Charles Sheffield - Le guide dell'infinito

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Solo una minima parte dell’umanità riuscì a sfuggire alla catastrofe nucleare che nel 21° secolo devastò la Terra, rifugiandosi in primitive colonie orbitali attorno al pianeta. Ma una volta vinta la battaglia per la sopravvivenza, cominciò il grande esodo verso nuovi mondi nelle zone più remote dello spazio.
Dopo vari millenni ecco incombere su questi mondi la presenza degli Immortali, esseri che possiedono strani legami con la vecchia Terra, apparentemente in grado di estendere la propria vita all’infinito e di superare distanze di anni luce in pochi giorni. Sul pianeta Pentecoste, alcuni lontanissimi discendenti dell’umanità cercano di scoprire la vera natura degli Immortali, intuendo appena che il contatto con tali creature li porterà ad acquisire conoscenze inimmaginabili, tra cui il segreto dell’S-spazio normale. Ma si tratta solo del principio, perché seguono altre rivelazioni sull’intera storia dell’umanità, dall’origine alla distruzione della Terra e alla secolare diaspora nello spazio, che scatenano nuove inquietudini e rilanciano appassionanti interrogativi. Qual è infatti il segreto dell’enigmatico Punto di Convergenza, una zona lontanissima da ogni stella conosciuta? E fino a dove si estendono i poteri degli Immortali e la loro conoscenza del passato e del futuro dell’umanità? E quali sono, infine, le loro reali intenzioni?
Un epico e illuminante viaggio che interroga il destino dell’uomo nella vastità del cosmo, tra grandiose intuizioni ed ipotesi inedite che esaltano le virtù della miglior fantascienza.
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Per un paio di minuti la situazione non cambiò. Poi gli schizzi di fluido bianco cessarono. Gli ugelli vennero ritirati dentro i lati del contenitore e i filamenti argentei si staccarono e si ritrassero anch’essi. Peron guardò e aspettò. Dieci minuti più tardi il corpo di Rinker parve attraversato da un fugace tremito.

E poi il contenitore fu vuoto. In una frazione di secondo, prima che Peron riuscisse anche soltanto a pensare, Rinker era completamente scomparso.

Peron fu tentato di aprire il portello anteriore del contenitor, invece si avvicinò a uno dei contenitori vuoti, lì vicino, e lo aprì. I comandi interni apparivano molto semplici. C’era un quadrante a tre vie, un timer con le unità in giorni, ore e centesimi di ora, e un interruttore manuale. Le regolazioni dell’interruttore mostravano soltanto una N, una S, e uria C. La posizione C era in rosso, e sotto di essa figurava un cartello: ATTENZIONE! NON USARE LA REGOLAZIONE PER FREDDO (C) SENZA AVER REGOLATO L’INTERRUTTORE DEL TIMER O SENZA L’ASSISTENZA D’UN OPERATORE ESTERNO.

Perori stava pensando di arrampicarsi dentro per dare un’occhiata più da vicino quando udì uno scricchiolio ammonitore provenire dall’altro contenitore. Il portello veniva aperto di nuovo. Si sforzò di muoversi con cautela e in silenzio, mentre chiudeva la bara. Era troppo tardi per lasciare la camera, la porta si stava ormai aprendo. Per fortuna si apriva verso di lui, in modo che luì si trovò temporaneamente nascosto dietro di essa.

Rinker era tornato. Stava uscendo lentamente dalla stanza senza guardare né a destra né a sinistra. Peron intravide per un attimo il suo mezzo profilo, e vide degli occhi infossati, iniettati di sangue, e una carnagione pallida. Lo seguì a distanza di sicurezza. Il capitano camminava come un ubriaco, come se fosse stato completamente esausto e stordito dalla fatica. Invece di continuare fino al suo alloggio, si recò alla sala da pranzo. Garao, la Ferranti, e Atiyah erano ancora là che chiacchieravano.

E stavano ancora cenando. Ciò parve strano a Perori, fino a quando non si rese conto che erano passati soltanto pochi minuti da quando l’ordine verbale di Garao l’aveva riportato fulmineamente nella sua stanza contro la sua volontà.

— Tutto sistemato — annunciò il capitano Rinker con voce aspra. — C’è un componente difettoso nel congegno di traduzione degli ordini. Non abbiamo pezzi di ricambio a bordo, perciò l’ho riparato alla bell’e meglio per questo viaggio.

— Durerà, o si guasterà di nuovo? — Quella era la voce di Olivia Ferranti.

— Alla fine si guasterà. Ma non subito, spero. — Rinker si produsse in un sonoro sbadiglio. — È stato quasi troppo per me. Mi ci è voluto molto tempo. Sono rimasto lì per quasi cinque minuti senza nessun riposo. Adesso devo andare a dormire.

Vi fu un mormorio di mezze voci solidali. — Speriamo che non si rompa di nuovo durante il viaggio — commentò ancora Garao, anche se in tono non molto convinto.

— Non lo farà — ribatté Rinker. — Non mi aspetto nessun altro guaio durante questo viaggio.

Peron rifletté su quelle parole mentre si allontanava in punta di piedi lungo il corridoio. Le azioni e i commenti di Rinker erano rivelatori, e adesso lui aveva una vaga idea di quello che stava succedendo.

Se aveva ragione, Rinker aveva più guai in vista di quanti ne immaginasse.

Non appena fu fuori portata di udito della sezione della mensa, Peron si rimise a correre alla massima velocità. L’emergenza era finita, e questo significava che i suoi movimenti sarebbero stati controllati di nuovo. C’erano dei monitor perfino dentro le bare?

Raggiunse la camera dell’animazione sospesa ed entrò subito nella stessa cassa che Rinker aveva occupato. Il portello si aprì con l’identico scricchiolio, lui si arrampicò dentro e si distese. Tutti i comandi erano a portata di mano. Avrebbe potuto regolarli semplicemente schiacciando un pulsante. Aveva già scelto. Non voleva S, poiché si trovava già in S-Spazio, e non voleva C (cold) perché quello era il sonno freddo di Elissa e degli altri. Doveva essere N, ma cosa voleva dire N?

Peron si era mosso con la massima velocità, ma adesso esitava. E se il procedimento che aveva trasportato Rinker fuori dall’S-Spazio avesse richiesto conoscenze che a lui mancavano? Era chiaro che gli altri a bordo della nave avevano dei poteri extra, dal momento che i suoi ordini di servizio venivano ignorati… E se l’uso di quel congegno avesse richiesto quegli stessi poteri?

Il tempo passava. La familiare sensazione di vertigine avrebbe potuto coglierlo in qualunque momento, e avrebbe scoperto di trovarsi, ancora una volta, nella sua stanza. Ma il suo dito sfiorava ancora, leggero, il pulsante. Quand’era stato assolutamente certo della morte su Whirlygig, era stato in grado di affrontarla con fermezza, con assoluta calma. Ma questo era diverso. Qualunque cosa potessero fargli Rinker e gli altri, non credeva che l’avrebbero ucciso. Ma adesso avrebbe potuto morire per mano propria. La sua prossima azione avrebbe potuto rivelarsi suicida.

Peron diede un’ultima occhiata alle pareti della bara. Adesso o mai più.

Tirò un lungo, profondo sospiro, chiuse gli occhi e schiacciò il pulsante contrassegnato N.

CAPITOLO VENTESIMO

Nessun cambiamento sconvolgente, nessun precipitare nell’assurdo. Peron si era aspettato un nauseante aggrovigliarsi delle viscere, o forse un insopportabile dolore durante la transizione. Invece, sentì il freddo tocco degli elettrodi alle sue tempie, e il tranquillo spruzzo del fluido sulla sua pelle. Si rilassò e si abbandonò a una quieta meditazione. Durò a lungo e terminò soltanto quando divenne consapevole del battito del proprio cuore, forte nell’intima camera segreta dei suoi orecchi.

Una sensazione di benessere lo stava invadendo, come se si stesse svegliando dal miglior sonno della sua vita. Ebbe la tentazione di rimanere là disteso per un tempo lunghissimo a crogiolarsi in quella sensazione. Ma poi fu colto dall’improvvisa paura di essersi semplicemente addormentato, che non fosse successo nient’altro. Preoccupato, aprì gli occhi e si guardò intorno. L’interno della bara non aveva cambiato la propria configurazione ma, cosa sorprendente, aveva in qualche modo cambiato colore, passando da un giallo-ocra a un pallido arancione. Perfino i suoi indumenti erano diversi, neri invece che marrone.

Si rizzò a sedere, poi si appoggiò a una parete per recuperare l’equilibrio. Si era addormentato in un campo gravitazionale d’un G; adesso era in caduta libera.

Il portello attraverso il quale era entrato non poteva venir chiuso dall’interno. E se l’avessero inseguito? Ben conscio che c’erano ancora delle probabilità che venisse seguito e scoperto, Peron si avvicinò all’altro portello, aiutandosi con le mani e i piedi. Doveva ringraziare il cielo per l’esperienza fatta in caduta libera dopo che avevano lasciato Pentecoste! Adesso si sentiva un po’ strano, ma non c’erano vertigini né sensazioni di nausea.

Il portello si aprì subito. Sgusciò fuori attraverso l’apertura e si chiuse il portello alle spalle. C’era una serratura esterna, e la sistemò in maniera tale che il portello non potesse venir più aperto dall’interno della cassa. Poi si mosse lungo la fila degli altri portelli, e chiuse ognuno di essi nella stessa maniera. Allora, e soltanto allora, si sentì per la prima volta al sicuro.

Si guardò intorno. Stava fluttuando in un lungo corridoio curvo, illuminato dalla luce fioca dei tubi gialli che correvano paralleli alle pareti, e molto lontano, in distanza, poteva udire un sibilo e un sordo borbottio. Andò in quella direzione.

Quando il corridoio girò, si trovò in una stanza quadrata, con una delle pareti del tutto trasparente. Rimase là a lungo, sopraffatto dalla vista dell’universo fuori della nave. La debole foschia luminosa dell’S-Spazio era scomparsa. Invece stava fissando uno scintillante mare di stelle, brillanti come potevano apparire soltanto nello spazio aperto, le vecchie costellazioni familiari erano tutte là, proprio come gli erano apparse dall’orbita intorno a Pentecoste. Gli dettero una bizzarra, rassicurante sensazione. Era ancora vivo, ed era tornato in un universo che lui, forse, comprendeva.

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