sufficiente per fare quello che ha fatto. In secondo luogo, vi consiglia di scegliere i vostri amici con molta cautela, nei prossimi mesi e, in terzo luogo, mi affida alle vostre cure e alla vostra ospitalità sulla Terra, dove sarò uno straniero.
— Come faceva Zhde Patasz a essere al corrente della mia intenzione di tornare sulla Terra? Lasciando Tjiere avevo altri progetti.
— Gli ho parlato ieri sera per telecom.
— Capisco — borbottò Farr. — Be’, naturalmente farò tutto il possibile per voi. Che parte della Terra visiterete?
— Non ho ancora fatto progetti completi. Devo ispezionare le case di Zhde Patasz nelle diverse piantagioni, e quindi dovrò viaggiare parecchio.
— Cosa significa che dovrò scegliere con cautela i miei amici?
— Nient’altro che questo. A quanto pare, sono arrivate fino a Jhespiano voci riguardanti l’incursione dei Thord, con qualche esagerazione, come sempre accade in questi casi. Certi elementi criminali, dando credito a quelle voci, potrebbero interessarsi alla vostra attività… ma corro troppo. — Omon Bozhd si alzò improvvisamente, fece un inchino e se ne andò, lasciando Farr a bocca aperta.
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